Nelle varie forme di ansia sociale, e quindi anche nella timidezza, è una modalità cognitiva che assume, sovente, carattere di sistematicità.
In condizioni normali, la lettura del pensiero assume la forma di una supposizione formulata sulla base di trascorse esperienze dirette e oggettive e, in tanti casi, può anche corrispondere al vero.
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Il problema nasce, quando si esce fuori, dalla consapevolezza del valore ipotetico della supposizione. L’ipotesi si sostituisce alla certezza e, così, si determina una distorsione nel processo cognitivo di elaborazione del pensiero. Da processo razionale si passa a uno emotivo. Tutti sappiamo bene che l’uomo non ha il potere di leggere nel pensiero altrui.
Quando, nella normalità, come nelle ansie sociali, ricorriamo a questa distorsione logica, e quindi fuori dal suo alveo ipotetico, vi è un ampio ventaglio di emozioni, con le loro sotto espressioni, che concorrono nell’induzione a questo modo del pensare: rabbia, paura, colpa, confusione, incertezza, debolezza, inadeguatezza, disgusto, amore, forza, speranza, sfiducia.
Nelle persone timide, e negli ansiosi sociali in generale, il ricorso a questa distorsione cognitiva, è dettata soprattutto dal problema del controllo, sia come problema di base, sia come bisogno discendente dai problemi di accettazione e competenza.
Gli individui timidi sono travolti dal timore di essere giudicati negativamente dagli altri, così come temono fortemente, che l’idea d’inadeguatezza, o non amabilità, che hanno di se stessi, possano trasparire all’esterno e renderli, così, nudi dinanzi agli altri, privi di difesa, pieni della loro supposta miserabilità. Tutto ciò diventa ancor più grave, ai loro occhi, quando l’idea di fragilità e di debolezza sono considerate qualità negative dell’uomo.
Di fronte alla paura di essere smascherati, che sovente è percepita come pericolo immanente o dato di fatto compiuto, essi avvertono l’esigenza di verificare, continuamente, se tale svelatura è in atto e se sta già producendo gli effetti gravi o catastrofici che prevedono.
La persona timida, così come tutti gli ansiosi sociali, sta sempre a scrutare, a controllare, a verificare, alla ricerca di segni o elementi che possano informarla di tutti i possibili giudizi non esplicitati, provenienti dai comportamenti altrui.
Giacché i modelli interpretativi di un ansioso sociale sono improntati al pessimismo e a una visione negativa dei fenomeni sociali cui partecipano, o vorrebbero parteciparvi, comportamenti, posture, gestualità ed espressioni facciali, diventano tutti elementi rappresentativi ed esplicativi d’intenzioni e pensieri escludenti, emarginanti, giudicanti in negativo. I comportamenti altrui tendono ad avere un unico significato, corrispondente a quello temuto dall’individuo timido.
Nella timidezza e nell’ansia sociale, si teme che sia visibile o riconoscibile tutto ciò che proviene dal giudizio o da l’idea di sé.
È proprio questa sorta di transfert, operata dai soggetti timidi e dagli ansiosi sociali, che avvalora il senso di veridicità riguardante la trasparenza del pensiero altrui. Questo comportamento di verifica della validità dei loro timori, in realtà, si risolve nel controllo della supposta attuazione, di ciò che ritengono sia già un dato di fatto.
Dovendo cercare ciò che è considerato già dato, l’idea che gli altri abbiano pensieri e giudizi negativi nei confronti dell’ansioso sociale verificante, è cosa scontata.
L’immaginazione del pensiero altrui e la sua attualizzazione nel momento presente è, nei soggetti timidi, il fulcro della lettura del pensiero.
In conclusione, l’azione del leggere nel pensiero altrui è, per i timidi e gli ansiosi sociali, cosa piuttosto facile, in quanto il contenuto è determinato aprioristicamente: ciò che resta da fare è solo l’atto d’immaginazione.
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