22 novembre 2011

La premessa.

La timidezza è una condizione mentale che percepisce, interpreta, valuta e prefigura gli eventi come momenti di rischio fortemente penalizzanti per se stessi, che si manifesta, all'esterno, con comportamenti inibiti e rinunciatari, in genere accompagnati da stati d'ansia.


A determinarne e caratterizzarne le varie forme con cui si manifesta sono, da un lato, un apparato cognitivo disfunzionale in una o più credenze che ne costituiscono l'insieme nella sua parte informativa, dall'altro i comportamenti abituali acquisiti e derivanti dalle disfunzioni cognitive.


Pablo Picasso - il pasto del cieco
Benché, nella maggior parte dei casi, le persone timide sanno di esserlo, essa viene percepita e considerata, a livello di consapevolezza, per via dei sentimenti negativi che provano verso se stessi e gli effetti penalizzanti che vivono sulla propria pelle come conseguenza della propria timidezza.



Come ho già avuto modo di scrivere in precedenti articoli, quando la persona timida tenta di dare una spiegazione logica alla sua condizione, lo fa costruendo la propria analisi con pensieri disfunzionali o su aspetti derivati. Ciò accade perché le credenze disfunzionali cui accennavo, risiedono ad un livello inconscio e pertanto non facilmente accessibile.


Le credenze si concretizzano per mezzo dei pensieri e, questi, si distribuiscono sostanzialmente su tre livelli di profondità. 



  1. Al livello più profondo corrispondono i pensieri che sono l'espressione delle credenze di base, queste hanno una funzione informativa, nei processi di valutazione degli eventi, e riguardano se stessi, gli altri e il mondo. Questi tipi di pensieri sono generalizzati, incondizionati, sintetici.
  2. Al livello mediano abbiamo le credenze intermedie, hanno una funzione regolatrice e di gestione dei comportamenti, determinano modelli attuativi di riferimento, norme comportamentali. I pensieri che le esprimono vertono su questioni che riguardano l'accettazione di sé verso gli altri e viceversa, le proprie competenze e quindi le capacità di saper far fronte agli eventi, il controllo e quindi le regole del comportamento. Questi tipi di pensieri sono per lo più doverizzanti e giudicanti.
  3. Nel livello più prossimo a quello cosciente ci sono i pensieri automatici negativi. Sono involontari, contingenti, situazionali. Costituiscono la sintesi dei due livelli più profondi e determinano i comportamenti finali. I pensieri automatici negativi vengono alla mente e vi permangono per un tempo brevissimo, spesso si presentano sotto forma di immagini mentali.

Come dicevo all'inizio, la timidezza non è solo pensiero ma è anche comportamento che è l'insieme di ciò che si dice e ciò che si fa. Gli individui timidi adottano i comportamenti tipici della loro condizione, in modo abituale e sistematico.
Proprio l’abitudinarietà fa si che i comportamenti finiscono col diventare automatici in quelle circostanze in cui il soggetto timido ha la consuetudine di agire allo stesso modo.


Essendo il risultato finale dei processi cognitivi, il comportamento, in termini pratici, concretizza la relazione sociale e la sua qualità. 
Infatti le persone ci interpretano sulla base di ciò che vedono e sentono e reagiscono ai nostri stimoli in conseguenza di tali interpretazioni.
Il comportamento è, dunque, lo strumento attraverso cui l'uomo comunica all'esterno per mezzo delle azioni, del linguaggio verbale e non verbale.


Il percorso


Per imparare a gestire la timidezza o a eliminarla, bisogna necessariamente intervenire sui suoi elementi fondanti: il sistema cognitivo e i comportamenti.
Questi interventi hanno efficacia solo se sono sistematicamente reiterati, se si creano cioè, nuove abitudini e automatismi sia nel pensare, sia nel comportarsi.


Il percorso di cambiamento consiste:



  • Individuare, e apprendere a farlo, le credenze di base. Un processo che, in genere, passa attraverso la ricerca e l'analisi dei pensieri automatici negativi, quindi, partendo dai pensieri al livello più prossimo allo stato cosciente.
  • Le credenze di base e quelle intermedie, una volta individuate, vanno analizzate razionalmente e sostituite con convincimenti più consoni e, dunque, funzionali nell'interpretazione della realtà. Credenze che devono essere in grado di poter cogliere una pluralità interpretativa.
  • Imparare a controllare le ansie non solo con l'esercizio razionale ricorrendo alle nuove credenze, ma anche con esercizi e tecniche di rilassamento.  In questo quadro si inserisce anche la "desensibilizzazione sistematica".
  • Alla tecnica della desensibilizzazione sistematica, va affiancato un training assertivo. Utile sia per acquisire consapevolezza e capacità di gestione dei propri diritti, sia per apprendere tecniche nel relazionarsi agli altri.
  • Analizzare i propri comportamenti individuandone le caratteristiche non funzionali nella gestione delle relazioni e del rapporto verso se stessi.
  • Individuare nuovi modi comportamentali ed esercitarsi nella loro applicazione. L'esposizione dal vero va, però, preceduta da esercizi simulati.

Insieme alla ripetitività dell'esercizio dei nuovi pensieri e dei nuovi comportamenti, bisogna anche tener conto che, l'intero percorso di cambiamento, deve essere all'insegna della gradualità: si affrontano prima le problematiche meno gravi, poi quelle che procurano maggiori disagi e stati d'ansia.
È bene anche prendere l'abitudine di esercitare le nuove credenze e i nuovi comportamenti ogni qualvolta ci si trova in quelle situazioni che fanno manifestare la timidezza.

12 commenti:

  1. Non so come ma sta mattina sono finita in questo sito, è molto bello che qualcuno si occupi di una questione che sembra passata di moda; essere timidi è inattuale, è out, è da sfigati, in una società competitiva, arrogante pronta a divorare chi fa un passo indietro, si fa da parte. Io sono una timida, ed è davvero difficile convivere con quello che io considero un tratto caratteriale, ma che investe e influisce troppo spesso negativamente sulle esistenze di chi ha questo 'problema'...

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    1. Ti ringrazio per la simpatia che dimostri verso questa mia attività. Hai proprio ragione, la società attuale non favorisce né le persone timide, né quelle introverse: "la fossa dei leoni è ancora realtà", oggi più di ieri. L'esaltazione della competizione, di modelli aggressivi, dell'ideologia del vincere. Persino alcuni colleghi del settore, nel pubblicizzare i propri lavori, fanno riferimento all'essere vincenti, che squallore!
      Perché non invitare a perseguire l'essere se stessi, piuttosto che un ideale consumista e cinico? Una persona timida non dovrebbe puntare a essere un leone, ma ad affermare se stessa nel rispetto di se stessa e della propria indole.

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  2. Il problema è che oggi si fa business anche su argomenti come questo, basta passare in rassegna la vastissima letteratura a riguardo - perlopiù di matrice americana - in cui gli esperti non solo vendono illusioni, promettendo radicali e improbabili cambiamenti, ma fanno sentire, se possibile, ancora più inadeguate e in qualche modo 'sbagliate' le persone che con la timidezza si misurano ogni giorno. Essere nella pelle delle persone timide è una cosa seria e molto complessa, una problematica che non si può liquidare leggendo e seguendo pedissequamente i suggerimenti di un manuale.
    "Perseguire l'essere se stessi", come afferma lei, dovrebbe essere un principio scontato, invece a prevalere è sempre, ahimé, l'omologazione, in questo modo non si fa altro che mentire agli altri e, quel che è peggio, a se stessi, perdendo la nostra autenticità, il nostro essere unici e irripetibili.
    P.S. GRAZIE per avermi prestato attenzione, buona serata.

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    1. I manuali di auto aiuto, di per sé, non sono la soluzione del problema. Essi sono solo uno strumento: quelli scritti seriamente, descrivono le dinamiche cognitive collegate all'ansia sociale, danno indicazioni su tecniche e metodi utilizzate nella pratica psicoterapeutica, fanno esempi, suggeriscono esercizi. Tutto il resto lo deve fare la persona timida, poiché apprendere o superare la timidezza è cosa che può fare solo il timido stesso. E ciò è vero anche nella psicoterapia fatta dal vivo con lo psicologo. Va però detto che la guida esperta di un psicoterapeuta dal vivo è senz'altro di notevole aiuto, è per questa ragione che come prima opzione di intervento consiglio sempre di rivolgersi a un psicoterapeuta.
      Sebbene sia vero che molti operatori sono squallidi venditori di illusioni, ciò non significa che un'intera categoria di operatori (psicologi e life coach) siano solo orientati al business, né si può pretendere che un operatore rinunci a farsi pagare per i propri servigi quando questi costituiscono la propria attività lavorativa. Così come fa te quando vai da un medico specialista. Quindi la questione che si pone è la serietà e la competenza che l'operatore mette in campo.
      Qualsiasi percorso si scelga di fare (psicoterapia o auto aiuto), la "ossessiva" ripetitività di certe azioni o esercizi sono la chiave del successo o dell'insuccesso dell'azione terapeutica, e ciò perché i fattori, che si sono instaurati nella psiche della persona timida, si sono radicalizzati, costituendo l'ossatura della timidezza stessa, proprio attraverso la costante ripetizione, nel corso del tempo, di tipi di messaggi, comportamenti ed esperienze disfunzionali.
      Purtroppo perseguire l'essere se stessi, non è affatto cosa semplice, nemmeno per i soggetti assertivi. Non è soltanto una questione di omologazione, ma anche di gestione di relazioni sociali nelle quali è spesso necessario scendere a compromessi che possano soddisfare anche le esigenze altrui: questo è il prezzo del vivere in comunità.
      Se diamo ai concetti un valore assoluto, cioè se attribuiamo ad essi una validità sempre e comunque, a dispetto della contestualità, allora il mentire è cosa negativa e basta. Nella realtà i principi, che ti ricordo sono solo espressione del pensiero umano(troppo umano),hanno una validità relativa, è per questo che il mentire può anche assumere valenze positive o necessarie o utili. Il mentire a se stessi, invece, è l'espressione di una dinamica di auto protezione del sistema cognitivo che tende sempre a conservare e preservare il suo status quo.

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      Nessun cambiamento è cosa semplice. È vero quello che dici "Essere nella pelle delle persone timide è una cosa seria e molto complessa, una problematica che non si può liquidare leggendo e seguendo pedissequamente i suggerimenti di un manuale", ciò è vero anche per i suggerimenti di un psicoterapeuta, ma solo e soltanto se vivi queste cose come pratica del momento.
      Sono i significati che devi riuscire a cogliere, lo stile nel considerare gli eventi, certe abitudini che vanno abbandonate per non affondare. Non c'è dubbio che voler riuscire a gestire o superare la timidezza, implica un percorso faticoso, se fosse cosa facile, la timidezza non esisterebbe: in queste cose, come dico spesso, ci vogliono volontà, determinazione e fatica.
      Purtroppo le persone timide si trovano in una condizione di fiacca motivazione e dunque con poca volontà effettiva o operativa, questo è il problema principale che si trova ad affrontare la psicologia. Eppure ci sono quelli che ci riescono, e questo significa che non è impossibile.
      Dunque quella tua affermazione, che poc'anzi ho citato, suona più come un atto di resa nascosto dietro la critica alla manualistica del genere psicologico, alla rassegnazione alla propria condizione. Ma questo è un comportamento prevedibile e comprensibile.
      I manuali di auto aiuto sono per coloro che, per una ragione o l'altra, preferiscono non ricorrere al contributo fattivo di un psicoterapeuta, che sicuramente, è la scelta migliore da fare in assoluto. Comunque meglio qualcosa che nulla.
      Buona serata anche a te.

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  3. Le sue argomentazioni, oltre ad essere irreprensibili ed efficaci, racchiudono spunti di riflessione su cui vale la pena soffermarsi approfonditamente.
    Io non sono altrettanto eloquente nel replicare e, ad ogni modo, mi pare superfluo aggiungere altro, non mi resta che ringraziarla per le dettagliate delucidazioni.

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    1. Mi fa piacere che consideri interessanti le mie argomentazioni, ma questo "riconoscimento" non può essere motivo di rinuncia al confronto dialettico, non ha senso esprimere pensieri e idee per gareggiare o dimostrare chissà che, bensì per crescere come persone, per acquisire una sempre maggiore capacità di comprensione dei fenomeni che ci circondano. La mia "eloquenza" non è una dote innata, ma acquisita negli anni con l'esercizio al confronto. Provaci anche tu. Nel non sentirti abbastanza eloquente si annida una convinzione inconscia di inabilità o incapacità, forse anche un timore conscio di tale inabilità. Tieni presente quando nella mia precedente risposta ho affermato "Sono i significati che devi riuscire a cogliere, lo stile nel considerare gli eventi, certe abitudini che vanno abbandonate per non affondare"? Ebbene il tuo timore di non essere abbastanza brava nel sostenere un confronto, ha a che fare proprio con i significati e gli stili cui accennavo.
      Permettimi di ipotizzare (non ho certezze da offrire) quale possa essere lo scenario in cui ti senti coinvolta in questa specifica situazione nella quale siamo impegnati in una discussione. Di fronte alla mia "eloquenza" si è attivata una tua credenza di base negativa(tipo: sono scarsa, sono inferiore a lui, non sono all'altezza, eccetera) di conseguenza qualche pensiero automatico negativo è passato rapidamente per la mente (forse non ti sei nemmeno accorta di averlo avuto) prevedendo che avresti fatto qualche brutta figura se non ti fossi dimostrata altrettanto capace in fatto di dialettica, a questo punto entra in gioco il tuo stato cosciente che però è già stato indirizzato dai precedenti processi cognitivi inconsci e quindi giungi alla conclusione che non essendo altrettanto eloquente è superfluo aggiungere altro (comportamento evitante).
      Ovviamente questa è una mia ricostruzione del tutto arbitraria di quello che è stato il processo cognitivo di valutazione che è avvenuto nella tua mente. Io non ho prove per dimostrare che tale ricostruzione sia una cosa realmente accaduta. Alla verità puoi giungere soltanto tu.

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    2. continuazione

      Se casualmente ho azzeccato, ti domando: ma davvero ti credi di scarse qualità? Quali prove concrete hai? Sappi che le percezioni, le supposizioni, il sentirsi tale, il pensare non sono prove, quelle le devi trovare nei fatti concreti, materiali.
      E ancora: posto anche l'ipotesi che esprimendo una tua idea o parere, di questa se ne dimostri la non validità, pensi davvero che ciò determini o dimostri lo scarso valore della tua persona o delle tue qualità, o piuttosto, avvalora la considerazione che l'invalidità sia relativa alla sola idea espressa? Non è più lecito pensare che il valore proprio di una persona e delle sue qualità intellettive o umane non possano dipendere dal giudizio negativo espresso riguardo uno specifico pensiero o in relazione ad uno specifico evento?
      Il cambiamento non può che passare attraverso un'assunzione di rischio, che facciamo tutti, anche io. Infatti, essendo cosciente della mia relatività e quindi della relatività di validità delle mie idee, confrontandomi accetto il rischio di scoprirmi fallace, ma ciò anche in tal caso è un'occasione di crescita: quindi ben vengano anche gli errori.
      Perciò esprimi pure il tuo pensiero, che di certo non ti mangio. I giudizi negativi altrui, se proprio devono arrivare, possono giungere anche per il tuo non fare, per il tuo non esprimerti, per la tua "assenza". Buone cose.

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    3. continuazione....

      La capacità di esprimersi con efficacia o di acquisire buone doti dialettiche, si guadagna con l'esercizio al confronto, se non lo fai, non potrai mai diventare sufficientemente eloquente. Questa, infatti, è un'abilità che si apprende solo ed esclusivamente con il continuo esercizio al confronto. All'inizio incespichi? Ma chi se ne frega! Bisogna pur imparare. Anche dai propri errori.
      Molte persone timide vivono l'errore come un fallimento, in realtà fa parte del semplice divenire delle cose. C'era il personaggio di un fumetto che era solito dire: "che cagnara, sbagliando s'impara".

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  4. Colpita e affondata, d’altronde navigo a vista su una zattera precaria...
    Le dirò di più, il mio complesso d’inferiorità è così radicato, la mia autostima è talmente agonizzante che mi sono fatta un gran problema su una svista ortografica (nell’incipit della discussione ho scritto sta mattina, anziché stamattina).
    Per quanto riguarda il comportamento evitante, beh è la mia specialità.
    In tutto questo credo comunque e fortemente di riuscire a cambiare il mio atteggiamento, di modificare e sostituire certe ideazioni distorte; spero che il tempo mi darà ragione.
    Alcuni sostengono che il carattere è un destino, che per me suona quasi come una sentenza di morte. Voglio credere al fatto che la mente umana è in continua evoluzione, mai stabilita definitivamente, perciò la convinzione che il carattere sia un destino è una grande idiozia.
    Può sembrare paradossale, ma preferisco aver di fronte il mio interlocutore, scrivere nei blog non mi fa impazzire, con tutto il rispetto. Nella scrittura sfuggono certe sfumature che una comunicazione dal vivo può integrare, mimica facciale e gestualità non sono paragonabili all’aridità, alla piattezza della parola scritta, facilmente travisabile.
    Questo per riallacciarmi anche al discorso dei manuali. Sono perfettamente d’accordo sul fatto che il percorso psicoanalitico sia la strada migliore da intraprendere, il sorriso rassicurante di uno psicanalista, il potere terapeutico delle sue parole, soppesate e sapienti, a fronte delle pagine stampate fredde e categoriche. Ma come giustamente assicura lei, meglio il manuale che niente.
    Grazie ancora, le mando una ideale ed energica stretta di mano.

    PS. Le dispiace provvedere alla correzione del mio sopraindicato errore ortografico? :-)


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    1. Mia cara, concordo con te che la comunicazione tra persone in carne e ossa è più vera perché diretta, ma non condivido l’idea che la scrittura sia piatta, ad esempio, considero le mie poesie assai più comunicative del mio parlato, e ho quest’idea anche nei confronti di tutta la buona letteratura. Ritengo che il parlato e lo scritto appartengano a dimensioni diverse del comunicare, ciascuno con il loro fascino, le loro pecche e i loro limiti.
      Non mi ero accorto di quel tuo errore “grafico”, forse perché ne faccio anch’io o perché ero interessato ai contenuti e per nulla alla forma. Purtroppo per te, non la posso correggere perché i commenti sono mail, una volta inviate non possono essere modificate. Ma fossi in te, non mi preoccuperei più di tanto.
      I complessi di inferiorità, non si formano perché si è inferiori, ma perché dai caregiver (figure di riferimento che in genere sono i genitori), sostanzialmente nel periodo che va dall’età neonatale alla prima adolescenza, sono giunti in modo continuativo, reiterato, abituale, messaggi (azioni e frasi) che venivano interpretate, da te, come definizioni della tua persona in quella specifica chiave di lettura. Si sono sostituiti a te o te lo hanno detto tante di quelle volte, che la bambina che eri si è convinta che quella fosse la verità, che tu eri così per nascita. Nei bambini, il cervello non ha ancora sviluppato tutte le sue funzioni logiche, il mondo, la realtà, è vissuta in una dimensione “sospesa” e non è paragonabile alla dimensione del reale degli adulti: è per questo che sono fragili, ed è per questo che i disagi sociali si formano proprio in quelle fasce di età. (nell’archivio del sito trovi tra novembre e dicembre 2011 trovi sette articoli su questo tema).

      continua....

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    2. continuazione...

      Un lavoro di ricostruzione cognitiva potrebbe farti superare questa cosa, o quanto meno apprendere a gestirla efficacemente. Ma lascia perdere la psicoanalisi, quelle tecniche non hanno mai funzionato con i problemi di timidezza e ansia sociale in genere. L’unico approccio terapeutico che si è dimostrato efficace è quello cognitivo comportamentale. Ma lo psicoterapeuta cognitivo comportamentale, non ti da risposte e soluzioni, quella è la logica psicoanalitica e di altre scuole di origine freudiane (e similari) e proprio per questo hanno fallito e continuano a fallire. Lo psicoterapeuta cognitivo comportamentale fa in modo che sia tu a trovare le risposte e le soluzioni, lui è solo un sapiente compagno di viaggio che evita di farti cadere nelle trappole dell’inconscio. Tu fai un viaggio dentro te stessa e scopri te stessa con le tue stesse forze, con la tua mente e le tue emozioni. Questo è il punto di forza che si è rivelato vincente nella terapia per l’ansia sociale. Per fare un esempio banale, mentre con la psicoanalisi il maestro ti fa i compiti, con il cognitivismo e comportamentismo, i compiti li fai tu: con quale metodo apprendi meglio? Nel nostro caso interiorizzi ciò che apprendi di te, in profondità.
      Sei una specialista del comportamento evitante perché sei timida. Ciò significa che sei una evitante, non per indole ma per paura, non per natura ma per condizionamento.
      Comunque tu credi nella possibilità di uscita dal “buio”, e questo è un buon segno, significa che hai concrete e ampie possibilità di riuscire nel tuo obiettivo: nella maggioranza dei casi i timidi si considerano senza speranza.
      Buone cose, anch’io ti stringo la mano ma non in modo energico, per me il saluto non è una prova di forza, ma un delicato toccarsi le mani per trasmettersi un augurio di pace.

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Grazie per il commento