Molte persone afflitte da forme di ansia sociale appaiono
prive di interessi. Anche nella timidezza è possibile riscontrare questo
aspetto. Benché ciò non sia un fenomeno rintracciabile in tutti gli ansiosi
sociali, risulta essere un aspetto piuttosto diffuso.
A voler essere sintetici, l’apatia sembra essere lo
sfinimento mentale risultante dal continuo esercizio dell’attenzione selettiva
incentrata, fondamentalmente, sull’idea di un sé inadeguato.
Ma come accade che una persona sia risucchiata in questa
condizione di astinenza?
Nella maggior parte dei casi, c’è il concorso di più fattori
concatenati.
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Salvador Dali - il sonno |
L’attenzione selettiva, cui accennavo, toglie risorse ed
energie ad altre attività elaborative, e già questo, favorisce una seria
difficoltà di concentrazione in altre direzioni.
Sappiamo che nelle ansie sociali i processi mentali sono
dominati da credenze disfunzionali sul sé e dagli schemi cognitivi che si sono
formate intorno ad esse.
Partendo da questi presupposti, nel dialogo interiore e nel
rapporto con le proprie esperienze interne, l’attenzione selettiva induce la
mente a disporre il pensiero alla negatività.
L’ansioso sociale è sostanzialmente sfiduciato, svilito,
sente di non avere vie d’uscita.
Con la continua conferma della validità delle credenze e
delle metacognizioni disfunzionali e il loro conseguente rinforzo, si fa strada
anche un senso di impotenza.
Tale insieme di cose induce, l’ansioso sociale, ad auto
convincersi che quel timore di essere incapace o inabile sia la cruda realtà
della propria persona.
Queste logiche sono sempre accompagnate da una critica cattiva verso sé stessi e, tutto ciò, incrementa e rafforza ulteriormente
l’insieme delle credenze disfunzionali su di sé.
Gli insuccessi accumulati, il convincimento di essere
inadeguati e, pertanto, incapaci di ottenere dei successi, radicalizza l’idea
dell’inutilità di ogni tentativo di cambiamento o di applicazione a una
qualunque attività.
Se si è incapaci a cosa servono gli sforzi di riuscire in
qualcosa?
Questo sembra essere il ragionamento di base dell’ansioso sociale che
sta per approcciarsi al pensiero e al comportamento apatico.
È chiaro che se si giunge a questo stadio di disinteresse
non ci sono abilità operanti, o possedute, del problem solving.
Questa mancanza
di metodologia implica una disorganizzazione nei disperati tentativi di trovare
soluzioni, per cui il soggetto non sa neanche da dove cominciare.
Possiamo considerare l’apatia come la forma più grave del
comportamento evitante, essa è la procrastinazione assoluta e, talvolta, una
sorta di rinuncia permanente.
Giacché, oltre alle inattività comportamentali, coinvolge
anche le quelle intellettuali, l’apatia si configura anche come una forma di
evitamento cognitivo.
L’apatia è anche una forma di difesa emotiva.
Il timore della sofferenza, quando questa è considerata tale da essere
intollerabile, induce l’ansioso sociale ad astenersi da esperienze che si
considerano a rischio di dolore emotivo.
Ciò comporta un disimpegno verso tutte
quelle relazioni che potrebbero avere sviluppi affettivi significativi.
Naturalmente una tale attività di evitamento implica anche un inevitabile
nocumento alle abilità relazionali. L’apatia come fuga dalle emozioni, a lungo andare, induce
spesso l’ansioso sociale a considerare sé stesso come incapace di amare, di
nutrire sentimenti.
Una delle conseguenze, forse più preoccupante, dell’apatia è
la radicalizzazione o esclusivizazione del dialogo interiore.
Nel mondo
dell’apatia l’individuo si raffronta sostanzialmente solo con sé stesso e,
spesso, anche in una modalità di estraneità astratta.
Quando apatia ed esclusivizazione del dialogo interiore
raggiunge un livello elevato, possiamo dire che si è precipitati nella
depressione.
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