Spostamento mirato dell’attenzione
Molte persone timide, per
fronteggiare i pensieri intrusivi, soprattutto nelle loro fasi ruminanti o
rimuginanti, ricorrono alla distrazione, cercano di dedicarsi a qualcosa, si
lanciano nelle attività che capitano loro a tiro, alla rinfusa, improvvisando.
Diversamente
da questa distrazione semplice e confusionaria, lo spostamento mirato
dell’attenzione punta a trasferire la concentrazione dell’attività cognitiva e
metacognitiva sull’obiettivo che ci si propone, sul compito che si va a
svolgere, sulla scena del contesto in cui si opera, sui contenuti da esprimere,
sulle persone.
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Frida Kahlo - radici |
Si tratta, dunque, dello spostamento dell’attenzione verso
l’esterno contingente. In questo modo, da un lato, si contrasta l’eccessiva
concentrazione su di sé, dall’altro, si tende ad allenare il soggetto a
spostare l’attenzione sul compito. Questa strategia è risultata essere
particolarmente utile a persone afflitte da fobia sociale, ansia da
prestazione, ansia da esame, varie forme di timidezza.
“Se lo scopo è aumentare il
flusso di dati confutativi nei processi di elaborazione, le strategie attentive
dovrebbero servire a concentrare l’attenzione sui dati contrari alle
convinzioni. Se il fine è migliorare le prestazioni, l’attenzione dovrebbe
essere rivolta alle componenti del compito rilevanti. Quando invece l’obiettivo
è riscrivere i piani metacognitivi di elaborazione delle informazioni, è
necessario che il paziente si alleni ad applicare le nuove strategie attentive
nelle situazioni critiche.” [A. Wells, disturbi emozionali e metacognizione, 2000]
Si tratta, perciò, di una
pratica particolarmente utile ai piani di ristrutturazione cognitiva.
Nuova relazione con l’esperienza
Per una qualsiasi persona
timida, uno dei problemi più ostici da affrontare, è il tipo di relazione che
instaura con le proprie esperienze interne, con gli stati emotivi, con gli
stati ansiosi, con il flusso dei pensieri negativi, con la condizione di
stress.
Siamo culturalmente e
istintivamente proiettati verso la tendenza a contrastare ciò che non ci piace.
Così, l’individuo timido, avverte che la propria mente è invasa da un flusso di
pensieri negativi e si sforza di non pensare; si sente pervadere dalle emozioni
di profonda tristezza, angoscia, paura e quant’altro, e si ostina a tentare di
bloccarle, anche al costo di dolorose rinunce.
Questa volontà di negazione e
non accettazione di quel che si prova, si traduce in un atteggiamento di guerra,
di avversione, che rende i soggetti timidi, e gli ansiosi sociali in generale, ostinati
a voler perseguire la strada del contrasto a tutti i costi.
Quella con le esperienze interne
diventa una relazione di conflitto. Il permanere di rapporti di forza vedono, i
timidi, perdenti in tale conflitto, li conduce involontariamente addirittura ad
alimentarlo.
Più si sforzano di fermare i pensieri negativi, più essi diventano
invasivi e distruttivi; più si adoperano a voler contrastare le tristi
emozioni, più esse diventano insistenti e intense. È’ chiaro che c’è qualcosa
che non va.
Bisogna cominciare a prendere
atto che le relazioni di conflitto con le proprie esperienze interne, non
pagano, anzi, danneggiano ulteriormente.
“Una distinzione utile è tra dolore e sofferenza. Il dolore occorre naturalmente ed è intrinseco al
vivere la propria vita. La sofferenza, invece, è il risultato della lotta per
evitare il dolore” [Long, Lazzarone, Hayes, l’Acceptance and Commitment
Therapy, 2010].
Abbiamo visto come questa
relazione conflittuale con le esperienze interne, si manifestano attraverso
l’evitamento esperienziale e la fusione cognitiva. Se con la prima forma si
concretizza la cultura della rinuncia e della fuga, con la seconda si finisce
con l’essere preda del masochismo esistenziale, nonostante l’obiettivo sia
quello di cercare soluzioni.
- Bisogna che le esperienze interne, non siano più ispirate al conflitto.
- Bisogna che ci si direzioni verso la conoscenza delle origini della sofferenza, delle sue forme, modalità, dei suoi tempi e le sue caratteristiche.
- Diventa necessario ispirarsi alla cultura dell’accettazione, della presa d’atto degli eventi, di diventare consapevoli che il passato non può mutare, che il presente è tale perché si verifica nel momento attuale e, che nel momento in cui si concretizza, è parte costituente e indelebile della nostra realtà oggettiva.
- Occorre che si prenda consapevolezza che qualsiasi pensiero e qualsiasi emozione, hanno carattere di finitezza, che hanno una vita temporale molto breve e che, quindi, non possono durare in eterno.
- Occorre che si prenda consapevolezza che i pensieri non sono la stessa persona che li pensa.
I pensieri non possono non
venire alla nostra mente, poiché la funzione stessa della mente è quella di
pensare. Non possiamo evitare che la mente smetta di pensare. Non possiamo
evitare che i pensieri negativi si presentano nello scenario della nostra
mente.
I pensieri negativi e, di
conseguenza, le emozioni negative che ne derivano, sono parte costituente della
vita umana, in quanto tali, non sono evitabili.
Il dolore e la sofferenza,
bisogna che lo si accetti, sono parte della vita umana e persino di quella
animale.
Però, si possono gestire. Le
tecniche della consapevolezza distaccata, della meditazione consapevole, quelle
attentive, possono modificare la relazione con le esperienze interne.
CONTINUA ALLA QUARTA PARTE
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