29 dicembre 2014


Nuovi obiettivi


Un modo per affrontare queste problematiche è quello di ricorrere alle varie tecniche della mindfulness. Con questo nome sono indicate un insieme, in qualche caso eterogeneo, di tecniche di disposizione mentale che vanno da quelle a ispirazione “buddista”, a quelle più specificatamente di estrazione cognitivista.

Il decentramento



Ennio Calabria - la forma da dentro
Quando siamo sottoposti a situazioni di sofferenza emotiva o fisica, la nostra attenzione si concentra su di essa. Nelle ansie sociali, nei disturbi d’ansia d’altro tipo, nei disturbi dell’umore (depressione), l’attenzione è diretta verso i pensieri automatici negativi, nel continuo rimuginìo sui temi della propria sofferenza psichica, sul passato, su un ipotetico futuro negativo, sulla preoccupazione, sulle emozioni come la paura.

Analogamente, in altri tipi di situazioni stressanti, come ad esempio quelle da lavoro, la centralizzazione del pensiero sugli eventi o stimoli stressanti, l’attenzione induce a percepirli come più faticosi, esasperanti, pregnanti, pressanti.

In breve, nel momento in cui, il pensiero si concentra sui fattori stressanti della nostra vita o delle situazioni contingenti, cioè diventa fattore centrale della nostra attività cognitiva e metacognitiva, le percezioni negative mentali o sensoriali, acquisiscono maggiore intensità, frequenza, qualità e valore.

22 dicembre 2014

PRIMA PARTE

Inizia con questo la prima delle quattro parti dell’articolo dedicato alle linee concettuali della mindfulness che rappresenta il punto di approdo attuale, della ricerca nel campo della psicologia, di tecniche e strategie per fronteggiare le varie forme di ansia sociale, e non solo.
Introduzione


Le problematicità della timidezza

La timidezza è una condizione mentale che produce, in varie forme, problemi adattativi nell’interazione con gli altri. La persona timida, è tale, in quanto soggetto sociale: fuori da tale contesto la timidezza non esiste.

Si tratta di forme di disagio che scaturiscono dal percepirsi diversi dagli altri o come soggetto sbagliato, e dal percepire determinati eventi, situazioni e comportamenti altrui, come forieri di minaccia, di rischio che può produrre sofferenza nella propria vita sociale: non a caso la paura caratteristica dei soggetti timidi è di trovarsi a essere esposti allo sguardo e al giudizio degli altri.  


I potenti pensieri intrusivi


Gian Carlo Calma - Meditazione
Benché la timidezza sia vissuta attraverso gli effetti negativi, interni ed esterni, che produce, è un fenomeno di origine cognitiva. Il problema risiede, quindi, nel sistema cognitivo: nel mondo ora misterioso e sommerso, ora a pelo d’acqua, dei pensieri.
Il soggetto timido vive una sorta di continuo martellamento di pensieri intrusivi. Si presentano in varie forme, come immagini mentali, con le sembianze di emozioni, come sensazioni, come un “sentirsi”, come pensieri automatici negativi: a favorire la loro manifestazione ci si mettono anche le metacognizioni che sono di vario tipo, stili del pensare, il pensare sui propri pensieri, pensare sulle proprie esperienze interne.


I coping dei timidi e le conseguenze

Per far fronte alle proprie paure, le persone timide attuano comportamenti e stili di pensiero di affrontamento (coping). Lo scopo di tali strategie è evitare, a se stesse, la sofferenza derivante dai fallimenti nell’interazione sociale. In realtà sono previsioni d’insuccesso, non fatti reali. 

Infatti, gli individui timidi, procedono per previsioni, con la mente rivolta al futuro prossimo, per poi precipitare nel rimuginìo alla ricerca vana di ciò che non ha funzionato nella propria vita o degli errori nelle situazioni che hanno vissuto.
Gli stili del pensare, cioè il metodo o modo con il quale si affrontano le proprie esperienze interne, si poggiano su quattro fattori principali: 

  • L’attenzione, quindi l’eccessiva focalizzazione sulle sensazioni interne, fortemente condizionate dall’emotività.
  • Il rimuginìo, il continuo ripensare alle esperienze infruttuose; 
  • La fusione, fenomeno d’identificazione di sé con i propri pensieri, emozioni, immagini mentali o sensazioni fisiologiche; l’insieme delle esperienze rivisitate con la memoria e vissute emotivamente come se si rivivessero nel presente.
  • La preoccupazione per il proprio futuro prossimo che induce a un’esasperata attività di previsione. 
In alcune tipologie di timidezza e in altre forme di ansia sociale, al soggetto ansioso si presenta anche il problema di come far fronte ai pensieri intrusivi e negativi. Infatti, nonostante non conoscono la reale portata e l’insieme delle implicazioni cognitive e comportamentali dei pensieri negativi, spesso, essi si rendono conto che il loro continuo ripresentarsi alla mente, costituisce un ostacolo per un normale svolgimento della propria vita.

La strategia di coping più in uso in questi casi è il tentativo di reprimerli, ma così facendo favoriscono l’insistenza della loro presenza nella mente.

L’attuazione comportamentale del lavoro mentale, con il quale, si completa l’intera strategia di coping, è l’evitamento che costituisce l’atto finale che dovrebbe comportare l’allontanamento dalla sofferenza psichica, sociale o fisica.

In realtà, l’evitamento produce il rinforzo di tutte quelle credenze e metacognizioni disfunzionali che fanno permanere il soggetto attivo nella condizione mentale della timidezza.

20 dicembre 2014

Nell’interazione sociale, le persone afflitte da forme di ansia sociale come, ad esempio, la timidezza, vivono il problema della comunicazione. Una difficoltà che sperimentano nell’espressione di stati emotivi, nella manifestazione d’intenti relazionali, nell’esposizione di pareri o contenuti ideali, nelle conversazioni ordinarie, nella gestione delle relazioni stesse.

Si tratta di un disagio di natura cognitiva che può investire uno o più fattori di origine ambientale. Agenti che, limitandole o inibendole, costituiscono anche le cause del mancato ricorso alle abilità sociali.


Henri Matisse - danza I
Mi riferisco all’ inibizione ansiogena, all’errato o mancato apprendimento, a carenti modelli di comportamento di riferimento nell’infanzia e nella fanciullezza, a scarsa socializzazione, ad ambienti con forti carenze nell’espressione dei sentimenti, a genitorialità caratterizzata da una o più peculiarità quali: estrema severità, apprensività, repressività, protettività, ansietà, anassertività.

Essendo la comunicazione, uno strumento che veicola informazioni a trecentosessanta gradi, la sua funzione non è il semplice trasferimento di dati di conoscenza, serve anche a gestire le relazioni interpersonali. 


9 dicembre 2014

Ogni paura è riconducibile al senso di vulnerabilità della propria persona. In condizioni normali, la paura ci rende coscienti di non essere onnipotenti, ci pone di fronte ai nostri limiti, ma ci rende anche consci delle nostre capacità di manovra.

Nell’ansia sociale e nella timidezza, l’asticella che segna il grado di vulnerabilità è molto bassa, per cui le capacità di reagire efficacemente, agli stimoli che pervengono, sono considerate decisamente deficitarie; sicché, avendo un’idea di grande fragilità di sé, ogni situazione, evento, normalmente gestibile, è percepita come grande minaccia.

Il senso di vulnerabilità è una percezione cognitiva derivata; cioè, è la risultante di processi cognitivi volti alla valutazione della situazione in esame e delle capacità proprie di farvi fronte. 

L’interazione di questi dati di conoscenza, che giungono all’attenzione della mente, come flussi di coscienza, determina il valore del livello di rischio che l’individuo assume per la situazione o l’evento che deve fronteggiare.

I flussi di coscienza, ossia, la presa d’atto della configurazione di una data situazione, non sono necessariamente aderenti alla realtà, poiché attingono dalle credenze di base, stili e modi abituali o tendenziali del pensare. 

Ciò implica la possibilità che le credenze di base possano essere interpretazioni emotive della realtà; che quelle intermedie siano, pertanto, disfunzionali; che gli stili e modi del pensare, cioè le metacognizioni, siano condizionate disfunzionalmente, non tanto nel “cosa”, quanto nel “come” si pensa e in funzione delle sottostanti credenze.

Frida Kahlo - la colonna spezzata
Possiamo dire che un ansioso sociale o una persona timida si sente tanto vulnerabile quanto più le credenze di base ineriscono a inadeguatezze del sé.

Le metacognizioni, i pensieri condizionali, le doverizzazioni e, di conseguenza, i pensieri automatici negativi, seguono l’indirizzo di negatività o positività contenuto nelle definizioni delineate dai convincimenti inconsci sul sé.

Giacché attiene al dominio cognitivo, quella della vulnerabilità, è un’idea, un convincimento, anche se spesso, è percepita come senso, come un sentire.

Dunque, nell’ansia sociale e nella timidezza, il senso di vulnerabilità discende dal percepirsi inadeguati in uno o più campi del vivere sociale.

L’idea dell’inadeguatezza di sé spinge, il soggetto timido a sentirsi sprovvisto, non solo di adeguati strumenti d’interazione sociale, ma anche di mezzi di autodifesa. 

Egli si sente nudo, e le sue presunte qualità negative (l’essere incapaci, inabili, stupidi, falliti, inferiori agli altri, inamabile, non interessante come persona) gli appaiono troppo vistose nel momento in cui s’interfaccia con gli altri.

Ma il timore degli individui timidi è anche orientato verso le conseguenze dell’essere scoperti come soggetti inadeguati, temono i giudizi negativi altrui, di perdere la faccia, di ritrovarsi a essere degli emarginati sociali, di vivere nella solitudine.

L’insieme di queste paure non fa che accentuare il senso di vulnerabilità di sé. Tutti gli eventi e le situazioni sociali si trasformano in contenitori di minacce incombenti e gravi. I pensieri automatici negativi martellano in due direzioni principali, la propria inadeguatezza e la previsione che tutto andrà male.

È chiaro che se anche le previsioni non danno spazio a ipotesi neutre o positive, il rischio percepito e valutato, è altissimo, rasenta la certezza che si verifichi, diventa qualcosa che si sta già vivendo, come se il futuro coincidesse col momento presente: per molti ciò che non è ancora accaduto, è già scritto; proprio come nell’idea della predestinazione cui tendono molti soggetti ansiosi.

Più è forte l’idea dell’insuccesso, del fallimento, maggiore è il senso della vulnerabilità; questa proporzione è vera anche all’inverso: s’influenzano vicendevolmente: sono componenti del circolo vizioso della timidezza e dell’ansia sociale.

2 dicembre 2014

La timidezza, e le altre forme di ansia sociale, benché siano disagi o disturbi di origine cognitiva, sono percepiti, da coloro che ne sono afflitti, per gli effetti materiali che osservano e provano sulla propria pelle, nella loro interazione sociale, nei comportamenti che attuano e di cui sono coscienti della loro inefficacia.

Purtroppo, rendersi conto dell’inefficienza dei propri comportamenti non è, di per sé, sufficiente a rimuovere quei fattori deleteri che li producono.

Pere Borrel del Caso - in fuga dalla critica
Anzi, quasi sempre, le persone timide, nel tentativo di risolvere questi problemi, finiscono col cadere nelle maglie del rimuginìo, della ruminazione, della preoccupazione, della spietata autocritica, dell’assunzione di sensi, significati e regole, incoerenti con la vita reale, dell’interpretazione emotiva della realtà che si allontana dall’oggettività.

Di questo processo cognitivo “deviante”, esse, non se ne rendono conto, e così, assumono, come verità, quelle credenze e metacognizioni che sono all’origine del loro problema. In pratica, non fanno che confermare, validare e rinforzare, credenze e metacognizioni disfunzionali.

Questa validazione e rinforzo delle credenze di base, intermedie e delle metacognizioni (modalità del pensare), si verifica in particolar modo proprio a posteriori dell’attuazione di un comportamento disadattivo.

Infatti, l’inefficienza del comportamento disadattivo spinge, il soggetto timido, a considerare vere le convinzioni negative riguardanti il sé, o gli altri, che si sono svolte nella sua mente e che l’hanno condotto alle scelte inefficaci poste in atto.


26 novembre 2014

La mente dell’uomo ha la necessità di acquisire cognizioni che lo pongano nella condizione di interpretare la realtà per poter far fronte, con efficacia, alle situazioni che gli si presentano e raggiungere i propri scopi. Costruisce, così, un insieme di modelli che descrivono o definiscono se stesso, l’altro da sé, cioè le persone, l’ambiente sociale con il quale ha contatto diretto, il mondo inteso sia come consesso sociale, sia come ambiente materiale. 

Zichy Mihaly - illusioni colorate
La costruzione di questi modelli, chiamate anche credenze, contempla anche la descrizione del tipo di relazione esistente tra le varie cognizioni acquisite, da cui scaturiscono anche le metacognizioni, cioè le valutazioni sui propri pensieri, la loro sistematizzazione e organizzazione operativa, in breve il modo e lo stile del pensare.

Giacché la funzione primaria è quella di interpretare, nel modo migliore possibile, gli stimoli provenienti dall’esterno o dall’interno, l’aderenza degli schemi cognitivi con la realtà riveste un’importanza fondamentale per le possibilità adattative dell’uomo, all’ambiente materiale o sociale in cui vive.

I pensieri non sono, per loro natura, la realtà, ma l'idea della realtà.


20 novembre 2014

Volontà e motivazione sono variamente definite. In questa trattazione ci interessa valutarle in relazione alla loro incidenza sui comportamenti e le elaborazioni cognitive nei soggetti afflitti dai fenomeni di ansia sociale, di timidezza.

In via generale possiamo descrivere la volontà come la disposizione, la capacità e la determinazione nel porre in atto un comportamento finalizzato al raggiungimento di un determinato scopo.

Possiamo definire la motivazione come il fattore che giustifica, da’ significato, e orienta il comportamento finalizzato al raggiungimento di uno scopo e dà la carica emotiva e intenzionale per la sua concretizzazione.

René Magritte - il liberatore
In un certo senso volontà e motivazione possono anche essere intese come variabili dipendenti dall’interazione tra bisogni, scopi, cognizione dei mezzi disponibili (compresi quelli propri), valutazioni di fattibilità e previsione delle probabilità di successo.

Per altro verso questi due fattori sono impulsi ad agire strettamente collegati tra loro. 

La volontà senza motivazione non sussiste: perché possa manifestarsi, ha bisogno di un’intenzionalità che delinea fattivamente uno scopo conferendogli significato e valore.

D’altro canto, la motivazione non è sufficiente al perseguimento di uno scopo senza un impulso, capace di superare le barriere emotive e contingenti, prerogativa, questa, che è propria della volontà.


11 novembre 2014



Il timore nasce verso ciò che non si conosce.

Il disagio nel rapportarsi agli altri costituisce il problema principale di tutte le persone timide o afflitte da altre forme di ansia sociale. 

Si tratta di un disagio che si manifesta in vari modi, con diversi gradi di difficoltà relazionali, in variegate forme di relazione, con varie espressioni dei sintomi d’ansia. Disagi che inducono gli individui timidi, o gli ansiosi sociali in generale, a fare scena muta nelle conversazioni, ad avere atteggiamenti ritirati in determinate situazioni sociali, a manifestare impaccio o evidente inibizione in tutta una serie di situazioni contingenti, o anche a evitare determinate esperienze di socializzazione.

Tiziana Trezzi - al di la...incontro all'ignoto
Questo disagio relazionale, però, non si manifesta con tutte le persone con le quali il soggetto ansioso entra in rapporto.

Nelle relazioni amicali caratterizzate da buoni rapporti confidenziali, nelle amicizie stabili o di vecchia data, è cosa normale che l'ansia non si manifesti. E ciò è vero anche nelle relazioni con i familiari più stretti verso le quali non vi sono situazioni di soggezione o conflitto. 

Ciò accade perché, sostanzialmente, la timidezza, e altre forme di ansia sociale, è paura dei giudizi e delle valutazioni negative altrui, per cui i fenomeni inibitori si manifestano nei confronti di coloro che non conosciamo a sufficienza, verso coloro di cui non sappiamo se possiamo fidarci, verso coloro che non ci conoscono a sufficienza. 

È verso questi soggetti che scatta il timore di giudizio e valutazione. 

5 novembre 2014

La timidezza comporta il provare un ampio insieme di sentimenti e/o emozioni che marcano ogni vicenda sociale vissuta e il rapporto con le proprie esperienze interiori.

Sappiamo che questi sentimenti d’infelicità, di fallimento, d’incapacità, d’invidia e di distacco, sono la conseguenza d’ inibizioni ansiogene che compromettono un normale ed efficace svolgimento delle attività sociali che la persona timida, l’ansioso sociale in generale, sperimenta nella propria vita.

Sappiamo anche che le inibizioni ansiogene scaturiscono da una percezione di rischio elevato nell’interpretazione degli eventi e delle esperienze interne.

Tuttavia, sebbene le dinamiche psichiche e fisiologiche, che si manifestano nella timidezza e nelle altre ansie sociali, abbiano il nodo cruciale nella cognizione e, dunque, nei pensieri e meta pensieri, l’insieme di questi fenomeni agisce in modo circolare, per cui ogni elemento finisce con l’essere causa ed effetto allo stesso tempo.

Carla Bedini - Ogni simmetria e generata dal senso di colpa
L’individuo timido tende a essere ipercritico verso se stesso o verso gli altri. Adotta, quasi sempre, doppi standard di misura: severo e spietato nell’indirizzo dell’ipercritica, comprensivo e accomodante verso chi non è oggetto di tale tendenza. Accade così che, ad esempio, riesce a perdonare, comprendere, giustificare gli altri ma non se stesso, in relazione a una medesima occorrenza.

Le credenze negative del sé e gli stili o modi del pensare, cioè le metacognizioni distorte, fanno sì che tutte le esperienze, vissute o interpretate negativamente, si ripercuotono su se stessi con l’effetto di confermare il valore delle idee negative di sé, rafforzare la perpetuazione dei meta pensieri negativi, alimentare l’automaticità dei comportamenti e dei pensieri disfunzionali.


29 ottobre 2014

Ciò che in quest’articolo chiamerò “sentimento della mancanza”, è tale solo come forma manifestatrice, allo stato cosciente, di un pensiero, un’idea, un convincimento di proprie inadeguatezze. 

Molte credenze di base sono avvertite, a livello cosciente, sotto forma di sensazioni, del "sentire", di percezione appena affiorata, di “senso di…”. Spesso, dagli individui che le provano, sono considerate emozioni.

Ma cosa intendo, più precisamente, con la locuzione “sentimento della mancanza”?

È l’idea che, dentro di sé, qualcosa manca e non permette una vita “normale”. Molte persone timide o ansiosi sociali, si chiedono: “Cos’è che non ho?”, “Cosa mi manca?”, “Perché non funziono bene?”.

Quasi sempre la risposta è: “Non funziono perché sono difettoso”. 

Silvano Bruscella - interferenza
L’idea del non funzionamento si correla al pensiero della mancanza. 

Ci sono persone che nell’indicare la ragione per la quale si sono rivolte allo psicoterapeuta, hanno espresso le loro speranze con terminologie legate all’idea di essere macchine non funzionanti, esprimendo il desiderio di essere “aggiustati”, “riparati”.

Nell’ascoltare questi termini, più consoni alla meccanica di macchine non auto poietiche, abbiamo più chiara l’idea di come giunge a percepirsi un individuo timido o un ansioso sociale: bisogna “aggiustare”, “riparare” qualcosa che è di proprio, di “corporeo”, di insito nella propria natura originale.

L’imperfezione è percepita, dentro se stessi, come qualcosa di fondante, di costituzionale. È considerata un’imperfezione di nascita, come una macchina costruita male e uscita difettosa dalla fabbrica.

Le esperienze negative sono diventate fattore di generalizzazione della negatività percepita: il dettaglio, il singolo episodio, il convincente, si estende alla globalità dell’individuo.

In tutto ciò assistiamo, e ne notiamo, il grande potere dei pensieri: capace di trasformare l’aria in sostanza, l’astrazione in materia, l’ipotesi in realtà, la possibilità di certezza. 

Sappiamo anche che sono capaci di ordinare ai nostri organi la produzione di ormoni che possono farci piombare nella paura vestita delle sue numerose forme, o di farci provare altri tipi di emozioni con le loro venature; e sappiamo anche che ci fanno provare la sensazione fisica della manifestazione delle emozioni attraverso l’ansia.

Ma è davvero mancanza di qualcosa? 

Se di mancanza si vuol parlare, allora dovremmo dire che può trattarsi di mancanza di abilità sociali o del loro esercizio, ma non di capacità; che può trattarsi di mancanza di apprendimento, ma non di capacità; che può trattarsi di mancata applicazione delle capacità. 

Va comunque sottolineato che mancato esercizio delle abilità e applicazione di capacità sono un portato dell’ inibizione ansiogena.

Come dicevo all’inizio, il sentimento della mancanza è convinzione mascherata di inadeguatezza. Si dà il caso che anche le credenze sono idee, pensieri, memoria assimilata attraverso l’elaborazione mentale. 

Però, come sono solito dire, i pensieri non sono la realtà, al massimo solo il tentativo di interpretarla ma, come si sa, l’interpretazione è una variabile dipendente da molti fattori: il mondo può essere letto con gli occhi della paura, o della rabbia, dell’amore, dell’esaltazione, dell’eccitazione o della ragione. Ciascuno di questi modi di leggere l’ambiente e le circostanze conduce a una propria configurazione del reale.

Cos’è, allora, il sentimento della mancanza? 

Nel caso delle ansie sociali e della timidezza, posso dire che è l’illusionismo delle emozioni, la suggestione della mente, l’errore della ragione condizionata.

21 ottobre 2014

Negli individui con ansia sociale e nelle persone timide, gran parte dei pensieri negativi, che siano automatici o metacognizioni, hanno contenuti che fanno riferimento a convincimenti inconsci riguardanti presunte inadeguatezze: hanno cioè, credenze di base che definiscono se stessi come soggetti inabili o incapaci.

Giacché le credenze di base costituiscono l’informazione primaria nell’elaborazione della risposta agli stimoli che si ricevono, va da sé che, se queste contengono valori negativi, tutto ciò che ne consegue assume caratteristiche che favoriscono una scarsa capacità adattiva in uno o più ambiti nel dominio delle relazioni sociali.

Una delle conseguenze è che i pensieri automatici negativi sono orientati verso l’idea dell’insuccesso. Questa è percepita emotivamente con forte intensità tragica.

Vincent Van Gogh - vecchio disperato
L’eventualità di un insuccesso è considerata, non una delle possibilità dello scenario futuro, ma una configurazione della realtà prossima che ha la probabilità di verificarsi con una percentuale tale da essere coincidente o quasi con la certezza assoluta.

L’insuccesso di una prestazione, di una performance, di un’iniziativa, di un qualsiasi altro tipo di azione, è valutata attraverso un’ inferenza arbitraria, cioè nella tendenza sistematica, abituale e quasi istintiva, a considerare un singolo elemento come fattore di generalizzazione del fallimento che investe, quindi, l’intera persona. 


14 ottobre 2014

Carla, 28 anni, non esce mai da sola, si sente osservata. Il non essere in compagnia, per lei, è come circolare per strada con manifesti a sandwich su cui è scritto a chiare lettere: “Guardate come sono goffa”, “e sì, sono proprio una fallita, sto sempre da sola”, “non conto proprio nulla, infatti, non ho amici con cui uscire”, “sono una sfigata al limone”, “sono un essere ammuffito”. Alla sola idea di uscire da sola, già si stampano, nella mente, un paio di immagini di facce giudicanti e, forse, sono anche volti che conosce.
In quelle situazioni, Carla si sente nuda, priva d’ogni difesa, alla mercé dell’inciucio, dei pettegolezzi, dei commenti non felici altrui, talvolta oggetto della commiserazione.

Andrea, 18 anni, quand’è in strada sente come se gli occhi degli altri siano un concerto di bocche ridenti: ridono di lui. Riesce a immaginare anche le battute che circolano: “Guarda quel fallito, ah, ah, ah”, “che imbranato ah, ah, ah”, “povero cretino ah, ah, ah”, “è proprio senza speranza”.


Giampaolo Talani - animali da battigia
Sibilla, 21 anni, è convinta di essere brutta. Sente la sua bruttezza stampata negli sguardi e nelle menti degli altri. Quando è in strada, si sente come in passerella, con tutti a guardare le sue nefande fattezze e a pensare: “Quand’è brutta”, “guarda che cesso, quella ragazza”, e a ricordarle che resterà sempre sola.

Priscilla, 20 anni, evita la mensa dell’Università, a dire il vero, anche quelle dei ristoranti, delle pizzerie, dei pub. Sente di essere goffa, impacciata, imbranata, ridicola. È convinta che quando mangia tutti i suoi difetti diventano molto evidenti e che gli avventori della mensa se ne accorgerebbero immediatamente. Se entrasse in quei luoghi, si sentirebbe subito al centro dell’attenzione, centinaia di occhi diretti su di lei.




Mi scuso per coloro che hanno incontrato qualche problema in alcune funzionalità del sito nell'ultima settimana. Si è trattato di una fase di rivisitazione tecnica e manutenzione del sito. Adesso il blog è tornato nella sua piena funzionalità.

22 settembre 2014


SECONDA PARTE

Le persone timide in amore, proprio per l’effetto delle credenze negative che hanno di sé, sono dominate dalla paura: timore di fallire, di essere respinti, di essere inopportuni, di non essere capaci di rapportarsi, di apparire ridicoli o inaccettabili, di diventare oggetto dell’ilarità o del giudizio altrui. 

Fondamentalmente, hanno il timore di base che le inadeguatezze che pensano di avere diventino evidenti agli occhi della persona oggetto del sentimento d’amore e, pertanto, di andare incontro a un insuccesso.

Gli schemi cognitivi disfunzionali, caratteristici nella timidezza d’amore, si concludono, generalmente, con metacognizioni e pensieri automatici negativi a carattere previsionale, che possono presentarsi sia in forma verbale, sia in quella di immagini. 


De Chirico - Oreste solitario
Ad esempio, pensieri del tipo: “e se non le interesso?”, “Lei non mi caga proprio”, “mi dirà di no e farò la figura del fesso”, “… magari mi riderà anche in faccia”, “se mi dice di no, è meglio che non mi faccio vedere in giro per un bel po’”, “mi rifiuterà, non ci so fare”, “non sono neanche cosa dovrei dirle”, “si accorgerà che sono un imbranato e penserà che sono un fallito”, “sarò il solito imbranato e mi rifiuterà subito”. 

I pensieri in forma di immagini mentali si presentano, in genere, come una sorta di istantanee flash che possono fissare volti che esprimono emozioni di rifiuto o di dileggio sia della persona oggetto del sentimento d’amore, sia di eventuali testimoni che ispirano il timore di giudizio negativo, sia momenti propri del rifiuto o dell’insuccesso. Le immagini mentali possono anche presentarsi in forma di “video” mentale ma di durata brevissima che si consumano in un arco temporale di qualche secondo.

I pensieri previsionali, che nel caso delle ansie da relazione presagiscono sempre esiti negativi, sono dunque quelli che producono una sopra valutazione esagerata della minaccia (il rifiuto, l’insuccesso, il fallimento, giudizio negativo altrui, eccetera). Questa valutazione di rischio elevato, vissuta come prossima o coincidente con la realtà, innesca i fenomeni emotivi e i sintomi d’ansia. Queste ultime, però, generano altre attività cognitive e metacognitive alimentando un processo circolare dell’intera attività di pensiero.

Gli evitamenti, le elusioni totali o parziali, la fuga, costituiscono il comportamento condizionato risultante sia dal processo cognitivo, sia dalle emozioni negative, sia dai fenomeni d’ansia e dall’interazione di questi tre fattori tra loro. Tuttavia, benché i comportamenti siano l’epilogo di una determinata situazione, svolgono anche una funzione di rinforzo dell’insieme degli schemi cognitivi e metacognitivi producendo alla perpetuazione, nel tempo, della timidezza d’amore.

L’insieme di tutte queste attività, cognitive, metacognitive, emozionali, ansiogene e comportamentali, determinano un fenomeno circolare che imprigiona il timido d’amore. Egli resta prigioniero di schemi mentali, stili di pensiero, comportamenti che diventano abitudinari e automatici, che lo inducono, ad ogni analoga situazione, a ripetere, quasi pedissequamente, sempre lo stesso iter cognitivo e comportamentale.

Nella timidezza d’amore, ma anche in tante altre forme di timidezza e ansie sociali, quando ci si rende conto del carattere reiterativo e storicizzato dell’insieme dei propri comportamenti e dei propri insuccessi, subentra anche la rassegnazione passiva alla propria condizione, fatto questo che può sfociare nella psicopatologia, veri e propri disturbi d’ansia o dell’umore.

16 settembre 2014

PRIMA PARTE


In quest’articolo utilizzerò la dizione popolare “timidezza d’amore”, per facilità espositiva, benché tale disagio rientri in diverse definizioni.

Come tutte le forme di timidezza, essa può manifestarsi con diversi livelli di ansietà e disagi, i cui comportamenti possono andare dal semplice impaccio nelle forme più lievi, al radicale evitamento in quelle più croniche.

È, probabilmente, la forma di disagio più raccontato nella letteratura e nel cinema, è anche quello che, più di ogni altro, rappresenta la timidezza nell’immaginario collettivo.

Dato che la timidezza è un fenomeno molto variegato, nelle forme, nelle intensità, negli ambiti in cui si manifesta, si sono creati diversi modelli di classificazione che, a tutt’oggi, fanno rientrare questa forma di ansia da relazione, ora in una classe, ora in un’altra, a seconda se il tipo di raggruppamento è stato operato in funzione delle caratteristiche individuali o in quelle delle espressioni sociali.


Silvano Bruscella - desiderio
Generalmente, la timidezza non si manifesta in un singolo ambito d’azione. Ciò per il fatto che le credenze e le metacognizioni sottostanti, ineriscono a qualità o inadeguatezze che investono diversi aspetti del vivere sociale. 

Ciò vale anche per la timidezza d’amore, la quale, in realtà, non sussiste come disagio specifico a se stante. Tuttavia, quella d’amore, può costituire l’ambito principale, o più evidente, in cui si manifesta la timidezza in determinati individui.

La centralità che, in un singolo soggetto, la timidezza d’amore acquisisce rispetto agli altri fattori coesistenti, è dovuta all’importanza che ricoprono, la natura gregaria dell’essere umano, l’istinto riproduttivo, il bisogno di affermazione dell’identità sessuale, la struttura funzionale della sessualità che è il piacere, la valenza sociale che acquisisce l’essere in coppia o l’accoppiamento in sé, la condizione affettiva, il valore che attribuisce all'affettività e/o alla sessualità.

Nelle sue espressioni più marcate, può essere socialmente molto invalidante, infatti, in tali casi, la persona timida non riesce a vivere esperienze sessuali o relazioni di coppia. In queste tipologie i disagi possono manifestarsi con comportamenti fortemente anassertivi, evitanti, con gravi carenze nella comunicazione verbale, con evidenti atteggiamenti posturali e altri elementi di linguaggio non verbale che trasmettono senso di dismissione.

Comunque le forme di timidezza d’amore più comune presentano minori livelli di ansietà e permettono vie d’uscita anche se accompagnate da patemi d’animo e difficoltà varie.

In precedenza facevo notare come la timidezza d’amore non sussista da sola per via del carattere multi ambito che hanno le credenze sottostanti che la alimentano.

Infatti, le credenze che si attivano nelle circostanze che fanno emergere questa forma di timidezza, sono inerenti a definizioni del sé che riguardano:


  • L’essere abile nelle relazioni sociali.
  • L’essere capace di far fronte, con efficacia, a determinate evenienze.
  • L’essere attraente o interessante come persona.
  • L’essere persona amabile o degna di amore.


Si comprenderà come il tema dell’adeguatezza, nelle sue varie sfumature, sia determinante in questo tipo di disagio, va però anche notato che, nella vita dell’individuo timido, il problema della competenza non può che ripercuotersi anche in altri ambiti nel dominio delle relazioni sociali.

Tuttavia, se le credenze negative attivate sono limitate al solo tema dell’accettabilità sociale, la timidezza d’amore si profila come manifestazione centrale o preminente nell’espressione della timidezza.




9 settembre 2014

Benché le ansie sociali, e quindi anche la timidezza, siano disagi di natura cognitiva, la loro percezione e/o riconoscimento avviene per mezzo dei fenomeni che le esternalizzano, cioè dai comportamenti, attuati da chi ne è afflitto, intendendo per comportamento, tutto ciò che si fa e si dice.

Tuttavia l’ansioso sociale ne acquisisce coscienza anche per i flussi emotivi interni che vive e per i sintomi d’ansia non percettibili esternamente.

In questo quadro di riconoscibilità della manifestazione di tali forme di disagi s’inseriscono buona parte delle inibizioni ansiogene.

Ma cos’è l’inibizione ansiogena? 

Alberto Sughi - andarsene
La possiamo definire come un fenomeno di origine cognitiva, generato da una valutazione di pericolo che determina emozioni negative, che si manifesta con forme di blocco mentale, censura, limitazione o impaccio nei comportamenti.

È anche descrivibile come una manifestazione d’ansia a seguito dell’insorgenza della paura

Da un punto di vista neurologico, vede coinvolto principalmente il sistema limbico, con l’amigdala che attiva le emozioni e l’ipotalamo che prepara l’organismo alla fuga.

In termini pratici, agisce come fattore di ostacolo al normale svolgimento delle attività cognitive di elaborazione, impedimento o freno di flussi alla coscienza di conoscenza e memoria, di disturbo dei processi affettivi, d’intralcio alle attività motorie, di disturbo o arresto nei processi decisionali, di preclusione alle funzioni di apprendimento, di paralisi o freno all’esercizio delle attività verbali.

L’inibizione ansiogena è tra le cause del mancato apprendimento di modelli di relazionamento sociale e manifestazione delle emozioni e sentimenti.

L’inibizione ansiogena è sempre alimentata da processi cognitivi e metacognitivi rivolti al futuro. I flussi di pensieri negativi che invadono la mente di una persona timida o di un ansioso sociale hanno, quindi, preminente carattere previsionale; ma una tale attività di previsione, presuppone un’elaborazione d’informazioni necessariamente attinte, in buona parte, dal sistema cognitivo che, in questi casi, presenta significativi elementi di disfunzionalità e disadattività.

L’attività previsionale, nelle ansie sociali, si conclude sempre con una valutazione negativa che, pertanto, prefigura scenari catastrofici, insuccessi, rifiuti subiti, giudizi negativi altrui, perdita di credibilità e valore, dimostrazione di vere o presunte inadeguatezze.

In questi contesti psicologici, la previsione negativa di un evento, o di una performance, perde il suo carattere ipotetico a favore a favore di una concettualizzazione della probabilistica possibilità come prossima o coincidente all’effettiva materializzazione.

Di fronte all’idea della debacle, l’individuo timido o afflitto da ansia sociale, che vive tale previsione come evento certo che sta per abbattersi su di sé, cade in preda alla paura e, in certi casi, al panico.

L’insorgenza della paura è l’elemento, definitivo e determinante, che introduce l’inibizione ansiogena. 

Ogni movimento, ogni pensiero, ogni espressione verbale sono costrette alla convivenza invadente, e ad alta intensità, con la paura e i sintomi dell’ansia.

Nella figura che segue, è rappresentato uno schema riassuntivo grafico del fenomeno, nel suo insieme, relativo a un soggetto timido che faceva sempre scena muta durante le conversazioni.


25 agosto 2014





Focalizzazione sul giudizio (distorsione cognitiva)

 Si considera se stesso, gli altri e gli eventi in termini valutativi (buono-cattivo, superiore-inferiore) anziché limitarsi a descriverli, accettarli o capirli. Si misura continuamente se stesso e gli altri, in base a standard arbitrari, concludendo che sono inferiori e focalizzandosi su queste conclusioni. "Non ce l'ho messa tutta all’università", "se giocassi a tennis, non sarei bravo", "guarda quanto successo ha lei. mentre io non sono una persona di successo".


I MITI COGNITIVI



Il mito della modestia

Paul Delvaux - alla porta
L’essere modesti viene considerata una virtù, un obbligo morale. I soggetti che credono in questo mito, hanno difficoltà ad accettare i complimenti e non sanno rispondere verbalmente, in modo adeguato, quando vengono espressi. Ne risulta anche una difficoltà nel parlare di sé in termini positivi. Nei soggetti ansiosi, tutto ciò si traduce in un’attenzione rivolta verso i punti deboli della propria personalità, nel rafforzamento di idee negative di sé, nella giustificazione e nella valorizzazione delle critiche provenienti dall’esterno, viste anche come conferma di quanto si pensa già di sé stessi e questo anche quando esse non sono appropriate.
La modestia rappresenta una deviazione o "coniugazione" negativa del concetto di umiltà che, invece, afferisce a un'idea di relatività del proprio ego nel contesto multiculturale della società. Se l'umiltà è espressione di consapevolezza delle proprie potenzialità e dei limiti oggettivi propri o in quanto soggetto umano, e all’autocontrollo delle forme di orgoglio o di eccessiva sicurezza di sé, la modestia rinnega, sminuisce o nasconde il valore soggettivo dell'individuo assoggettandolo a quello collettivo. Da tal punto di vista, la modestia è un valore svalutante della persona, dei mezzi e delle potenzialità del soggetto, uno svilimento di valore che non è mai supportato da elementi di valutazione oggettive.





Distorsioni cognitive




La lettura del pensiero  


Ci si convince di sapere cosa sta pensando un altro senza avere la minima prova o evidenza; si crede di sapere che cosa pensano gli altri senza avere prove sufficienti. 
ad es. “sta pensando sicuramente che sono un idiota”, “tutti quanti mi guardano, stanno sicuramente pensando che sono ridicolo”, “sta pensando che sono un fallito”, "quando entro in una stanza, sono certo che i presenti pensano di me che sono noioso e che bisogna starmi lontano", "le persone che cominciano a parlare con me, poi si allontanano perché pensano che sono poco interessante", "pensa che io sia un perdente". Questi pensieri, in una persona, si sviluppano quando l’attenzione si concentra sull’idea che gli altri lo hanno posto al centro del loro interesse, e sono intenti a valutarlo. 


L’etichettamento 

Consiste nell’applicare un’etichetta nel complesso della persona, sia verso se stessi che verso gli altri, sulla base di eventi o azioni specifiche. Si stabilisce il carattere o il valore di un individuo senza valutare la persona nella sua globalità. Basta un dettaglio per affibbiare un’etichetta a un soggetto, indipendentemente dalle sue altre qualità, è come fare di tutta l’erba un fascio, è il caso di pensieri come: “Ho fatto quell’errore perché sono un inetto”, “non ho preso l’esame, sono un incapace”.


19 agosto 2014




Con presente prima, delle tre parti in cui è suddiviso questo articolo,  presenterò, con una lunga carrellata, varie tipologie di pensieri che si manifestano nelle varie forme di ansie sociali e altri disturbi psichici. Queste categorie di pensieri che, in qualche caso possono anche contenere un fondo di verità, inducono, negli ansiosi sociali e nelle persone timide, ragionamenti dal carattere categorico; assumono, quasi sempre, valore assoluto. Per lo più si manifestano nei pensieri automatici negativi, in alcuni casi sono espressione di credenze intermedie, regolanti o condizionali. 


Distorsioni cognitive

Il pensiero dicotomico 

È il ragionare per estremi, senza soluzioni intermedie, o nero o bianco, si considera gli eventi o le persone in termini di tutto o nulla. "Nessuno mi vuole", "È stata una totale perdita di tempo",  “se faccio anche solo un minimo errore, perdo la faccia, penseranno che sono un idiota”. Il pensiero dicotomico conduce alla radicalizzazione dell'interpretazione degli stimoli sia esterni che interni, nella valutazione dei fenomeni o degli eventi, nella previsione degli esiti susseguenti all'evento, nella determinazione dei comportamenti da attuare. Tutto ciò comporta una rigidità del ragionamento e dei comportamenti conseguenti.


Salvador Dali - nascita dei  desideri liquidi

L’inferenza arbitraria 

È l’interpretazione di comportamenti ed espressioni verbali che si verifica quando si giunge a conclusioni senza che ci siano argomenti o prove sufficienti a dimostrarne la validità, postula un modello negativo globale sulla base di un singolo episodio. Ad esempio:  “Alberto mi è passato davanti fingendo di non vedermi”. L'inferenza arbitraria fa sì che da un dato oggettivo si deduce una verità scollegata al dato iniziale, si crea cioè una relazione forzata senza che vi sia alcuna logica oppure il portare le interpretazioni alle estreme conseguenze. Questo processo mentale viene svolto in modo grossolano e limitato, non prefigura alcun lavoro di ricerca ed elaborazione di collegamenti logici, di possibili alternative di interpretazione, della valutazione oggettiva del valore degli elementi che dovrebbero dimostrarne la validità del ragionamento.


12 agosto 2014

Nell’immaginario collettivo, la timidezza è sinonimo di ritrosia. Benché tale peculiarità non sia visibile chiaramente in tutte le forme della timidezza, la ritrosia è un chiaro indicatore dell’emozione principale che caratterizza questo disagio sociale, la paura. È però anche l’espressione dell’esistenza di stati d’inibizione.

Relazionandola alle ansie sociali, possiamo definire la ritrosia come una risposta comportamentale, indotta dalla percezione di una propria forte vulnerabilità che scaturisce dalla valutazione e interpretazione cognitiva di un evento o situazione. 

Salvador Dali - la nascita di liquide paure
Nel momento in cui, una persona timida, si percepisce vulnerabile rispetto a un contesto situazionale, un’esperienza o una condizione, si fa strada l’emozione della paura che predispone verso una strategia di fuga, la quale può rivelarsi in comportamenti evitanti, elusivi o di vera e propria defezione.

Il soggetto timido si sente nudo, privo di difese, trasparente agli occhi e alla valutazione altrui. Il suo timore più grande è che gli altri si accorgano delle inadeguatezze che è, consciamente o inconsciamente, convinto di avere.

Con la ritrosia gli individui timidi tendono a tenersi fuori dal rischio di ritrovarsi al centro dell’attenzione altrui, di dover assumere ruoli, o esperire performance, che li espongono al rischio di valutazione da parte degli altri.


4 agosto 2014

Sofia è insieme con amici e amiche, conversano, discutono, ma lei sente che gli altri sono tutti più intelligenti di lei, così se ne sta zitta.

Alberto ha il cuore in fermento per la donna di cui si è innamorato; lei è lì, a pochi passi. Lui vorrebbe approcciarla, ma alla sua mente giunge un’immagine che presuppone un rifiuto e inquadra le facce dei conoscenti che ridono di lui. Pensa: “Se mi va male, non posso più farmi vedere in giro”. Mesto mesto si allontana.

Rene Magritte - la magie noire
Ingrid vorrebbe fare un po’ di vita sociale, ma si sente esclusa, ha difficoltà a relazionarsi con gli altri, e anche con i suoi amici e amiche. Così sceglie di starsene rintanata nella sua cameretta a trascorrervi le sue giornate.

Oreste teme di arrecare disturbo nel relazionarsi con alcune persone, nonostante desideri farlo, se ne sta sulle sue, senza intervenire, distanziato da quel gruppo.

Angelina è terrorizzata all’idea di arrossire, così se ne sta lontano da tutte le situazioni che ritiene possano metterla in tale spiacevole situazione.

Matteo ha paura di sentirsi triste, fa di tutto per evitare di trovarsi in una condizione di tristezza. Anche se poi non ci riesce comunque.

Sono alcuni esempi di comportamento evitante. Di fronte all’idea di una conseguenza negativa al proprio agire o di situazioni in cui possono diventarne attori, le persone timide, e gli ansiosi sociali in generale, preferiscono ritrarsi, evitare l’evenienza.