2 dicembre 2014

La timidezza, e le altre forme di ansia sociale, benché siano disagi o disturbi di origine cognitiva, sono percepiti, da coloro che ne sono afflitti, per gli effetti materiali che osservano e provano sulla propria pelle, nella loro interazione sociale, nei comportamenti che attuano e di cui sono coscienti della loro inefficacia.

Purtroppo, rendersi conto dell’inefficienza dei propri comportamenti non è, di per sé, sufficiente a rimuovere quei fattori deleteri che li producono.

Pere Borrel del Caso - in fuga dalla critica
Anzi, quasi sempre, le persone timide, nel tentativo di risolvere questi problemi, finiscono col cadere nelle maglie del rimuginìo, della ruminazione, della preoccupazione, della spietata autocritica, dell’assunzione di sensi, significati e regole, incoerenti con la vita reale, dell’interpretazione emotiva della realtà che si allontana dall’oggettività.

Di questo processo cognitivo “deviante”, esse, non se ne rendono conto, e così, assumono, come verità, quelle credenze e metacognizioni che sono all’origine del loro problema. In pratica, non fanno che confermare, validare e rinforzare, credenze e metacognizioni disfunzionali.

Questa validazione e rinforzo delle credenze di base, intermedie e delle metacognizioni (modalità del pensare), si verifica in particolar modo proprio a posteriori dell’attuazione di un comportamento disadattivo.

Infatti, l’inefficienza del comportamento disadattivo spinge, il soggetto timido, a considerare vere le convinzioni negative riguardanti il sé, o gli altri, che si sono svolte nella sua mente e che l’hanno condotto alle scelte inefficaci poste in atto.


Il comportamento principe, tipico degli individui timidi e che conduce al rinforzo dei convincimenti disadattivi, è l’evitamento.

Il comportamento evitante è quello con il quale, il soggetto ansioso, tende a evitare la sofferenza che ha previsto come esito, certo o ad altissima probabilità, nella valutazione di una possibile minaccia.

In questi casi, la minaccia, è costituita dall’ipotesi di un danno procurato a sé, o ad altri, riferita sempre all’interazione sociale e al proprio ruolo in ambito sociale.

È bene qui ricordare che le ansie sociali, e quindi, anche la timidezza, sussistono solo e soltanto se riferite al mondo delle relazioni sociali.

Da ciò, si comprenderà che la minaccia, per un ansioso sociale, rappresenta il rischio di subire un giudizio negativo altrui, apparire inadeguato, incapace, inabile, non interessante o attraente come persona: tutti fattori che condurrebbero all’emarginazione, alla solitudine, all’esclusione sociale.

Michele o Adele non trovano il coraggio di approcciarsi a una persona dell’altro sesso, Carla fa di tutto pur di non mangiare in pubblico, Giuseppe vive nell’ombra sentendosi sempre osservato da tutti, Maria evita di andare alle feste, Alberto non va dal suo superiore a fare rimostranze, Chiara rinuncia sempre a essere relatrice nei congressi. Tutti esempi di comportamenti evitanti. 

Tutte persone che temono di manifestare fragilità, incompetenza, ridicolaggine, impaccio, inabilità, incapacità, inattendibilità, fallimento, insignificanza, o altro.

Il processo per il quale si giunge ad attuare un comportamento evitante è alquanto articolato, ma può svolgersi in un attimo, decimi di secondo.

La persona timida richiama dalla memoria le definizioni del sé, riguardanti le sue qualità. Valuta il tipo di rischio cui va incontro e, in questi casi, il rischio è valutato di grado sempre molto maggiore rispetto alla realtà, e il livello di probabilità che si verifichi è percepito come pari al 100% o quasi. Fa una stima previsionale di quel che può accadere, in base alle informazioni raccolte sulle sue qualità, al livello di rischio e della probabilità; ovviamente, tale previsione è sempre di carattere negativo. 

Subentra la paura, di fare brutta figura, di essere considerato inadeguata, di essere giudicata negativamente. Subentra l’ansia. Paura e ansia alimentano un nuovo processo cognitivo, molto più rapido di quello precedente e questi alimenta altra paura e altra ansia in un processo circolare. A quel punto la mente fa la sua scelta: decide di evitare.







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