Agli esseri umani non piace soffrire, e ciò è del tutto
comprensibile.
Nella nostra società si ritiene che l’evitamento, tout court,
della sofferenza conduca, con maggiore facilità, alla felicità. Così si sono
sviluppati stili metacognitivi che tentano di attuare un controllo verso le
proprie esperienze interne. La cultura che ne è conseguita, considera tali
logiche assolutamente perseguibili e positive, tant’è che l’evitamento è
trasmesso, appreso e incoraggiato.
È da qui che nasce la cognizione dell'evitamento
Un giocatore di scacchi sa che, talvolta, è preferibile
sacrificare la regina per vincere la partita.
La timidezza fa, di questo evitamento, uno stile di vita che
la caratterizza e che è, al tempo stesso, boia e prigione.
Maria pensava che non impegnandosi nello studio, non avrebbe
sofferto la delusione se all’esame le fosse andata male. Un parere simile lo
esprimeva anche Alba sostenendo che è meglio fare una previsione in negativo di
un evento da affrontare, perché in tal modo, se le cose non vanno bene, non ci
si sta male. Andrea è dell’idea che non avere interessi aiuti a non soffrire.
Michele non si approccia alla donna che ama da mesi perché, se fosse respinto,
la sofferenza del fallimento sarebbe troppo forte. Adele rifiuta ogni invito a
fare da relatrice in convegni e consessi vari, perché, se non riuscisse a
essere perfetta, il suo fallimento, l’accompagnerebbe per tutta la vita.
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Ennio Calabria - il vento si scaglia contro le cose |
Così Maria continuava a mietere bocciature, a sentirsi una
fallita e a star male per questo. Alba arrivava al momento clou, talmente
convinta di fallire, che si bloccava per la paura e, di conseguenza, ci restava
male e le venivano anche i sensi di colpa. Andrea non avendo interessi, è
piombato nell’apatia, se ne sta chiuso nella sua stanza in preda ai pensieri
negativi, a sentirsi un asociale e a star male per questo. Michele ha visto la
sua amata accoppiarsi e ora sta male da morire. Adele non ha fatto carriera,
vede altri colleghi meno bravi di lei scavalcarla nell’organigramma dell’azienda,
si sente una fallita e vede nero il suo futuro.
Tutte queste persone hanno sperimentato, sulla propria
pelle, che la paura della sofferenza produce, di per sé, altra sofferenza.
Che
senso ha soffrire per una vita intera per evitare il rischio, neanche la
certezza, di soffrire per una sola ora o un solo giorno?
Che senso ha arrabattarsi
per evitare una sofferenza presunta, quando poi il risultato è comunque
sofferenza?
Nello stesso momento in cui si pensa di dover evitare una
sofferenza, si ragiona sulla base di una previsione, cioè su fatti non ancora
accaduti e di cui non è ancora dato l’esito, poiché riguardano il futuro.
Nella timidezza il pensiero previsionale negativo la fa da
padrone.
Lo sforzo di voler evitare la sofferenza esprime la mancata
considerazione del fatto che la vita è mutevole, e che quindi riserba, per ciascuno
di noi, una vita fatta di momenti felici e di momenti infelici.
È la non
accettazione della varietà insita nella vita umana.
È anche scollegamento,
discrepanza, tra realtà e pensiero, tra vita reale e interpretazione della vita
come fenomeno di base.
Da questo puntò di vista, le ansie sociali, come la
timidezza, con l’evitamento della sofferenza, decretano il mancato adattamento
strutturale, in termini cognitivi, alla vita sociale.
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