Tra i principali comportamenti e attività metacognitive,
tipiche della timidezza e delle ansie sociali, è quella del controllo.
La persona timida o ansiosa sociale svolge le sue attività di controllo in due direzioni, verso se stessa e verso gli altri.
Il controllo indirizzato verso se stessi è un’attività
metacognitiva attenzionale volta a valutare le proprie esperienze interne, i
propri processi mentali, i propri comportamenti.
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John Everett Millais - morte di Ofelia |
L’ansioso sociale avverte
preminente il bisogno di verificare la congruità del proprio comportamento,
delle proprie performance e dei suoi stessi processi mentali.
Infatti, ponendosi degli standard elevati, e avendo delle
credenze negative riguardanti prerogative e capacità personali, sta sempre a
controllare tutto ciò che non corrisponde ai suoi criteri da perfezionista, e
tutto quanto possa confermare gli schemi cognitivi in cui crede, ma di cui non
s’accorge della loro insita disfunzionalità.
Poi ci sono le attività di controllo rivolte verso gli
altri. Queste rivestono particolare importanza per gli individui timidi in
quanto s’innestano nel loro desiderio di appartenenza e accettazione sociale da
parte degli altri.
In questi casi i loro scopi principali riguardano da un
verso, l’evitare di mostrare agli altri segnali di debolezza e/o fragilità
emotiva; dall’altro verso di dimostrarsi inadeguato.
Percependosi in qualche modo sbagliato, il soggetto timido,
come ogni ansioso sociale, teme la trasparenza, la visibilità della sua
imperfezione, della sua “difettosità”.
Queste, infatti, sarebbero le giuste inevitabili ragioni che
lo portano a essere un escluso sociale.
In tali contesti non entra soltanto in gioco la percezione del sé, ma anche le credenze inerenti le qualità degli altri e le
caratteristiche del mondo sociale.
Quando nei processi mentali interagiscono tra loro le idee
negative del sé e quelle negative riguardanti gli altri e/o il mondo, i
risultati sono drammatici.
Gli assunti cominciano a essere del tipo “gli altri mi
escludono perché odiano i diversi”.
Data la tendenza umana alla generalizzazione, le inferenze arbitrarie i ragionamenti dicotomici, inducono gli ansiosi sociali a percepire
l’altro come un’entità ostile, insofferente e, in quanto tale, incline a
giudicare ed escludere.
Nel momento in cui si fanno strada queste logiche interpretative, l’azione di controllo verso gli altri produce la logica del
sospetto, e in tanti casi conduce alla paranoia.
Spesso, l’idea dell’altro giudicante diventa prevalente. In
questi casi l’individuo timido avverte la presenza degli altri come qualcosa di
invadente, avverte gli occhi altrui puntati su di sé, si sente valutato e
giudicato negativamente, oggetto di commenti non positivi, si sente al centro
dell’attenzione: gli altri sono incombenti, avversi, maligni.
Comincia a temere che la sua iniziale percezione di
appartenenza precaria sta per trasformarsi in una non appartenenza.
Il problema
dell’accettazione sociale si manifesta in modo evidente e in tutta la sua
drammaticità.
Quando un ansioso sociale, una persona timida, comincia a
pensare: “Ce l’hanno tutti con me”, si sta già consumando la sua sofferenza per
il dolore della non appartenenza.
In un certo senso, benché non ne siano coscienti, gli
ansiosi sociali come le persone timide, adottano metacognizioni e comportamenti
che vanno nella direzione di confermare tutto ciò che di negativo pensano di se
stessi e degli altri.
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