Con quanti pensieri una persona timida dice a se stessa che è inadeguata?
Spesso se lo dice senza neanche accorgersi d'averselo detto; se lo dice quando si convince di sapere come andrà a finire; se lo dice quando deve fronteggiare una situazione; se lo dice dopo ogni rinuncia, ogni fuga, ogni evitamento, ogni insuccesso percepito; se lo dice quando stabilisce cosa fare o non fare; se lo dice con immagini mentali; se lo dice con puri atti di coscienza; se lo dice nel suo dialogo interiore:
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Claudia Venuto - come in alto così in basso |
L’idea di essere inadeguati pervade la mente di tutti gli individui timidi.
Si può dire che è la struttura cognitiva di base di tutte le forme di ansia sociale; il contenuto di memoria che costituisce l’informazione primaria di sé.
Su questa si basano e formano i costrutti metacognitivi e tutti gli altri processi mentali che si esplicitano, esternamente, nel comportamento, e internamente, nella loro fenomenalizzazione circolare.
L’idea dell’inadeguatezza può riferirsi a specificità ristrette o singole, o essere molto includente o globalizzante della persona.
Ho più volte parlato delle credenze di base, quelle definizioni del sé, degli altri o del mondo, dal carattere dichiarativo e sintetico. In queste, l’idea dell’inadeguatezza, si fa indicativa dell’indirizzo tematico, ma per la sua sinteticità non determina l’ampiezza del campo di applicazione.
Va detto che, la disfunzionalità, insita nelle ansie sociali e nella timidezza, non è il risultato di una semplice dinamica meccanicistica di causalità lineare da ricondurre esclusivamente alle credenze di base: quest’ultime stesse sono il risultato dell’evoluzione dell’idea di sé che si è dispiegata lungo la storia delle interazioni sociali e interiori del soggetto.
Tale disfunzionalità è anche un processo d’interazioni tra cognizioni, emozioni, percezioni corporee, fenomeni neurologici; e questi danno vita a processi come il restringimento dell’attenzione (focalizzazione sui pericoli temuti e le qualità negative proprie presunte), l’evitamento, la polarizzazione degli scopi.
Ciò significa che c’è anche produzione di metacognizioni che giustificano, alimentano, e regolamentano l’esplicitazione stessa dell’idea d’inadeguatezza.
Ci s’inventa una marea di se condizionali, di obblighi comportamentali, di modi di analizzare e valutare se stessi, di stili e strategie logiche per gestire o nascondere la presunta inadeguatezza, comportamenti per farvi fronte, di ragionamenti che invertono l’ordine di causalità ed effetto, per cui le conseguenze sono considerate cause, e le cause diventano effetti (es. “se sono timido, è perché sono un imbranato”).
Tuttavia, il senso d’inadeguatezza non è solo ciò che l’ansioso sociale, il timido, dice o racconta a se stesso: essi lo “sentono”, ne avvertono la percezione quasi sempre vaga; è nelle loro paure e nelle loro emozioni. Permea le loro azioni.
Il comportamento evitante, ad esempio, è la fuga dal rischio di essere smascherati per ciò che si teme di essere, la fuga dal dolore procurato dalla propria inadeguatezza, un pericolo considerato immanente e imminente.
E tu cosa pensi di te?
Salve Luigi, leggo spesso con piacere, si ricorda di me?
RispondiEliminaQuesto articolo, così come altri, offre molti spunti di riflessione.
E’ incredibile come dei singoli pensieri diventino poi concreti, la base su cui si forma la realtà e la influenza.
Il problema inizia quando si riceve (o si percepisce) un feedback negativo dall'esterno, che va a confermare e consolidare quei pensieri negativi. Così si crea quel circolo vizioso in cui poi non si riconosce più la differenza tra un pensiero e la realtà, perchè si influenzano reciprocamente. Siamo noi che ci costruiamo una realtà su misura del nostro sentirci inadeguati, e poi crediamo di non essere stati capaci di avere di meglio. Invece è stata una scelta dettata dalla paura. Anche se le capacità ci sono, è talmente grande il timore che queste non vengano riconosciute, apprezzate, di non essere accettati e amati, che si preferisce fuggire per non rischiare.
Ma se si è arrivati a questo punto, forse è perchè non era possibile fare altrimenti, in quanto non consapevoli di questo tranello. Quindi quello che direi a un timido (e a me stessa!) è di non colpevolizzarsi di aver avuto paura e di aver evitato tante situazioni. Bisogna solo esserne consapevoli, che è già una grande cosa, senza giudicarsi ulteriormente...ci manca solo il sentirsi colpevoli di qualcosa di cui non abbiamo colpa, e cioè essere diventati timidi!! Ora che conosco il tranello dei pensieri e delle credenze... beh, continuo ad avere spesso paura, ma provo a gestirla, in primis perchè so che ci sono delle probabilità che le mie previsioni siano sbagliate, e sono curiosa di verificarlo; e in secondo luogo perchè anche se qualcosa andasse male, sarebbe comunque peggio il non aver tentato e rimanere fermi nella stessa situazione!! Il continuare a lamentarsi senza far niente! Non c’è cosa peggiore per la propria autostima. Se si fallisce, almeno si può pensare: "ho avuto il coraggio di farlo", "ho affrontato le mie paure", "sono stato attivo e non passivo". C'è comunque un qualcosa di positivo. Mentre se non ci si prova nemmeno, si evita il forte carico di ansia, ma andiamo a riconfermare il pensiero di essere deboli, fifoni, degli inetti...
In fondo essere timidi ci pone davanti a continue sfide per conquistare cose che per gli altri sono scontate. E in questo percorso credo ci sia qualcosa di prezioso e affascinante: la possibilità di capire se stessi, di scoprire il proprio valore più profondo, di amarsi e accettarsi; e soprattutto di ritrovarsi, ritrovare quella spontaneità persa, ritrovare la libertà dalle nostre prigioni mentali.
Ciao Linda
EliminaChe piacere ritrovarti! Ricordo bene di te e dei tuoi commenti, ricordo che mi hai anche ispirato un articolo, ed è successo anche adesso che ho letto quest’ultimo tuo commento.
Leggo tanta motivazione nelle tue parole, e ne sono felice. È vero che la timidezza ti pone di fronte a sfide che ai non ansiosi non capitano. In questo, in un certo senso, bisogna cogliere il piacere della scoperta. Il cambiamento è un percorso che va vissuto con lo spirito dell’esploratore, del pioniere, alla scoperta di se stessi e di nuove modalità di percepire se stessi, gli altri e gli eventi. L’accettazione passa per un nuovo modo di vivere il rapporto con le proprie esperienze interne.
Per altri contenuti, ti risponderò con l’articolo che mi hai suscitato. Vorrei intitolarlo “Lettera a Linda sulle vie per superare la timidezza”, mi permetti di riferirmi a te utilizzando anche il tuo nome?
Mi fa davvero piacere l’apprezzamento per i miei commenti, non immaginavo potessero fare questo effetto.
RispondiEliminaDirei che ci ispiriamo a vicenda!
Grazie per il gentile pensiero del mio nome nel titolo, ne sono onorata, ma non diventerebbe poi troppo "personale"? Anche perché, in previsione dei miei prossimi commenti, vorrà mica dedicarmi tutto il blog? :-)
Mi fa piacere che pensi di contribuire con altri commenti, risulteranno utili anche per i lettori. Conoscere le esperienze di chi affronta percorsi di cambiamento e ne racconta pensieri ed emozioni, penso sia molto motivante e chiarificatore sulle cose che ci si può aspettare.
EliminaI tuoi commenti fanno piacere perché fai riferimento ad aspetti che non vengono colti frequentemente, per cui, per me, sono occasione per approfondire.
Non ti dedico il blog, a te ha già pensato Lucio Battisti con “balla Linda”.
L’articolo di cui abbiamo discusso, sarà pubblicato il 5 ottobre con il titolo “Sulle vie per superare timidezza e ansia sociale”.