26 novembre 2013

Nelle varie forme di ansia sociale, e quindi anche nella timidezza, il pessimismo esprime sfiducia nella possibilità del raggiungimento dei propri obiettivi. 

Allo stato cosciente, esso è percepito come uno status quo permanente che è tale perché condizionato da ostacoli di natura sociale o personale, considerati insormontabili.
Edvard Munch - ragazza in lacrime

L’idea della non solvibilità della propria condizione sociale o interiore, è sovente chiaramente espressa, non solo nei pensieri automatici negativi, ma anche nelle credenze intermedie che si presentano nelle forme di assunzioni, motti e leitmotiv.

Laddove la timidezza e le altre forme di ansia sociale, si sono sviluppate per effetto del brodo di cultura familiare, tali credenze intermedie, sono riscontrabili anche nei precetti familiari. In tal caso, ci troviamo di fronte a un ambiente sociale che esprime, e trasmette, elementi cognitivi disfunzionali, il che indica, chiaramente, che in tali ambienti vi sono membri che, a loro volta, presentano disagi psicologici e modalità comportamentali anassertive.


Ovviamente, se ci sono credenze intermedie e pensieri automatici negativi, che sostengono la visione pessimistica del presente e del futuro personale, significa che queste sottendono a credenze di base che descrivono peculiarità del sé, degli altri o del mondo sociale, in chiave negativa. 

Ma le credenze intermedie, non stanno lì per caso, esse devono conferire credibilità teorica e logica alle credenze di base da cui discendono, determinare e regolamentare i principi cui devono ispirarsi i comportamenti.

Nel momento in cui uno schema cognitivo verte su un’idea profonda d’inadeguatezza e, dunque, induce a una percezione negativa di sé, i pensieri valutativi delle possibilità di far fronte agli eventi, producono conclusioni orientate a un’assente o insufficiente potenzialità risolutiva. 
Chiaramente se non c’è capacità di soluzione, i pensieri di previsione sugli sviluppi futuri degli eventi predicono l’insuccesso.

Dato che le credenze si formano per effetto delle esperienze e sono, dunque, espressione della storia dell’individuo e delle sue interazioni sociali, ne consegue che, in tutta quest’attività mentale, la non fattibilità delle cose, la non solvibilità, è un fattore costante presente in tutte le fasi del processo cognitivo, e diventa vera a priori, in quanto elemento di conoscenza acquisita, ed è vera nel presente e nel futuro.

Questo significa che nella mente delle persone timide o ansiose sociali, il pessimismo acquisisce forza e validità, in quanto il passato si ripete nel presente e il futuro è una riproposizione infinita del presente.

Ponendoci in quest'ottica, possiamo anche affermare che il pessimismo si configura anche come espressione di una condizione di stallo mentale. 

Il soggetto timido e l’ansioso sociale tende a vedere la propria vita presente e futura, come condannata all’immobilità, ora riconducendo a se stesso tale immobilismo, ora scaricando le cause sul sistema sociale.

Che il mondo contemporaneo non favorisca, e anzi rende più difficile l’inserimento, nella vita sociale, dei soggetti timidi e ansiosi, è fuori di dubbio: i modelli di un uomo o di donna che vengono propagandati, sono quelli degli individui sicuri di sé, competitivi, aperti a ogni sorta di sfida, senza paura, esseri vincenti.

Tuttavia, non è la società in sé, a espellere e a isolare i timidi e gli ansiosi sociali, essi sono sopraffatti dalle loro stesse paure, dalle convinzioni che hanno, di essere, in qualche misura, inadeguati, dalla loro difficoltà di avere comportamenti e pensieri adattivi.

Sono proprio queste difficoltà di autoaffermazione, a sviluppare e a rafforzare il loro senso d’inadeguatezza che determina i loro comportamenti disfunzionali e non adattivi a sviluppare in loro un’idea di sconfitta, di vacuità del proprio agire e delle proprie possibilità. 

Per l’appunto, il pessimismo si pone come negazione della speranza e della possibilità.

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