4 agosto 2016


Molte persone afflitte da forme di ansia sociale appaiono prive di interessi. Anche nella timidezza è possibile riscontrare questo aspetto. Benché ciò non sia un fenomeno rintracciabile in tutti gli ansiosi sociali, risulta essere un aspetto piuttosto diffuso.

A voler essere sintetici, l’apatia sembra essere lo sfinimento mentale risultante dal continuo esercizio dell’attenzione selettiva incentrata, fondamentalmente, sull’idea di un sé inadeguato.

Ma come accade che una persona sia risucchiata in questa condizione di astinenza?

Nella maggior parte dei casi, c’è il concorso di più fattori concatenati.

Salvador Dali - il sonno
L’attenzione selettiva, cui accennavo, toglie risorse ed energie ad altre attività elaborative, e già questo, favorisce una seria difficoltà di concentrazione in altre direzioni.

Sappiamo che nelle ansie sociali i processi mentali sono dominati da credenze disfunzionali sul sé e dagli schemi cognitivi che si sono formate intorno ad esse.

Partendo da questi presupposti, nel dialogo interiore e nel rapporto con le proprie esperienze interne, l’attenzione selettiva induce la mente a disporre il pensiero alla negatività.

Non va dimenticato che nel momento in cui l’ansia sociale si è manifestata, il soggetto ha già inanellato una serie d’insuccessi che hanno determinato sentimenti di vanità, inutilità di ogni tentativo per il cambiamento.

L’ansioso sociale è sostanzialmente sfiduciato, svilito, sente di non avere vie d’uscita.

Con la continua conferma della validità delle credenze e delle metacognizioni disfunzionali e il loro conseguente rinforzo, si fa strada anche un senso di impotenza.

Tale insieme di cose induce, l’ansioso sociale, ad auto convincersi che quel timore di essere incapace o inabile sia la cruda realtà della propria persona.

Queste logiche sono sempre accompagnate da una critica cattiva verso sé stessi e, tutto ciò, incrementa e rafforza ulteriormente l’insieme delle credenze disfunzionali su di sé.

Gli insuccessi accumulati, il convincimento di essere inadeguati e, pertanto, incapaci di ottenere dei successi, radicalizza l’idea dell’inutilità di ogni tentativo di cambiamento o di applicazione a una qualunque attività. 

Se si è incapaci a cosa servono gli sforzi di riuscire in qualcosa? 

Questo sembra essere il ragionamento di base dell’ansioso sociale che sta per approcciarsi al pensiero e al comportamento apatico.

È chiaro che se si giunge a questo stadio di disinteresse non ci sono abilità operanti, o possedute, del problem solving. 

Questa mancanza di metodologia implica una disorganizzazione nei disperati tentativi di trovare soluzioni, per cui il soggetto non sa neanche da dove cominciare.

Possiamo considerare l’apatia come la forma più grave del comportamento evitante, essa è la procrastinazione assoluta e, talvolta, una sorta di rinuncia permanente.

Giacché, oltre alle inattività comportamentali, coinvolge anche le quelle intellettuali, l’apatia si configura anche come una forma di evitamento cognitivo.

L’apatia è anche una forma di difesa emotiva. 

Il timore della sofferenza, quando questa è considerata tale da essere intollerabile, induce l’ansioso sociale ad astenersi da esperienze che si considerano a rischio di dolore emotivo. 

Ciò comporta un disimpegno verso tutte quelle relazioni che potrebbero avere sviluppi affettivi significativi. Naturalmente una tale attività di evitamento implica anche un inevitabile nocumento alle abilità relazionali. L’apatia come fuga dalle emozioni, a lungo andare, induce spesso l’ansioso sociale a considerare sé stesso come incapace di amare, di nutrire sentimenti.

Una delle conseguenze, forse più preoccupante, dell’apatia è la radicalizzazione o esclusivizazione del dialogo interiore. 

Nel mondo dell’apatia l’individuo si raffronta sostanzialmente solo con sé stesso e, spesso, anche in una modalità di estraneità astratta.


Quando apatia ed esclusivizazione del dialogo interiore raggiunge un livello elevato, possiamo dire che si è precipitati nella depressione.



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