La procrastinazione è un comportamento molto diffuso nell’umanità.
Per tantissimi individui costituisce anche un problema quando diventa un tratto
abituale del comportamento. In questi casi si può parlare di procrastinazione
patologica.
I fattori che sottendono alla procrastinazione sono vari e,
spesso, sono in relazione alla natura dell’oggetto procrastinato.
Si può
rinviare ciò che non ci piace fare, o che viene richiesto da altri, o che
prefigura un impegno che non ci sentiamo di assumere, o perché non rientra nei
nostri interessi, a volte perché prefigura un obbligo o una pretesa, in certe
occasioni perché le nostre preferenze sono orientate in altre direzioni, quasi
sempre, perché non siamo motivati, e in altri casi, quando le motivazioni sono
antagoniste.
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Roberta Cavalleri - sprecato |
Nelle ansie sociali, entrano in gioco anche le credenze
disfunzionali del sé.
In più occasioni, ho descritto la timidezza come una forma
di disagio sociale di natura cognitiva cui sottendono credenze negative sul sé
inerenti idee di inadeguatezza specifiche o generalizzate.
Sappiamo che quando delle credenze di base riguardano la
definizione del sé come soggetto inabile all’interazione sociale o incapace a
far fronte con efficacia a eventi situazioni e comportamenti, tutti i processi
cognitivi che ne conseguono tendono a conclusioni previsionali negative.
“Non mi riesce, non ce la faccio”, “farò un disastro”, “è
troppo difficile per me”, “non sono neanche da dove cominciare”, “non potrà
funzionare”, “non posso farcela”, “non sono abbastanza intelligente”, “ho
sempre fallito”, “deluderò tutti”, “farò una gran brutta figura”, “non sono
preparato/a”, “sono già che fallirò”.
Detto in altri termini, le paure che si fanno strada sono l’espressione
di quelle previsioni negative scaturite dalle credenze di base disfunzionali
sul sé.
Idee, pensieri e previsioni negative si ritrovano espresse
nelle paure stesse giacché, queste ultime, sono attivate dalle prime.
La negatività che si profila nella mente, e nell’insieme delle
emozioni che si manifestano, produce atteggiamenti evitanti.
Infatti, la procrastinazione nelle ansie sociali è un
comportamento evitante e tale è anche il processo cognitivo che la genera.
Nella sua struttura, è uno spostare continuamente avanti nel tempo la decisione
del fare.
L’insieme delle paure e dei pensieri negativi costituiscono
un fattore demotivante, ma anche la motivazione all’ antiscopo, cioè, al
perseguimento dell’unico obiettivo di evitare una prevista sofferenza.
La forza dell’evitamento attraverso la procrastinazione è
dovuta al fatto che tale comportamento offre un beneficio immediato: l’allentamento
della tensione emotiva, un senso di sollievo e, talvolta, anche di piacere.
Purtroppo, questo beneficio immediato ha un costo elevato.
L’oggetto della
procrastinazione non è scomparso.
Se devi sostenere un esame, questo, resta
ancora da fare; se devi scrivere una relazione, essa è ancora lì che aspetta;
se devi fare una prestazione, questa è ancora da realizzare; se hai un compito
da svolgere, te lo ritrovi tra i piedi.
In pratica, la procrastinazione, benché produce un immediato
sollievo, ripropone subito dopo, la problematica per intero e, in più, con il
tempo che svolge la stessa funzione della spada di Damocle.
Trascorso il beneficio immediato, subentrano lo scoramento,
il senso di colpa, il sentimento del fallimento, la feroce e cattiva
autocritica e, cosa ben più grave, la conferma della validità degli schemi
cognitivi disfunzionali e il loro conseguente rafforzamento.
Ancora una volta l’evitamento della sofferenza produce
comportamenti che generano altra sofferenza.
Assecondando la paura si verifica
proprio ciò di cui si aveva timore.
Il procrastinatore patologico perde la consapevolezza di
avere sempre una possibilità di scelta e, questa è, generalmente, accompagnata
dalla mancanza di coscienza delle cause cognitive che producono il proprio
comportamento disfunzionale.
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