29 marzo 2013


Seconda parte



Essendo un fenomeno di origine cognitiva, la paura non è prodotto dall’evento in sé, ma dall'attribuzione di significato che gli viene conferito e dalla valutazione previsionale di ciò che ne può scaturire. È proprio in questo che possiamo misurare, la differenza tra un ansioso sociale e una persona normale, nell’importanza che l’individuo attribuisce all’evento, indipendentemente dalla sua natura. 
Maggiore è l’importanza attribuita al significato dell’evento, maggiore è l’intensità della percezione di pericolo, maggiore è il livello di paura, maggiore è anche l’intensità dell’ansia che ne consegue.

Percepire un pericolo come certo o imminente, implica indirizzare l’attenzione cognitiva sulle conseguenze negative delineate dall’attività previsionale.

Nelle varie forme di ansia sociale in cui il fulcro della sofferenza è collegata al mondo delle relazioni con gli altri, i valori primari sono quelli dell’essere ammirati, amati, desiderabili, accettati. Pertanto, gli eventi che assumono grande importanza, nella definizione del livello di rischio, sono quelli in cui entrano in gioco il pericolo del rifiuto, dell’essere ridicolizzati, dell’andare incontro alla disapprovazione altrui, dell’insuccesso, dell’apparire sciocchi, incapaci, deboli, di produrre reazioni negative altrui.

Salvador Dalì - l'eco del vuoto
Nella costruzione previsionale sulle conseguenze, nel momento in cui , il pericolo è percepito come nocumento certo, concreto, la perdita e la sofferenza sono appaiono scontate.

Nella mente di un individuo timido, di un ansioso sociale, la previsione di un evento collocato nel futuro, nell’acquisire configurazioni negative, ed esplicandosi nella paura, si verifica una traslazione temporale: il futuro si trasforma nel presente, come se ciò che dovrebbe accadere si stia già verificando. 

È a questo punto che subentra l’ansia, attraverso le sue varietà sintomatiche. Questo è lo stato d’animo e la condizione mentale in cui viene a trovarsi una persona timida o un ansioso sociale in generale. Questo tipo di fenomeno è ancora più marcato nelle persone afflitte dalla fobia sociale e ancora più evidente quando ci troviamo di fronte ad un attacco di panico. In questi casi la paura si trasforma in terrore. Ma quest’ultimo aspetto esula dagli obiettivi della nostra trattazione.

Molto spesso nelle persone ansiose, il pericolo non è necessariamente percepito sulla base di elementi oggettivi, cioè può non esistere affatto né un rischio reale, né un rischio ipotetico. In questo caso il pericolo è puramente interno, si costruisce sulla storia esperienziale ed emotiva del soggetto, sulla base di modelli interpretativi di riferimento che possono essere riferite anche alle prerogative proprie della persona stessa. In breve, il pericolo esiste solo nella mente.

Sebbene queste stesse persone, quando non sottoposte a situazioni ansiogene, riconoscano la illogicità delle loro paure, o anche quando abbiano avuto già esperienze dirette, tramite le quali hanno potuto appurare che certi pericoli percepiti, in realtà sono frutto di una loro elucubrazione mentale o abbiano una probabilità remota di verificarsi, nei momenti topici, continuano a vivere l’emozione della paura e l’insorgenza dell’ansia, con la stessa intensità di prima. 

Questo ci fa comprendere come il fattore probabilistico, è del tutto ignorato da una persona in preda alla paura, infatti, tutta l’attenzione si sposta sulla probabilità che il pericolo si trasformi in realtà, e dunque ogni altra ipotesi è scartata, anzi, non viene neanche presa in considerazione. Il ragazzo che non si avvicina alla donna amata ha già stabilito che il suo tentativo si risolverebbe in un fallimento, la donna che evita di entrare nella sala comune dell’ostello è certa che sarà giudicata male, l’uomo in procinto di intervenire al congresso si sente già venir meno la voce, la ragazza che fa scena muta sente già di aver perso il suo moroso.

Alla fine l’anticipazione temporale dell’evento, ad opera del processo cognitivo, diventa il presente vissuto del soggetto ansioso: la paura blocca il suo presente reale, materiale, sociale. In un certo senso, l’ansioso sociale si ritrova a vivere in una sorta di dimensione temporale disgiunta da quella comunemente vissuta dagli altri. Il rimuginìo lo riporta nel tempo passato o, per altro senso, trasferisce il passato nel presente. L’evitamento annulla o depaupera drasticamente la vita sociale nel presente. Questi due fattori, il rimuginìo e l’evitamento, sono i comportamenti inevitabili che si attuano in conseguenza della paura. La paura, come abbiamo visto, trasferisce il futuro nel presente: solo che questo, sia attraverso l’evitamento, sia attraverso il rimuginìo, sia per mezzo della paura stessa, non è un presente reale, vive e risiede nella mente.

28 marzo 2013


Prima parte

La paura è un fenomeno caratterizzato da molteplici peculiarità, implicazioni e significati, in quest’articolo il mio intento è limitato a quello di trattare la relazione esistente tra paura e ansia sociale. 

Da un punto di vista fisiologico, la paura è attivata dall’amigdala che, come sappiamo, è una struttura specializzata nelle emozioni. 
L’amigdala è una sorta di archivio di memoria delle emozioni e del significato degli eventi a esse collegate, è il nucleo valutativo degli stimoli in entrata e dunque delle esperienze emotive. Ma è anche una centrale d’allarme, è come se, a ogni percezione, si chiedesse: “si tratta di qualcosa di pericoloso?”, “Nella mia memoria risulta che sia qualcosa di cui temere?”, “È qualcosa di spiacevole o che detesto?”. Se a queste domande la risposta è affermativa, l’amigdala invia l’allarme in varie direzioni nel cervello, stimola la secrezione di ormoni per innescare una reazione di difesa, attiva varie altre parti e apparati del corpo. 

Ma veniamo al punto di vista che ci interessa più da vicino, quello cognitivo. 


Albrecht Durer - uomo disperato
Quando siamo sottoposti a uno stimolo, interno o esterno, materiale o immateriale, la nostra mente lo acquisisce come elemento di conoscenza, se il processo cognitivo lo valuta come fattore di rischio concreto, di pericolo al dominio personale, subentra la paura.

Essendo attinente al dominio personale, il pericolo percepito è quello arrecato alla propria persona, che può essere materiale o immateriale, diretto o indiretto, fisico, economico, affettivo, eccetera.

Anche se appartiene alla sfera emotiva, la paura è un fenomeno di origine cognitiva, costituisce la presa di coscienza di un pericolo, reale  e/o probabile; è un’idea che, partendo dalla configurazione contingente del presente, dispiega le sue valutazioni in riferimento al futuro, il quale può essere relativo sia a un momento imminente, sia a un futuro prossimo, ma non immediato. 

La collocazione temporale del rischio è collocata nel futuro perché la valutazione dell’evento-stimolo riguardano le conseguenze che da questo ne derivano.

Se nella nostra mente non si insinua un pensiero valutativo riguardante quanto sta accadendo e che svolge una previsione sul possibile scenario che può determinarsi, la paura non può sussistere.

Si tende spesso a identificarla con l’ansia. In realtà, la paura è una manifestazione percettiva che fa ampio riferimento alle esperienze e al valore che ogni individuo attribuisce a se stesso, soprattutto in termini di capacità, e pertanto, è molto ben definita. L’ansia, diversamente, è un fenomeno emotivo di seconda istanza, che può reagire a stimoli anche poco definiti, che non ha un reale legame con la storia del soggetto poiché è l’esplicitazione di uno stato d’animo di tensione, è fenomeno conseguenziale. Infatti, la relazione tra paura e ansia, è quella esistente tra uno stimolo e la risposta ad esso.

Solo dopo che la nostra mente percepisce uno stato di pericolo reale, apparente o presunto che sia, e che si manifesta con la paura, subentra l’ansia come risposta emotiva all’elaborazione ideale dello stimolo.

Un aspetto importante della paura, è che ruota intorno al tema della sofferenza e al sentimento della perdita. 
Nel momento in cui l’individuo percepisce un pericolo che va a intaccare la propria sfera personale, questo è vissuto inevitabilmente come qualcosa che procura sofferenza. 
Un ragazzo timido guarda distanza la donna che ama ma pensa che un suo rifiuto gli procurerebbe molta sofferenza e la perdita definitiva dell’oggetto amato, una donna evita di entrare nella sala comune dell’ostello dove vive, pensando che tutti la considererebbero una persona stupida e per lei sarebbe una sofferenza ancor più grande se ciò accadesse, un uomo in pro
cinto di intervenire in un congresso ipotizza che potrebbe ammutolirsi per effetto dell’ansia e immagina il suo fallimento, una ragazza si dispera per i suoi silenzi e immagina di perdere il suo moroso. La sofferenza e la perdita sono il luogo di arrivo di ogni pensiero mosso dalla paura. 

La paura è un’emozione propria del mondo animale, ma produce comportamenti ed emozioni che assumono valenza patologica o quasi in talune persone, o restano confinate in limiti ben definiti in altre. 



12 marzo 2013


Seconda parte


Ogni volta che siamo raggiunti da uno stimolo, interno o esterno che sia, la nostra mente gli attribuisce un significato. Lo fa sulla base delle nostre esperienze, dei dati di conoscenza che abbiamo accumulato nel corso del tempo, tutti elementi che hanno concorso alla formulazione delle generalizzazioni, intendendo con tale termine, l’assumere caratteristiche e dinamiche di determinati fenomeni o effetti simili, come regola generale. Queste generalizzazioni costituiscono un modello interpretativo cui ricorriamo nella valutazione degli eventi. Quindi ricorriamo a valutazioni per analogia con altri eventi simili verificatosi nel passato e con i significati ad essi attribuiti.

Questo processo ha permesso alla specie umana di procedere speditamente nell’evoluzione della conoscenza, nell’organizzazione e nelle attività umane. Infatti, l’uomo ha avuto la possibilità di partire da dove gli altri sono arrivati guadagnando, quindi, il tempo per fare dei passi avanti. Ci rende anche l’idea dell’eccezionalità della mente umana. Il problema è che non sempre le funzioni di questa macchina affascinante funziona bene.


Grosz George - sogno
Quando entrano in gioco le emozioni, sia in fase di costruzione di modelli interpretativi (credenze), sia in fase di risposta all’evento, le cose diventano più complicate. Nel processo di attribuzione di significato entrano in gioco i valori della perdita, dell’offesa al dominio personale o a un dominio di valori, del guadagno o del riconoscimento, eccetera. 
Questi fattori, a seconda dell’intensità della loro percezione o dell’importanza che conferiamo ad essi, ci fanno propendere per un significato o per un altro.
L’interpretazione dell’evento non si diversifica solo tra individuo e individuo, un’identica situazione può essere interpretata, dalla stessa persona, diversamente, in tempi e luoghi diversi. La disposizione umorale del momento, o il coinvolgimento o meno del dominio personale, in cui si verifica il fatto, può indirizzare i pensieri verso una determinata attribuzione di significato e non altre .

Il problema dell’interpretazione acquisisce particolare problematicità quando l’oggetto di tale operazione sono i comportamenti. Nel momento in cui ci troviamo a dover interpretare un comportamento, come ho già fatto notare, le nostre valutazioni fanno riferimento ai valori etici e morali individuali, alle logiche personali, ai nostri propri modi di concepire il mondo delle relazioni interpersonali e dunque anche dei comportamenti. Da tutto ciò è sistematicamente esclusa la valutazione della diversità dell’altro o degli altri e, in questo, entrano in gioco anche distorsioni cognitive comuni un po’ a tutti, come la lettura del pensiero, l’inferenza arbitraria, l’astrazione selettiva o miti come quello dell’amico.

Possiamo dire che, ai fini delle relazioni interpersonali, la problematicità dell’interpretazione dei comportamenti è quasi tutta incentrata sulla difficoltà di un ragionamento empatico, nella tendenza a ridurre il campo delle possibilità configurative della realtà a vantaggio dei propri modelli di riferimento.

Nelle persone afflitte dall’ansia sociale, in cui sappiamo essere prevalente una percezione emotiva della realtà a discapito di quella oggettiva, l’interpretazione degli stimoli costituisce lo snodo cruciale in cui si consuma la propria condizione di crisi.

Le forme di ansia sociale sono tutte strettamente correlate all’interpretazione dei fatti. Questa costituisce la miccia, il fattore scatenante di ognuno degli aspetti e dei sintomi propri dell’ansia sociale. Infatti, non sono i fatti in sé a determinare i comportamenti e le emozioni, ma il significato che gli si dà e gli altri pensieri che ne conseguono.
Nell’ansioso sociale si attivano le credenze disfunzionali, il processo di attribuzione di significato fa riferimento a quell’insieme di generalizzazioni che si poggiano sulle sue presunte incapacità o inabilità, sulle croniche visioni pessimistiche del proprio futuro, nelle rodate previsioni dei giudizi negativi provenienti dall’esterno. Tutti fattori, questi, che costituiscono un canovaccio procedurale abituale che acquisisce nel tempo carattere di automaticità. 

11 marzo 2013


Prima parte


Ogni persona interpreta ciò che gli capita e i comportamenti degli altri e quelli suoi, in base ai modelli  interpretativi della realtà che si è costruito nella propria mente nel corso della sua vita. Queste ipotesi del mondo reale, che nella psicologia cognitiva sono chiamate credenze, si formano per effetto delle esperienze vissute, in modo diretto o indiretto, per via dei processi di apprendimento, e “improntate” dagli stati emotivi in cui la persona si trova nel momento in cui assorbe tali dati di conoscenza.

Ciò significa che il modo in cui leggiamo eventi e comportamenti, è il risultato della nostra storia di interazione, sia con il mondo esterno, sia nel nostro dialogo interiore e alle percezioni fisiche della nostra corporeità. 
Significa anche che ciascuno di noi interpreta le cose soggettivamente, in modo differente dagli altri. L’implicazione di base di tali fattori sta nell’unicità delle logiche interpretative individuale degli eventi.

Umberto Boccioni -Stato mentale
Una identica situazione può assumere significati differenti in diverse persone. Facciamo un esempio. Ciascuno dei personaggi che seguiranno, sta camminando per la tal strada, vede Alberto che cammina sul suo stesso marciapiede, in direzione opposta alla sua e che a un certo punto si volta e torna indietro: 
Michele pensa che Alberto lo sta evitando, ha pensato di non essergli simpatico, personalizzando perciò, l’evento. Michele prova tristezza.
Piero pensa che Alberto è preso dai suoi pensieri, ha pensato a probabili problemi che Alberto ha in quel periodo. 
Anna si fa l’idea che Alberto avesse ben altre cose da fare, ha pensato che lui avesse il piglio di chi ha troppo da fare e ha concentrato la sua attenzione sui movimenti e sui ritmi dell’amico.
Mario pensa che Alberto non lo abbia proprio visto, la distanza era tale che ciò poteva accadere.
A Sandro viene in mente, invece, che a lui capita di non vedere conoscenti che gli passano dinanzi perché distratto quando cammina, ha associato all’evento le sue esperienze personali.
Raffaele pensa “che bastardo, non si è nemmeno degnato di salutarmi” e si sente offeso. 
Chiara pensa “che bello vedere la figura di Alberto”, prova piacere nel vedere una persona amica. Le viene un sentimento di tenerezza.

Magari Alberto s’è reso conto di aver dimenticato il portafogli a casa, pertanto non può fare gli acquisti che si era prefissato, perciò torna indietro per andare a prenderlo. Queste diversità ci indicano come uno stimolo susciti una varietà di emozioni e interpretazioni che possono essere positive, neutre o di indifferenza, o negative. 
Accade però che, nonostante esiste una pluralità di configurazioni possibili del reale, l’individuo tende a validare la propria interpretazione e a considerarla come cosa certa.

Ma perché la nostra storia interattiva produce quell’interpretazione e non altre? 

Non dobbiamo dimenticare che le nostre attività cognitive si esprimono attraverso i pensieri e che questi rappresentano l’anello di congiunzione tra il mondo delle cose e la nostra coscienza di essere nel mondo. 
Pertanto, molto dipende dai pensieri che lo stimolo suscita nella nostra mente e dalle emozioni che ne conseguono. Infatti, nel modello cognitivo, le emozioni sono parte del dominio dei significati.




1 marzo 2013


Timidezza, fobia sociale e disturbo evitante della personalità hanno caratteristiche che sfumano spesso l’una nell’altra, sia per la tipologia delle paure, sia per la tipologia dei comportamenti che vengono posti in essere. 
Benché queste forme di sofferenza differiscano tra loro per intensità, quantità e qualità dei fenomeni comportamentali e cognitivi che li caratterizzano, sono sovente considerate sinonimo l’uno dell’altro, soprattutto per quanto riguarda la timidezza e la fobia sociale.
Queste forme di sofferenza presentano, un comune gruppo di elementi cognitivi centrali, come la paura del giudizio altrui e la sottovalutazione dei propri mezzi in termini di capacità, abilità e attraibilità.

Nel DSM IV (manuale diagnostico dei disturbi mentali e della loro catalogazione) la dizione “disturbo d’ansia sociale” è utilizzata come alias di “fobia sociale”, ma il fatto che forme di disagio, come timidezza, fobia e disturbo evitante della personalità, abbiano in comune diversi fattori, spiega perché molti autori e ricercatori ricorrono alla locuzione “ansia sociale” come indicazione di una categoria più ampia, all’interno della quale, queste, possono essere distinte per mezzo di quegli aspetti che le diversificano.

Paul Gauguin- les miserables
Andrè e Legeron, ad esempio, considerano la categoria dell’ansia sociale come un continuum che va dalla semplice normalità fino alla patologia e, all’interno del quale, s’inseriscono e distribuiscono le varie forme di disagio sociale, in relazione alla dimensione e al livello patologico con cui si manifestano.

In tal senso l’ansia sociale viene a definirsi come un insieme di disagi che si manifestano in occasione delle situazioni in cui si è sottoposti, o ci si percepisce, come oggetto della valutazione e degli sguardi altrui e in cui s’innestano pensieri d’inadeguatezza.