29 dicembre 2015


Quando una persona si percepisce inadeguata, ha paura. 

Dato che alla percezione del sé sottende sempre una credenza, percepirsi inadeguati significa avere credenze del sé che definiscono se stessi come persone inadeguate.

La paura dell’intimità o l’ansia da prestazionenon sfugge a questa legge. Un aspetto problematico di questo timore, che scaturisce dall’interazione sessuale, o dalla comunicazione interpersonale che sconfina nel personale, troppo personale, è che il percepirsi “difettosi”, oltre a essere alimentata da una credenza d’inadeguatezza, alimenta la formazione di una teoria “naif” sulle cause delle proprie difettosità.

Elena Vichi - nascosta nel silenzio
Infatti, nella timidezza, come nelle altre forme di ansia sociale, il soggetto tende, e si sforza di farlo, di darsi una spiegazione sulle cause e sulla natura del proprio disagio.

Nel caso della paura dell’intimità, gli ansiosi sociali si trovano a viaggiare su una sorta di doppio binario cognitivo, uno che affonda direttamente nei livelli inconsci e che ha a che fare con le credenze originarie del disagio, l’altro che fa riferimento a processi di pensiero cosciente che sono l’espressione dello sforzo di comprensione.


27 dicembre 2015

La sofferenza comporta emozioni forti che nessuno di noi vorrebbe mai provare. Dobbiamo, però, fare i conti con la condizione umana, gli eventi e le circostanze che si verificano nostro malgrado, talvolta, assolutamente estranei alla nostra persona.

Sull’inevitabilità della sofferenza sono già stati scritti fiumi di parole, sia nel campo scientifico, sia in quello artistico. 

Henry Fuseli. The Nightmare
Essenziale, per far fronte alla sofferenza, è l’atteggiamento di accettazione.

Nella vita reale, e in tutte le culture e le epoche storiche, i comportamenti messi in campo per evitare la sofferenza sono particolarmente graditi e praticati.

C’è, però, una linea di confine oltre la quale i comportamenti di evitamento della sofferenza assumono carattere decisamente patologico.

Nelle ansie sociali, l’evitamento della sofferenza, assume i connotati dell’antiscopo. Si evita il raggiungimento di scopi desiderati per evitare che il loro perseguimento possa comportare sofferenza.


15 dicembre 2015


Analogamente al rimuginìo, la ruminazione è un processo cognitivo che implica pensieri negativi ripetitivi e che, spesso, diventano incontrollabili. 

Anche in questo caso l’uomo rumina perché percepisce dei problemi fondati su eventi negativi passati o sulla condizione emotiva nel presente.

A differenza dal rimuginìo, la ruminazione, però, è rivolta al passato o al momento presente; quindi, differisce sia per contenuto che per struttura formale.

Rene Magritte - memorie di un viaggio
È anche descritta come una categoria di pensieri coscienti e strumentali che ruotano intorno a un tema e che si presentano anche quando non esiste nessun stimolo ambientale.

Nella timidezza e in altre forme di ansia sociale, la ruminazione è, in primo luogo, ripetizione, quasi ossessiva, del ricordo; in secondo luogo, è valutativa delle esperienze trascorse e del sé o degli altri.

Proprio per queste due caratteristiche è un attivatore di ansia ed emozioni anche in modo prolungato.


10 dicembre 2015



L’individuo rimugina quando pensa di avere un problema da risolvere nel futuro. Quando quest’attività cognitiva si protrae nel tempo e acquisisce carattere ossessivo e incontrollabile, diventa disfunzionale.

Il rimuginìo si caratterizza per essere un processo cognitivo che consiste in una continua ripetizione di pensieri e, questi, si esprimono nella forma prevalentemente verbale. 

I pensieri del rimuginìo patologico ineriscono l’idea dell’altissima probabilità che si verifichi l’evento temuto, dell’insostenibilità e terribilità di tal evento.

Claudia Venuto - trittico obsession

Il rimuginìo è sempre riferito al futuro, diversamente dalla ruminazione che è un processo cognitivo analogo ma che si riferisce al passato o al presente. 


3 dicembre 2015


Gli ansiosi sociali e le persone timide, in quanto tali, inanellano serie consecutive d’insuccessi.

Gli incidenti di percorso capitano a tutti, l’errore è a portata di mano per qualsiasi persona. Tuttavia, l’incidenza e la frequenza degli insuccessi sono decisamente superiori negli ansiosi sociali.

La causa di ciò è dovuta al fatto che essi adottano comportamenti disfunzionali che, a loro volta, sono il risultato di processi cognitivi inquinati da credenze inadeguate, emozioni di paura, sintomi d’ansia, metacredenze

Elisabetta Fontana - Buio dell'anima
L’insieme di questi fattori “inquinanti” costituisce un mix che danno vita al circolo vizioso che alimenta l’ansia sociale.

Talvolta, però, gli insuccessi cui vanno incontro gli individui timidi, sono semplicemente dovuti a fattori contingenti.

Il problema si pone nel momento in cui l’ansioso sociale, nella valutazione dell’esperienza, attiva determinate modalità cognitive

  • Personalizza l’insuccesso conferendo a se stesso come persona, e alle proprie capacità, la colpa dell’esperienza negativa; 
  • Per la valutazione dell’evento, adotta l’astrazione selettiva, per cui vengono ignorati sistematicamente tutti gli elementi contingenti e/o indipendenti dal comportamento del soggetto; 
  • Non prende, nella dovuta considerazione, l’influenza dell’inibizione ansiogena;
  • Valuta in chiave negativa i fattori neutri e, talvolta, anche quelli positivi.


24 novembre 2015



Introduzione

Ho più volte espresso il principio della notevole influenza ambientale nella formazione di sistemi cognitivi disfunzionali. 

Il formarsi della tendenza sistematica all’autocritica feroce nelle persone timide e ansiosi sociali è uno degli esempi più evidenti del potere permeante dell’ambiente sociale in cui tali soggetti crescono e vivono.

Gli studi che dimostrano questa diretta correlazione sono, oramai, numerosi. 

Elisabetta Fontana - anima a brandelli
Anzi, possiamo affermare che le ansie sociali sono, sostanzialmente, il prodotto storico delle interazioni di un individuo con le figure (e i ruoli) di riferimento.

Oggi sappiamo che i comportamenti reiterati nel tempo concorrono, nella mente, di un bambino, soprattutto nei suoi primi anni di vita, alla formazione di “condizionamenti cognitivi operanti”.

Tali condizionamenti sono assorbiti nella memoria in termini di definizione del sé, degli altri e del mondo, e “emozionalizzati “, soprattutto nei soggetti a più alta reattività ansiosa. 


17 novembre 2015



L’attività di controllo è, di per sé, un processo metacognitivo.

Nelle persone timide e negli ansiosi sociali, differiscono tra loro in ragione dello scopo perseguito. 

Possono essere di ricerca per l’affermazione e/o verifica della validità di credenze e assunzioni, espressione di metacredenze e confirmatorie della loro utilità, avere finalità preventiva. 

Domenico Dell Osso
Controllo di impulsi opposti attraverso la ragione
L’aspetto dell’attività di controllo, dagli effetti più pervasivi, è quello che si presenta come meta credenza su se stessa. In questi casi gli ansiosi sociali hanno tre modi di considerarlo. 

Il controllo come attività positiva e necessaria per evitare che si verifichi ciò che si teme, per evitare di trovarsi impreparati nelle situazioni temute, per poter predisporre una strategia di fronteggiamento che in genere è l’evitamento. 

Questa visione di validazione del controllo serve anche a soddisfare il bisogno di certezza assoluta riguardo il soddisfacimento dell’ antiscopo, cioè evitare ad ogni costo il verificarsi degli eventi temuti che, però, impedisce il raggiungimento dello scopo desiderato (ad esempio, evitare di approcciarsi alla persona desiderata per evitare un insuccesso). 


10 novembre 2015


Nel tentativo di spiegare e fronteggiare la propria sofferenza e disagio, le persone timide e gli ansiosi sociali, elaborano delle teorie personali.

Queste rientrano in un ambito più ampio che è quello delle teorie della mente che l’uomo produce e con le quali, si spiega e prevede il comportamento degli altri e quello proprio. Si tratta della psicologia “fai-da-te”.

Teorie della mente quasi sempre ingenue o naif che si formano subendo l’influenza della storia delle proprie interazioni sociali, delle esperienze e delle emozioni che le hanno accompagnate.

Luigi De Gennaro - tracce di memoria
Le teorie psicologiche personali degli ansiosi sociali riguardano sia l’attribuzione delle cause della sofferenza, sia l’individuazione dei rimedi.

Nell’attribuzione delle cause possiamo notare due indirizzi generali: quelli che rimandano a fattori interni (genetici, biologici, qualità e abilità personali, il passato) e quelle orientate verso fattori esterni (la famiglia, la scuola, l’ambiente sociale, la società, eccetera).

Una prima criticità di queste teorie psicologiche risiede nella loro stessa costruzione: sono strutturate sulla base della propria esperienza personale e non su esperienze collettive e verificabili nella loro oggettività.

5 novembre 2015




premessa

Già dalla nascita l’essere umano organizza le proprie esperienze in strutture mentali che hanno il compito di: 

  • Governare l’elaborazione delle informazioni.
  • Generare le rappresentazioni del mondo.
  • Generare condizioni, aspettative e azioni.


Mariarita Renatti - follie
Queste strutture sono chiamate schemi e ciascuno di essi è costituito da un insieme d’idee e convincimenti legati da un filo tematico comune, organizzati in modo gerarchico, che generano interazioni reciproche tra loro. 

In pratica, uno schema è un insieme di credenze e metacognizioni interagenti, che si attivano in risposta a una tipologia comune di stimoli.

L’insieme degli schemi costituisce il sistema cognitivo.


Quando degli individui stanno per entrare in relazione tra loro, in ognuno di essi, nella loro mente, si sono già attivati degli schemi che rappresentano il modello di sé, quello dell’altro e quello della relazione tra sé e l’altro o gli altri: tali schemi sono, infatti, chiamati schemi interpersonali.


28 ottobre 2015


Oggi vi parlo di un aspetto particolare cui i timidi e gli ansiosi sociali non fanno caso sia nell’esperire i processi cognitivi e metacognitivi, sia a posteriori di questi.

In più occasioni ho parlato di quanto gli ansiosi sociali e le persone timide abbiano bisogno di adottare strategie di controllo nel tentativo di governare gli eventi.

Francis Picabia - i sensi
Preciso che quando parlo di convinzioni, metacognizioni, credenze, cognizioni, pensieri, mi riferisco a elementi disfunzionali, soggiogati dalle dinamiche proprie delle ansie sociali; non sono messe in discussione potenzialità e capacità logiche, mi riferisco a processi emozionali della mente.

Quella del controllo è una funzione che viene adottata in relazione a tre fattori principali. 

Il primo fattore è l’intolleranza all’incertezza, quindi, la necessità di evitare ogni forma d’incertezza, di ambiguità, di neutralità. 
La persona timida adotta un modello dicotomico della realtà, ha bisogno di certezze: tutto ciò che è intermedio tra gli opposti, è vissuto come predittore di negatività. A lei non piacciono le situazioni incerte, ambigue, neutre; avverte il bisogno di sapere con che cosa deve misurarsi e cosa deve evitare. Ecco perché il controllo diviene una strategia di primaria importanza.


20 ottobre 2015


Chi ha a che fare con l’ansia sociale o la timidezza sa molto bene cosa sono i pensieri negativi anzi, vive anche il problema di non riuscire a liberarsene. Sa che sono fattori determinanti della sua condizione, è cosciente che l’imbrigliano e che condizionano i suoi rapporti con gli altri. 

Tuttavia, a parte te, mio lettore attento e altri che si documentano evitando di rivolgersi ai profeti, le persone timide e gli ansiosi sociali in generale, non riescono a spiegarsi perché.

Salvador Dalì
 incontro dell illusione col momento fermo
Qualcuno ci prova, ed elabora teorie personali in una confusa atmosfera.

L’unico contatto cosciente che si ha con quella parte del sé interiore che non si sa raggiungere, sono i pensieri automatici negativi ma anche le abitudini metacognitive come il rimuginìo, la ruminazione, la preoccupazione; in pratica, pensieri e stili di pensiero, o strategia di coping cognitivo, che predicono l’avvicinarsi dei comportamenti ansiosi.

Ho più volte accennato al circolo vizioso delle ansie sociali e della timidezza, di come ogni fattore che interviene nell’attivazione, nel mantenimento e nello stato esecutivo dei processi ansiosi, svolga, al tempo stesso, la funzione d’induttore e di conseguenza.

Gli individui timidi, catturati da questo vortice fatto di paure, sentimenti d’incapacità, manifestazioni d’ansia, e flussi in piena di pensieri negativi, non riescono a far altro che focalizzare la propria attenzione su queste esperienze interne. Si tratta di focalizzazioni condizionate da una serie di fattori primari:

12 ottobre 2015



Ho spesso sentito descrivere, da persone timide, il proprio comportamento come “indossare una maschera”, “recitare” un ruolo non proprio; una descrizione che rende bene l’idea dello stato emotivo che vivono gli ansiosi sociali e anche lo spirito che gli spinge a comportamenti di protezione. La loro recita è forzosa e quasi sempre incontrollata. 

Infatti, se l’attore di teatro recita un ruolo facendo una scelta volontaria e quindi cosciente, egli è capace di controllare e modulare la propria recitazione; l’ansioso sociale quella maschera la subisce. 
La recitazione della persona timida non è fluente, è impacciata, risponde a impulsi automatici.

Domenico Dell'Osso :
L affermazione è il punto di partenza
il primo passo
 che apre la via al cambiamento
Una ragione di ciò, sta nel fatto che i processi cognitivi e il comportamento dell’ansioso sociale, operano avendo come obiettivo l’antiscopo, cioè quello di evitare che avvenga ciò che si teme. 

La loro attenzione si concentra ed è finalizzata all’obiettivo di evitare anziché al fare.

A conti fatti, piuttosto che perseguire gli scopi inerenti la propria realizzazione sociale, paradossalmente, e senza che se ne rendano conto, le persone timide, si pongono, come obiettivo, che il proprio scopo di socialità non avvenga.

L’individuo timido indirizza la propria attenzione su ciò che giudica terribile e assolutamente da evitare, e in questo tragico tentativo si allontana dall’ affermazione di sé

Come saprai, l’insieme degli scopi costituisce il sistema motivazionale dell’individuo. 

Lo scopo, in sé, è la cognizione di uno stato delle cose che si desidera o intende raggiungere. 

Si può dire che la funzione dello scopo è di orientare i processi mentali e i comportamenti per il raggiungimento dell’obiettivo.

Gli scopi possono avere una polarità positiva o negativa. 

Nella prima si assumono valori e significati che permettono di dare un senso ai vari livelli o gradi di realizzazione degli scopi.

Nella polarità negativa ciò che conta è il non avvenire, la certezza che l’evitamento di ciò che si teme sia del tutto compiuto; il valore della certezza esclude livelli intermedi di raggiungimenti dello scopo. 

Le due polarità s’inibiscono reciprocamente. 

Faccio un esempio: poniamo che Tizio sia una persona timida e che abbia il terrore di essere rifiutato e di subire il giudizio altrui, poniamo anche che ami Caia e che, quindi, il suo scopo è di conquistare il suo amore. 
Quando Tizio deve approcciarsi a Caia, nel tentativo di relazionarsi con lei, viene subissato dalle sue paure del rifiuto, di fallire e di diventare oggetto di giudizio da parte degli altri. 
La sua mente è pervasa da un flusso di pensieri automatici negativi che da una parte definiscono Tizio come persona incapace e dall’altra fanno previsioni di fallimento, di rifiuti, di sberleffi, di maliziosi sogghigni, dei giudizi di incompetenza e incapacità.
Avendo, Tizio, il terrore di questi rischi prefigurati dai suoi pensieri previsionali, si trova di fronte al bisogno, che ben presto si trasforma in una necessità, di dover evitare, assolutamente, il rifiuto di lei e il fallimento sociale di lui stesso. 
A questo punto lo scopo di conquistare Caia viene subissato da uno scopo opposto, evitare di essere rifiutato da Caia. 

La polarità positiva dello scopo (conquistare Caia) è negata dall’antiscopo, cioè la polarità negativa dello scopo che è quella di evitare di conquistare Caia.

I soggetti timidi sono spesso coscienti che i propri comportamenti, da ansiosi, danneggiano se stessi, tuttavia non riescono ad agire diversamente, perché nelle situazioni ansiogene, la loro mente è dominata da processi cognitivi e metacognitivi negativi. 
Difficilmente hanno consapevolezza del fatto che assumono, come scopo, la sua stessa negazione: l’antiscopo.

E tu, hai fatto caso al tuo antiscopo?




5 ottobre 2015



È importante non colpevolizzarsi per ciò che si fa e per quel che si è: È la timidezza (o l’ansia sociale) che induce a certi comportamenti e a certi pensieri, non la persona in sé.

Così come va tenuto conto che i pensieri non sono la realtà e nemmeno te, sono solo pensieri.


Domenico Dell'Osso - Accettando i limiti ci si rende liberi
Certamente la non consapevolezza di cadere nel “tranello” teso dalle paure e dai pensieri disfunzionali, ha il suo peso. Infatti, se hai consapevolezza, hai anche una maggiore possibilità di scelta e quindi di decisione.

Tuttavia s’incontrano delle difficoltà sulla via al cambiamento, non si affronta solo l’inconsapevolezza, ma anche la paura del nuovo, di ciò che, non essendo mai stato vissuto, non si conosce; e poi la paura di fallire: “Sarebbe terribile se fallissi anche in questo”. 

La resistenza al cambiamento trova la sua ancora in quei comportamenti e a quelle strategie cognitive di difesa cui si è abituati. Si evita per evitare una sofferenza, per non vivere un’intensa ansia, per liberarsi dalla paura e perché, per l’immediato, l’evitamento cognitivo e comportamentale ha i suoi effetti benefici. 


30 settembre 2015


Con quanti pensieri una persona timida dice a se stessa che è inadeguata? 

Spesso se lo dice senza neanche accorgersi d'averselo detto; se lo dice quando si convince di sapere come andrà a finire; se lo dice quando deve fronteggiare una situazione; se lo dice dopo ogni rinuncia, ogni fuga, ogni evitamento, ogni insuccesso percepito; se lo dice quando stabilisce cosa fare o non fare; se lo dice con immagini mentali; se lo dice con puri atti di coscienza; se lo dice nel suo dialogo interiore:

Claudia Venuto - come in alto così in basso
Non sono capace di farlo”; “Loro sono più bravi di me”; “Se dico qualcosa, rischio di fare un gran figuraccia”; “So bene che non devo esprimere il mio pensiero”; “Non so cosa dire”; “Sono un fallito/a”, “Penserà che sono stupida/o”; “Se dico la mia penseranno che sono cretino/a”; "Il mio valore dipende da quello che gli altri pensano di me "; "per quel che ho fatto non merito niente "; ”Sono sbagliata/o”; “Sono difettosa/o”; “Ho qualcosa che non va”; Cos’è che non va in me?”; “Sono solo uno/a sfigato/a... la mia vita non ha senso”; “Uno che alla mia età' non ha né una macchina, né una vita sociale, né un fidanzato/a, è proprio un/a fallito/a”; “Mi sento ingenuo/a, stupido/a, cretino/a”; “Non conquisterò mai il suo cuore, sono incapace di farlo”; “Non sono capace di amare”; “Non ho preso l’esame, perché sono un/a incapace”; "Se ho paura di sbagliare all'esame, vuol dire che sono scarso/a"; "Il fatto che non riesco ad avvicinarmi alla persona che amo vuol dire che non sono capace di amare"; “Se non sono amato/a, vuol dire che sono sbagliato/a”; “Se gli altri non mi stimano, significa che sono un/a fallito/a”; “Se commetto un errore vuol dire che non sono affidabile”; “Se mi respinge, vuol dire che non sono attraente”; “Farò sicuramente una brutta figura”; “Quello che faccio non è mai importante”; “Non ispiro nessuno”; “Non interesso a nessuno”; “Sono ridicola/o e sfinita/o da me stessa/o, perciò il problema sono io”; “Non riesco ad andare avanti così, non servo davvero a niente”; “Se sono timido/a, è perché sono un/a imbranato/a”; “Ogni giorno ho una fissazione nuova, perciò ho capito che sono pazza/o”; “Sono talmente negata/o e perdente, che non mi vorrà mai nessuno”; “Se mi sento sfigato/a e scemo/a, è vero”.


24 settembre 2015



Gli ansiosi sociali, e quindi anche le persone timide, non amano trovarsi in situazioni ambigue, interlocutorie, né in interazioni sociali neutre o incerte; non amano le comunicazioni che non esplicitano significati certi.

Gli studiosi chiamano “intolleranza dell’incertezza” questo modo di percepire, interpretare e reagire, sia emotivamente, sia con i comportamenti, le situazioni d’incertezza.

Gli ansiosi sociali, se sono chiamati a fare una valutazione di tali situazioni, le descrivono come stressanti, procuratrici di disagio, persino assurde.

Domenico Dell'Osso - La vita non ha riva
L’incertezza è considerata come qualcosa d’inaspettato, imprevedibile, incontrollabile. D’altra parte, va tenuto in conto che una persona afflitta da ansia sociale tende a valutare le cose, gli eventi e le situazioni, in termini dicotomici.

Dal punto di vista dei soggetti ansiosi, l’incertezza delinea un futuro vuoto e che, pertanto, è premonitore di negatività.

In breve, gli individui timidi considerano, quelli incerti, eventi negativi e da evitare.

L’intolleranza dell’incertezza è, dunque, un costrutto che si presenta come una distorsione cognitiva che valuta negativamente tutto ciò che non sia ben delineato, che non abbia possibilità d’interpretazioni uniche e precise.

L’incertezza è una condizione che non esclude il rischio, il pericolo, il danno. 

16 settembre 2015


Tra i principali comportamenti e attività metacognitive, tipiche della timidezza e delle ansie sociali, è quella del controllo.

La persona timida o ansiosa sociale svolge le sue attività di controllo in due direzioni, verso se stessa e verso gli altri.

Il controllo indirizzato verso se stessi è un’attività metacognitiva attenzionale volta a valutare le proprie esperienze interne, i propri processi mentali, i propri comportamenti. 

John Everett Millais - morte di Ofelia
L’ansioso sociale avverte preminente il bisogno di verificare la congruità del proprio comportamento, delle proprie performance e dei suoi stessi processi mentali.

Infatti, ponendosi degli standard elevati, e avendo delle credenze negative riguardanti prerogative e capacità personali, sta sempre a controllare tutto ciò che non corrisponde ai suoi criteri da perfezionista, e tutto quanto possa confermare gli schemi cognitivi in cui crede, ma di cui non s’accorge della loro insita disfunzionalità.

11 settembre 2015



La rabbia che scaturisce dalle esperienze emotive dei soggetti timidi e degli ansiosi sociali, può orientarsi in due direzioni, nei confronti degli altri e verso se stessi.

Quando la rabbia è rivolta verso se stessi, i pensieri dominanti sono quelli indirizzati verso una spietata e severa autocritica

Maria Rita Renatti - i am a monster
La persona timida, ansiosa, si rimprovera per non aver saputo gestire la situazione, per non aver saputo controllare se stessa, per non aver saputo cogliere le implicazioni, i significati, gli eventi prevedibili.

La rabbia diventa, quindi, espressione della valutazione di un’esperienza come di fallimento di sé come soggetto sociale, di sé come individuo, ma anche dolore di una sconfitta, per il proprio fallimento, per la propria presunta inadeguatezza.

In questo caso non c’è tanto la non accettazione dell’esperienza, quanto la non accettazione di se stessi. Non a caso la rabbia rivolta verso di sé, è spesso seguita e/o accompagnata anche da sensi di colpa.


1 settembre 2015


Tutti quanti noi, nel momento in cui percepiamo una situazione in cui sia insita una minaccia, che valutiamo come concreta e altamente probabile, assumiamo comportamenti che o ci pongano nelle condizioni di controllare gli eventi nel caso decidiamo di affrontare tale situazione, oppure che ci permettano di evitare il concretizzarsi dei rischi. 

Mariarita Renatti - follie 2
In breve, per rispondere a questi rischi, ricorriamo a comportamenti e processi mentali di difesa detti “coping”.

Dunque, tutti facciamo ricorso ai coping.

Nell’ansia sociale tali comportamenti di protezione costituiscono lo stile operante, abituale e sistematico che caratterizza e determina il riconoscibile tratto caratteriale del soggetto ansioso.

Perché questa differenza tra persone ansiose e non?

Gli ansiosi sociali, e le persone timide, hanno tutti, in comune, alcune paure: essere giudicati negativamente dagli altri, mostrarsi inadeguati agli occhi degli altri, andare incontro a un insuccesso certo.


29 agosto 2015



Una delle conseguenze pratiche della timidezza e di altre forme di ansia sociale sono la marginalizzazione e l’auto emarginazione.

Mentre nel primo caso l’esclusione sociale è dovuta a una difficoltà di comprensione oggettiva dei moti interiori dei soggetti ansiosi che rende problematico interagire con la persona timida; nel secondo caso si verifica il contrario.

La condizione interiore di un individuo timido è percepita a fondo e compresa, soltanto da chi vive la timidezza
Guido Aloise - emarginazione

Ciò perché l’uomo non ha il potere di leggere nella mente degli altri. Può percepirne gli stati ansiosi attraverso il comportamento, la condizione generale di difficoltà relazionale, in pratica attraverso elementi visibili. 

Va anche considerato che il linguaggio, soprattutto quello non verbale, può essere diversamente interpretato. 

Ad esempio una persona che si mostra distante, estraniato, può trasmettere sia l’idea di un atteggiamento di superiorità o da snob, sia un comportamento da inabilità sociale, dipende dalla storia culturale e personale di chi interpreta.

Capita che le persone, nel relazionarsi con un individuo timido, tentino inizialmente un atteggiamento empatico, mostrandosi comprensivi e cercando di andargli in aiuto; però, dato il permanere di comportamenti inibiti e tendenti all’evitamento, tipico delle ansie sociali, questi cominciano a sentirsi impotenti o anche frustrati. Da qui il deterioramento delle relazioni. 

In altri casi scatta un altro tipo di reazione, che è tipica del comportamento umano, la tendenza a evitare ciò che è associato alla sofferenza, alla difficoltà, alla condizione problematica.

Infatti, nella cultura umana, l’idea che la felicità sia più facilmente raggiungibile evitando ogni forma di sofferenza, è piuttosto radicata. È una delle ragioni per le quali molte persone non amano il cinema drammatico, preferiscono situazioni evasive, di divertimento. Frequentare una persona dai comportamenti mesti, sommessi, dall’aspetto triste, per taluni, può risultare o suscitare un’idea di contagio, per cui tendono ad allontanarsi. 

Questi comportamenti, diversamente da quanto sono portati a pensare le persone timide, non sono espressione d’indisponibilità, ma di difesa. 

In breve anche le persone non soggette ad ansia sociale, adottano comportamenti protettivi, solo che questi ultimi non sfociano nell’esagerazione, nell’inibizione, nell’evitamento sistematico, nell’automatizzazione del comportamento.

Anche il comportamento auto emarginante della persona timida produce, negli altri, una risposta marginalizzante, poiché l’auto isolamento è posta in relazione a indisponibilità al relazionamento o all’alta probabilità che ogni tentativo di relazionamento possa essere particolarmente problematico.

L’auto esclusione procurata dallo stesso soggetto timido può essere descritto come il risultato del comportamento evitante che ha sempre, come obiettivo, evitare la sofferenza che scaturirebbe dal verificarsi degli eventi e dagli effetti conseguenti temuti.

Un ruolo importante c’è l’ha anche il senso di non appartenenza, di marginale o precaria appartenenza ai gruppi sociali cui il soggetto ansioso si riferisce o tende a riferirvisi.

Non va neanche dimenticato che l’ansioso sociale si percepisce inadeguato e, pertanto, incapace di fronteggiare o imbastire, con efficacia, determinate tipologie d’interazione sociale.

Proprio per i fattori inibitori che le caratterizza, le persone timide, come tutti gli ansiosi sociali, hanno accumulato, nella storia delle loro esperienze relazionali, una serie d’insuccessi, spesso consecutive. 

La memoria degli insuccessi trascorsi è assunta come predittrice di fallimenti futuri. Ciò accentua il senso di precarietà di appartenenza.

Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che, generalmente, l’altro è visto come giudicante ed escludente, possiamo comprendere quanto il problema dell’accettazione sociale sia particolarmente preminente nella vita degli ansiosi sociali.

Percependosi come borderline sociale, gli individui timidi temono di incappare nel giudizio negativo degli altri; hanno paura che le loro vere, o presunte, inadeguatezze possano apparire evidenti agli occhi altrui; eventi che produrrebbero, secondo le loro ruminazioni predittive, la formalizzazione dell’esclusione sociale.

Il conseguente comportamento protettivo che adotta è quello evitante.

In conclusione, possiamo affermare che l’auto emarginazione possa descriversi come il tentativo di evitare il dolore della non appartenenza e dell’esplicitazione sociale del fallimento di sé come persona.

Tu che ne pensi?



13 agosto 2015


Nell’immaginario collettivo, la rappresentazione della timidezza è spesso legata all’immagine di un volto con il rossore sulle guance. Ne ritroviamo una rappresentazione iconografica anche nelle emoticon.

Chi mi legge da tempo, sa già che l’ansia, da una parte è, esternamente, l’indicatore dell’esistenza di uno stato emotivo e di pensieri collegati al senso d’inadeguatezza; dall’altra, come esperienza interna, è un segnale che ci avverte di una minaccia che incombe su di noi.

Il rossore al viso è la manifestazione fisiologica dell’ansia, e la conseguenza delle emozioni di vergogna o d’imbarazzo.

Questo significa che il rossore al viso è l’espressione di un variegato insieme di sentimenti di disagio. 

Luigi Zizzari - Ahi ahi... se ne sono accorti
Mentre la vergogna è da collegare alla convinzione di una personale inadeguatezza, vera o presunta che sia, l’imbarazzo è da collegare a un senso di colpa.

Ma perché l’arrossire è così frequente nella timidezza?

Sappiamo che la timidezza è uno stato mentale basato sull’idea dell’inadeguatezza e sulla conseguente paura di essere giudicati negativamente dagli altri.


5 agosto 2015



Nicoletta Spinelli
  la maschera 3
 particolare
Per vivere, l’uomo mira a stabilire relazioni, a delineare una propria identità sociale, ad affermare un proprio ruolo all’interno del gruppo cui appartiene o tende ad appartenervi; aspira a trovarsi nella condizione di poter agire in un ambiente aperto, rassicurante e in cui possa godere della fiducia altrui.

Tali scopi implicano il suo impegno per farsi accettare nel gruppo ed evitare di essere rifiutato o escluso dagli altri.


Proprio qua sta il problema principale riscontrabile nelle ansie sociali.

Nell’interazione relazionale, l’uomo sposta la sua attenzione verso l’interno o verso l’esterno secondo le esigenze che richiedono le situazioni: il suo obiettivo è trasmettere un’immagine positiva di sé.

Nelle persone timide, come in tutti gli ansiosi sociali, il problema non risiede nel voler dare una buona impressione di sé, cosa che appartiene alla normalità, ma nel fatto che dirigono l’attenzione in direzioni auto referenti; verso se stesse, nell’intenzione di monitorare il proprio comportamento e gli stimoli interni, per valutarne la congruità e verificare la presenza di minacce provenienti da se stesse; verso gli stimoli esterni ritenuti minacciosi per l’immagine di sé. 

In breve, la loro coscienza sociale si auto focalizza su aspetti rilevanti per il sé e alla ricerca di conferme delle proprie credenze disfunzionali.

Ciò comporta una notevole riduzione di energie attentive verso il compito, gli altri e il contesto.


29 luglio 2015



Per un ottimale equilibrio psicologico in ogni essere umano, è necessario avvertire un forte senso di appartenenza sociale. 

Non solo l’uomo è un animale gregario, ma ha anche sviluppato culture e modelli sociali ed economici di aggregazione basati sulla sinergia tra i componenti delle comunità. 

Nelle società umane l’interdipendenza dell’uomo è un dato di fatto conclamato e ben visibile; ciascun individuo è dipendente, per molti fattori, dalla comunità. Basti pensare a quanti soggetti facciamo ricorso per rifornirci di alimenti, vestiario, strumenti vari e servizi. 

Tutto ciò ha fatto accrescere, nel corso dei millenni, anche il bisogno e la necessità di una cultura della cooperazione tra individui. Unitamente a questi, e agli istintivi bisogni riproduttivi, si sono sviluppati culture e modelli di relazione tra gli umani.

Marc Chagall - solitudine
Il bisogno di appartenenza sociale (coppia, famiglia, gruppo, categorie d’attività, classe sociale, eccetera) è, dunque, molto radicato nell’uomo che a esso conferisce importanza primaria.

Tutto ciò ha una tale preminenza che l’essere umano comincia a sviluppare, sin dalla nascita, un’idea della dimensione "interazionale" e a collegare, a questa, una propria identità sociale.


22 luglio 2015


In tutte le forme di ansia sociale, e quindi anche nella timidezza, il problema fondamentale è quello di sé rispetto agli altri, di sé nelle relazioni con gli altri, di sé visto dagli altri.

Non a caso le ansie sociali sussistono proprio soltanto se relative alle relazioni con gli altri.

Nell’affermare che l’uomo è un animale sociale, si sottolinea una caratteristica fondamentale, insita nella natura umana, che ha notevole importanza e incidenza nella psiche, nel pensiero e nel comportamento.
Telemaco Signorini - la sala delle agitate

Maslow, nella piramide di bisogni umani, indica “amore e bisogni di appartenenza” tra i fattori primari che determinano la motivazione nell’uomo. 

Sin dalla nascita, la nostra mente lavora alla formazione della definizione del sé in rapporto agli altri, alla definizione degli altri in qualità di soggetti interagenti, alle qualità di sé in chiave di accettazione e partecipazione sociale. In pratica, costruisce una propria identità sociale.


11 luglio 2015


Quando Carl Rogers teorizzò la terapia centrata sul cliente, si pose anche il problema della motivazione per far fronte alla resistenza al cambiamento, e ideò il dialogo motivazionale. Da un po' di tempo, la terapia cognitivo comportamentale sta implementando, nelle proprie pratiche, il dialogo motivazionale.

Impegno e motivazione sono strettamente collegati. Senza motivazione non c’è l’impegno.

Pablo Picasso - lo spavento

Il problema, a mio parere, sorge da un conflitto tra ragione razionale e ragione emotiva, cioè tra la nostra razionalità cosciente e gli impulsi emotivi derivanti da quella parte del sistema cognitivo che è disfunzionale, e attiva i suoi strumenti di difesa o di aggiornamento, i cosiddetti stili di crescita della conoscenza

In condizioni normali, gli stili di crescita della conoscenza, fungono come strumento di adeguamento delle cognizioni per renderle più aderenti al mondo reale; e ciò è possibile quando le credenze sono insitamente elastiche. 

Infatti, in tali casi, il sistema cognitivo non viene a trovarsi mai con un vero e proprio vuoto interpretativo oppure, se capita, è per un tempo ragionevolmente breve, tale da non compromettere le possibilità di risposta agli stimoli. 

Purtroppo, negli ansiosi sociali, determinate credenze, quelle disfunzionali, quelle che si sono formate come interpretazioni emotive del reale, a scapito dell’interpretazione oggettiva, sono caratterizzate da rigidità e dalla difficile capacità di adeguamento.