5 ottobre 2015



È importante non colpevolizzarsi per ciò che si fa e per quel che si è: È la timidezza (o l’ansia sociale) che induce a certi comportamenti e a certi pensieri, non la persona in sé.

Così come va tenuto conto che i pensieri non sono la realtà e nemmeno te, sono solo pensieri.


Domenico Dell'Osso - Accettando i limiti ci si rende liberi
Certamente la non consapevolezza di cadere nel “tranello” teso dalle paure e dai pensieri disfunzionali, ha il suo peso. Infatti, se hai consapevolezza, hai anche una maggiore possibilità di scelta e quindi di decisione.

Tuttavia s’incontrano delle difficoltà sulla via al cambiamento, non si affronta solo l’inconsapevolezza, ma anche la paura del nuovo, di ciò che, non essendo mai stato vissuto, non si conosce; e poi la paura di fallire: “Sarebbe terribile se fallissi anche in questo”. 

La resistenza al cambiamento trova la sua ancora in quei comportamenti e a quelle strategie cognitive di difesa cui si è abituati. Si evita per evitare una sofferenza, per non vivere un’intensa ansia, per liberarsi dalla paura e perché, per l’immediato, l’evitamento cognitivo e comportamentale ha i suoi effetti benefici. 


E questi sono i lati positivi dei comportamenti disfunzionali e delle strategie cognitive di difesa; ma hanno il rovescio della medaglia: per evitare certe sofferenze ci si condanna a una sofferenza permanente e subdola, ci si condanna a una vita sociale scadente o assente; a vedersi scavalcare dagli altri nelle carriere, nei ruoli; a sentirsi soli, falliti, inutili; a rafforzare la propria ansia sociale; a sviluppare i sensi di colpa per ciò che non si è fatto e per ciò che si è fatto in modo insoddisfacente; infine a giudicarsi negativamente.

L’accettazione allora diventa un punto nodale per il cambiamento. 

Dietro l’idea di fallire c’è un sentimento d’incapacità e questo implica il giudizio negativo di sé, la non accettazione di se stessi. 

Però si badi bene. L’individuo timido, l’ansioso sociale, è vero, non accetta se stesso; ma non è consapevole che non sta accettando un’identità che, seppure gli appare reale, nella realtà, non è il sé reale, ma l’idea che egli ha di se stesso: una identità fatta d’interpretazioni emotive, sia delle esperienze interne, che di quelle esterne. Si tratta, dunque, di un’idea emozionale di sé che non ha nulla a che fare con il mondo oggettivo.

Il sé reale, quello vero, è prigioniero dell’inibizione ansiogena, dell’identità emotiva e della non accettazione. 

Il sé reale non ha colpe, è un innocente considerato colpevole. La persona timida si giudica e si auto condanna. 

La prima ingiustizia che commette è contro se stessa. Ma anche questo lo fa senza consapevolezza. 

In questo processo, ha trasformato le supposizioni e le interpretazioni in fatti concreti, mutando la loro natura ipotetica in materia reale: ingiustizia è fatta.

Accettarsi significa interrompere questo processo giudicante, significa accogliere anche il valore della tolleranza e dell’amore per sé. Accettarsi significa smettere di essere in guerra con se stessi, dare una spallata ai sensi di colpa e all’idea che esistono solo esiti negativi nelle proprie esperienze future e nel proprio futuro prossimo.


Il cambiamento è un percorso che va vissuto con lo spirito dell’esploratore, del pioniere, alla scoperta di se stessi e di nuove modalità di percepire se stessi, gli altri e gli eventi. L’accettazione passa per un nuovo modo di vivere il rapporto con le proprie esperienze interne.

Allora si! Si apre la strada al concepire un orizzonte di possibilità, a trecentosessanta gradi. Cominci a pensare: “So che ci sono delle probabilità che le mie previsioni siano sbagliate, e sono curiosa di verificarlo”. 

Infatti, le ipotesi e le previsioni, per essere veritiere, si devono prima verificare materialmente, e non solo: nel caso si verificano, bisogna anche accertare le eventuali cause oggettive che hanno prodotto gli eventi previsti.

I timidi non sono individui stupidi, certe previsioni si possono verificare, il problema è su cosa o su chi, ricadono le colpe.

Comunque vada, l’averci provato è già una vittoria.









Sei timido, ansioso? Pratica l'accettazione con la pratica della mindfulness


Tecniche di meditazione consapevole, distaccata, attentività, defusione e accettazione per ansia, timidezza, disagi sociali e stress




2 commenti:

  1. Grazie Luigi. Sono molto d’accordo con l’idea di ansia sociale come "prigione". Spesso io la definisco anche "maschera". Perchè sono convinta che non sia un tratto di se' naturale, innato (anche se molti la imputano a fattori genetici, ma secondo me quelli ambientali sono molto più rilevanti).
    Basti notare come sono diversi i propri atteggiamenti quando si è tranquilli, con i familiari, con amici stretti, o con un partner con cui si sta bene. Quello è il vero sé! Quando si è spontanei, quando non si ha timore di essere giudicati. Poi si può avere un temperamento più o meno introverso, ma quello è un altro discorso.
    Quando si attiva la maschera, si recita un ruolo che non ci appartiene. La cosa buffa è che tante persone nella vita recitano, purtroppo; e lo fanno volontariamente, per dare la migliore immagine di se', seppur fasulla. Lo "svantaggio" del timido è che quel copione non lo controlla, si attiva automaticamente, e lo fa apparire proprio il contrario di quello che egli vorrebbe!
    Tuttavia, se dovessi scegliere, preferirei tenermi la mia timidezza, piuttosto che essere come chi inganna in modo consapevole, salvando solo le apparenze.
    Quindi bisognerebbe accettare se stessi senza maschera, ma anche se stessi con la maschera.
    E visto che ad un certo punto della vita si è appiccicata addosso, dovrebbe essere anche possibile toglierla (certo, con più difficoltà). Perché tutto si è originato nella mente, nei pensieri.
    Il punto cruciale dell’accettazione e dell’amore verso se stessi, è anche il più difficile. Ho pensato che dovrebbe avvenire in modo simile a quando si ama un’altra persona, e se ne accettano anche i lati meno belli. Ma mi rendo spesso conto di come sia difficile "sentire" questo amore per se'. Alcune volte mi chiedo quale sia il confine con l'egoismo o con il narcisismo.

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    1. Certo, la maschera, la recitazione incontrollata. Sono cose che si superano quando si è con persone con le quali c’è un rapporto confidenziale, di familiarità. Accade perché l’altro non è sconosciuto. Quello che spaventa l’ansioso sociale è la non certezza, il non sapere cosa ci si può aspettare (quindi si aspetta solo il peggio!), a quali giudizi si è sottoposti.
      All’interno di relazioni ben conosciute, con persone di cui si conoscono abitudini, modi di fare e di pensare, si sa a cosa può corrispondere ogni azione con certezza (percepita, ovviamente).
      Come osservi anche tu, la maschera che s’indossa e si recita, non è il risultato di una libera scelta, non si controlla né la maschera, né la recita. Si tratta di automatismi storicamente acquisiti e radicati, sono abitudini che finiscono per somigliare a moti istintivi, e pertanto, non facili da estirpare, se non con un lungo, lungo percorso di cambiamento che appare come una selva oscura con irti rami.
      L’accettazione deve andare in tutte le direzioni. Certamente l’accettare se stessi con la maschera, è più difficile; impone di superare i sensi di colpa, la personalizzazione delle responsabilità e l’auto imputazione della “difettosità”.
      Proprio perché tutto è prodotto dalla mente, e dunque non è innato (qua la genetica non c’entra assolutamente nulla), è possibile cambiare.
      Indubbiamente, come lo ripeto fino alla noia anche nei miei manuali, accettazione e cambiamento sono possibili, solo se c’è volontà e impegno. Solo l’ansioso sociale può dar vita al cambiamento per se stesso.
      Vedo che ti poni il problema del confine tra amore per sé ed egoismo o narcisismo. Questo dilemma è molto presente nelle ansie sociali. È un tema che ascolto frequentemente. Io direi che la risposta più efficace viene dalla cultura assertiva, ed è contenuta in quella che, abitualmente, adottiamo come definizione sintetica dell’assertività: l’affermazione di sé stessi nel rispetto degli altri.
      Il narcisismo, per certi versi, è la separazione del sé sociale dagli altri, la separazione di sé dal mondo reale, compreso quello cosmico. Il narcisista si pone al centro della vita e della realtà, infatti, è una chiara forma di egocentrismo.
      Se in termini teorici e descrittivi la separazione tra amore per sé ed egoismo, può avere una linea di confine incerta rispetto alla morale, direi che la distinzione col narcisismo sia molto più netto.
      Tuttavia le forme narcisistiche implicano un problema cognitivo. Diciamo che passare dal non amore per sé al narcisismo, significa andare da un eccesso all’altro. In questo l’accettazione può porsi come elemento di equilibrio.
      Nell’articolo che pubblicherò il 12 ottobre, il tema della maschera sarà toccato in una ottica raramente trattata e lo si comprende dal suo stesso titolo “Scopo e antiscopo nella timidezza e nelle ansie sociali”.
      Ciao

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Grazie per il commento