Le persone timide non amano sé stesse, anzi, sono piuttosto
cattive nel giudicarsi, nel considerarsi, nel valutare i propri insuccessi. E
questo è vero per tutti gli ansiosi sociali, persino per coloro che tendono a
scaricare le colpe della propria labile appartenenza sociale sugli altri e la
società.
Nella timidezza, difficilmente possiamo riscontrare
compassione, conforto, comprensione e accettazione del sé.
Nelle fobie sociali
e nel disturbo evitante della personalità, tali riscontri sono pressoché
impossibili.
Voglio qui precisare che mi sto riferendo al giudizio di sé
che l’ansioso sociale ha in relazione alla sua vita sociale. Infatti, un
ansioso sociale può tranquillamente anche essere un genio delle scienze, sapere
di esserlo e valutarsi come tale: il suo problema è con gli altri.
L’ansia sociale esiste soltanto se è riferita all’insieme
dei contesti d’interazione che presuppongono il rapporto con gli altri o
implicano la possibilità, reale o presunta, di un loro giudizio, diretto o
indiretto.
Gli individui timidi, nel riscontrare i loro insuccessi e le
loro difficoltà nel relazionamento interpersonale, notando inoltre che gli
altri, invece, non incontrano gli stessi problemi, assegnano a sé stessi le
cause e/o le colpe dei propri fiaschi.
Tuttavia, nonostante sia vero che sia l’ansioso sociale a
non riuscire nell’interazione, egli individua le cause o le colpe indagando
nella direzione sbagliata, la quale è sempre la stessa: sé stesso come persona.
Questo modo naif di pensare, ragionare e valutare sulle
proprie difficoltà di interazione interpersonale comporta, come risultato, e
contrariamente alle speranze dell’ansioso, il peggioramento della propria
condizione psichica.
![]() |
Lucia Schettino - storia di una tragedia |
Il soggetto timido non fa altro che confermare
e rinforzare la validità delle convinzioni negative riguardanti sé stesso. Così
egli radicalizza, ulteriormente, non solo la visione negativa del sé, ma l’abitudine
al pensare negativo.
Il disprezzo del sé e la bassa autostima possono sussistere solo,
e unicamente, se alla base ci sono credenze di base disfunzionali riguardanti
la definizione del sé in merito ai temi della inabilità sociale e della
incapacità nel fronteggiare con efficacia situazioni, eventi e comportamenti.
Percependo sé stesso come soggetto inadeguato, l’ansioso
sociale riconduce sempre alla propria presunta inadeguatezza la ragione di ogni
suo insuccesso.
Con l’accumularsi dei fallimenti e il continuo addossare a sé
stessi la colpa di ciò, gli individui timidi vedono nella propria persona l’emblema
della negatività della propria vita.
La conseguenza è la non accettazione di sé.
Ciò ha un’implicazione
assai grave. Essendo la non accettazione l’espressione del rifiuto, del
rigetto, le persone timide rifiutano sé stesse.
Dato che questo sé negativo che essi rifiutano, è anche
considerata la causa della propria sofferenza, finiscono con il nutrire un
sentimento di disprezzo, di odio, di schifo, di ribrezzo, verso sé stessi.
Non accettazione e disprezzo del sé, finiscono con l’autoalimentarsi
vicendevolmente; possiamo dire che entrano a far parte di quel processo circolare dell’ansia sociale di cui ho più volte parlato.
Stiamo parlando di processi che entrano a far parte del
sistema abitudinario cognitivo e comportamentale dell’ansioso sociale.
Egli
resta imprigionato nel pensiero negativo, sia quando medita su sé stesso, sia
nelle sue attività previsionali, sia nei sui comportamenti.
Nella realtà noi sappiamo che gli insuccessi, cui va incontro
un soggetto timido, non sono dovuti a incapacità personali, non sono oggetto di
mancanza di potenzialità, sono invece il risultato del protagonista assoluto
delle ansie sociali: l’inibizione ansiogena.
Quest’ultima è, ovviamente, il risultato di processi
cognitivi di valutazione e previsione improntati alla negatività, e indotte dalle
idee dell’incapacità, dell’inabilità, dell’essere falliti, dell’impossibilità
del cambiamento.
0 commenti:
Posta un commento
Grazie per il commento