19 dicembre 2017


Nei pensieri previsionali negativi, tipici delle persone timide e degli ansiosi sociali in generale, il timore della sofferenza è portato alle estreme conseguenze.

Parliamo del tema dell’insopportabilità della sofferenza. 

L’idea di uno strazio interiore capace di rompere dei precari equilibri in modo definitivo è centrale in quelle attività metacognitive che scaturiscono dalla previsione negativa di eventi, conseguenze e fatti.
Edvard Munch  - autoritratto all'inferno

In questi casi il pensiero previsionale da una parte immagina un futuro, prossimo o distante, segnato da eventi negativi, dall’altra, all'interno delle elaborazioni metacognitive, valuta come conseguenza di tali eventi, una sofferenza cui si ritiene non si è in grado di reggere.

È chiaro che l’idea di una propria fragilità interiore ed emotiva sia molto marcata. 

Nelle ansie sociali, quindi nella timidezza, marcata fragilità emotiva personale, l’incapacità a reggere una forte sofferenza e la previsione stessa della sofferenza appaiano elementi strettamente connessi e indissolubili del panorama mentale.


7 dicembre 2017


Possiamo definire l’ansia da relazione uno stato angoscioso interno, caratterizzato da ansia, paura e preoccupazione, che scaturisce da previsioni negative riguardanti una relazione in essere o ipotetica, considerata “predestinata” e che ha come conseguenza una sofferenza considerata insopportabile o catastrofica per sé stessi.

Alex Alemany - s.t. 
Svariate possono essere le cause di questa forma di ansia sociale: possono riguardare le definizioni del sé o degli altri; essere riconducibili a esperienze dolorose di perdite o abbandoni; derivare da precedenti fallimenti; essere correlati a esperienze i cui esiti sono scaturiti da causali indipendenti dagli attori; la disposizione temperamentale a manifestare ansia e preoccupazione.

Ciò che accomuna i fattori attivanti dell’ansia da relazione è la memoria o l’idea della sofferenza.

Questa forma di ansia sociale è, generalmente, caratterizzata da una attività consistente di pensiero previsionale. 

27 novembre 2017


Come tutti gli ansiosi sociali, la persona timida ha una gran paura della sofferenza

Essa è percepita come qualcosa che non si è in grado di sopportare, che procurerebbe un tale crollo, psicologico, umorale, e talvolta fisico, da annichilire ogni possibilità di resistenza e/o sopravvivenza.

La delusione di cui sto trattando è da riferire a personali fallimenti, all’abbandono da parte di altri, alla perdita di affetti o di appartenenza, a rifiuti affettivi.

Safwan Dahoul - Dream 751
È il dominio delle mancanze a essere investito. Ma queste non appartengono al passato, bensì, al futuro. La timidezza sconta il prezzo del pensiero previsionale negativo. 

Non che il passato non abbia nessuna attinenza con la paura della delusione; infatti, se questi timori sussistono, generalmente, è perché l’ansioso sociale ha vissuto esperienze negative che l’hanno segnato e che hanno ulteriormente confermato e rafforzato le credenze e gli schemi cognitivi disfunzionali attinenti le prerogative personali o quelle degli altri.

Tuttavia, la paura della delusione è sempre riferita all’ipotesi di sofferenze future. 

22 novembre 2017


Ho spesso sottolineato come la timidezza sia un disagio legato all’interazione sociale che si manifesta in molte forme, caratteristiche e problematiche. In pratica, non tutte le persone timide sono tali allo stesso modo. Tuttavia, alcuni tratti caratteriali risultano essere più diffusi di altri.

La stessa ansia da relazione può manifestarsi in forme differenti e possono essere attinenti a diverse cognizioni disfunzionali.

Per comprendere le ragioni e le cause della dipendenza affettiva, molto diffusa nelle ansie sociali, bisogna cominciare da una questione centrale da cui dipende la formazione e lo sviluppo dell’identità personale. Parliamo dell’attaccamento
Loic Allemand - s.t.

Per spiegarlo partiamo dai bisogni primari dell’essere umano che si attivano sin dalla nascita, e cioè l’accudimento, la protezione, il conforto, la rassicurazione.

Già dalla nascita il neonato genera luoghi di memoria finalizzati al relazionamento con le figure di riferimento, i caregiver che in genere sono i genitori, in tale processo egli ripone delle attese nei confronti degli accudenti e, in funzione del modo con cui questi si relazionano a lui, l’infante sviluppa delle cognizioni di base su sé stesso e sui caregiver. 


13 novembre 2017


Nella maggior parte dei casi, la persona timida fa i conti con la bassa autostima. Con il sommarsi degli insuccessi nelle interazioni sociali, l’ansioso sociale comincia a focalizzare l’attenzione su sé stesso con insistenza  nel tentativo di individuare le cause della propria problematicità al fine di giungere a una soluzione.



Loic Allemand - n.t
Questi tentativi “naif”, come li chiamano diversi studiosi, sono caratterizzati da attività di pensiero emotivo, cioè, da processi cognitivi che tendono a leggere gli eventi, le situazioni, i comportamenti propri e altrui, conferendogli sensi e significati che, anziché essere interpretazioni oggettive della realtà, sono elaborazioni mentali che subiscono il forte influsso degli stati umorali ed emotivi. Il risultato è una interpretazione non aderente all’effettivo stato delle cose.

Sappiamo che alla base della timidezza vi è un insieme di schemi cognitivi formatesi intorno a credenze disfunzionali che ineriscono la definizione del sé, degli altri e del mondo inteso come consesso sociale.



6 novembre 2017


Ai temi di vita corrispondono i piani di vita. Tale corrispondenza comincia a formarsi sin dall’infanzia quando il bambino si trova a dover gestire i temi dolorosi. 

I piani di vita, in sé, non hanno valenza negativa o positiva, essi sono strategie di autoregolazione cognitiva. La loro disfunzionalità si verifica allorquando finiscono col diventare degli antiscopo, cioè, quando sono applicati in maniera rigida a nocumento di scopi e obiettivi, impedendone il raggiungimento.

Giorgio Brunacci - s.t
Nella normalità, i piani di vita sono flessibili, si modificano con le esperienze di vita e, quindi, sono capaci di intercettare le alternative e senza subire le forti limitazioni derivanti da rigide associazioni ai temi di vita.

Nella timidezza, e nelle altre forme di ansia sociale, il piano di vita è rigidamente vincolato al tema doloroso e questo non permette l’apprendimento o la creazione di nuovi piani.

In tal modo il piano di vita resta prigioniero dei contesti storici originari e, pertanto, senza evolversi e/o adeguarsi ai nuovi contesti temporali, alle nuove conoscenze acquisite alla coscienza, alle autonomie raggiunte con l’avanzare dell’età, eccetera.


4 novembre 2017


Per temi di vita s’intendono quei processi cognitivi che la mente elabora sulla scorta delle fragilità emotive personali. Sono, dunque, l’espressione di vulnerabilità emotiva.

Sassaroli e altri ritengono che questa vulnerabilità si manifesti, sostanzialmente, attraverso la tendenza a focalizzare l’attenzione su stimoli vissuti con ansia e stati emotivi di pericolo.

Annette Schmucker - senza titolo 
Sappiamo che la focalizzazione attentiva ha ragion d’essere qualora vi siano attività cognitive e processi valutativi che operano sulla base dell’attivazione di credenze e meta credenze disfunzionali.

Faccio spesso notare come le credenze di base disfunzionali, all’origine delle ansie sociali, quindi anche della timidezza, vertono su definizioni del sé che descrivono la propria persona in termini di inabilità a interagire socialmente, incapacità nel far fronte a determinate situazioni o eventi con efficacia, non meritevolezza d’amore, difettosità innata e/o inferiorità; e su definizioni degli altri o del mondo come fonte di pericolo e minaccia.


23 ottobre 2017



SECONDA PARTE


Dato il carattere ansioso dell’attaccamento, la persona timida, sia che abbia una organizzazione cognitiva di tipo depressiva, fobica o semplicemente ansiosa, avverte la necessità di controllo


Andy Beck - s.t.
Quest’ultima, nell'ottica delle aspettative, ha come scopo quella di verificare l’effettiva corrispondenza delle interazioni interpersonali alle proprie aspettative. 

A dire il vero, si trasforma nell’ossessiva ricerca del pelo nell’uovo.

Più che altro, le persone timide, così come gli altri ansiosi sociali, operano delle continue messe alla prova dell’altro/a; è una sorta di controllo mentale ed emotivo sul partner.

Così come le stiamo guardando, le aspettative riposte nell’altro/a fanno riferimento a costrutti propri che non tengono in alcuna considerazione le diversità individuali e, pertanto, l’idea che i modelli operativi dell’altro/a possano non coincidere o essere totalmente difformi da quelli presi in considerazione dall’individuo timido. In pratica tali aspettative non tengono conto della variabilità e l’ampia tipologia dei comportamenti umani.


20 ottobre 2017


PRIMA PARTE

Quando parliamo di timidezza ci riferiamo a un disagio che si dimostra assai complesso e variegato, spesso sorretto da più temi di vita (elaborazioni mentali incentrate sulle personali vulnerabilità emotive, a esempio, i temi dell’ insicurezza, dell’inadeguatezza, del disamore, dell’indegnità, della difettosità di nascita, eccetera), complessità che in tanti casi potrebbe anche far pensare alla presenza di comorbilità. 

Anna Maria Lucarini - attesa delusa
Nella timidezza si intrecciano componenti depressive, fobiche, ansiose, anche se tali fattori non vanno a costituire patologie vere e proprie.

La timidezza è sempre riferita agli altri, cioè, all’interazione con essi. Nelle relazioni più ravvicinate, come quelle amicali o di coppia, entrano in gioco le aspettative e, correlate a queste, i temi della delusione, della perdita, del rifiuto.

Ma facciamo qualche passo indietro per comprendere da dove si originano le aspettative relazionali.

Per far fronte ai propri bisogni, sin dai primi giorni di vita, il neonato ripone delle attese nei confronti di colui o coloro che lo accudiscono e, dal modo in cui il genitore (soprattutto la madre) risponde alle sue richieste di assistenza e cura, il bimbo sviluppa degli stili di attaccamento, credenze sia su sé stesso, sia sul caregiver (accudente).


11 ottobre 2017


Ho spesso fatto notare come ansia ed emozioni sono attivate da flussi di pensiero e/o da processi di valutazione automatica. Vi è dunque uno svolgimento consequenziale di attivazione. 

Tuttavia, si tratta di sequenze che si svolgono in modo veloce, tanto che difficilmente lo stato cosciente riesce a distinguerne le fasi.

Sia i pensieri automatici negativi, sia i processi divalutazione automatica sfuggono all’attenzione delle persone, e ciò perché non sono oggetto di elaborazione mentale cosciente.

Quaini Floriana - frastuono
Pensieri, emozioni ed ansia sono percepiti come eventi simultanei, spesso come un unico evento.

Alla difficoltà di cogliere, in modo cosciente, tali distinzioni vi si aggiunge anche un problema di apprendimento o di mancato esercizio.

Per chi è cresciuto in ambienti (soprattutto familiari) anassertivi, o comunque problematici, è molto alta la probabilità che non gli sia stato concesso, o non abbia avuto la possibilità di apprendere il riconoscimento di distinte emozioni e/o specifiche forme d’ansia.

4 ottobre 2017


Ci sono persone timide che vivono la costante condizione di non sentirsi all’altezza di altri o nel fronteggiare determinate situazioni.

Così finiscono col fare scena muta nelle conversazioni di gruppo, a evitare di prendere iniziative, col cercare di essere più invisibili possibile nelle situazioni sociali, nell’impegnarsi a evitare sistematicamente di trovarsi nella condizione di essere al centro dell’attenzione altrui, nell’evitare il confronto dialettico con altre persone soprattutto se queste sono considerate o percepite superiori a sé.

Andy Beck - n.t.jpg
Qui, l’evidenza della natura cognitiva della timidezza emerge in modo chiarissimo. 

Nel momento in cui la coscienza prende atto di una situazione che va fronteggiata, si sono attivate, in memoria, quelle credenze sulla definizione del sé che la mente collega alla circostanza.


27 settembre 2017


La demotivazione è una condizione emotiva di natura cognitiva; scaturisce da una valutazione di assenza di soluzione, dall’emozione dello sconforto e dalla paura della sofferenza percepita come insopportabile. Ogni possibile tentativo appare vano.


Loic Allemand - n.t.
L’accumularsi degli insuccessi nelle interazioni sociali, la costante sofferenza con le proprie esperienze interne, l’insistenza nel rimuginìo e nella ruminazione sui temi e sulle vicende dolorose, mentali o sociali che siano, sono tra i principali fattori che favoriscono, da una parte, emozioni quali la tristezza, lo sconforto, la rassegnazione, la disperazione, la rabbia, da un’altra, rafforzano le idee di fallimento, nullità, d’incapacità, il pensiero di non vedere vie d’uscita.

Esperienze che, sia pure con diverse declinazioni, rintracciamo nelle forme depressive e nelle ansie sociali.


19 settembre 2017


SECONDA PARTE


“Preferisco non uscire perché se incontro qualcuno che mi conosce e mi chiede cosa sto facendo, poi dovrò dirgli la verità”. La verità, per questo ragazzo, sarebbe stata di dover dire che non faceva nulla e che stava solo tutto il giorno, e di ciò se ne vergognava.

Non avere lo stile di vita, che l’ansioso sociale presume hanno gli altri, è motivo di vergogna, si sente fuori dalle regole, ma si sente anche un minorato, un fallito, un essere di scarso valore, uno che fa pena, una persona che non potrà mai essere valutata positivamente.


Annette Schmucker - senza titolo.jpg
Vergognarsi per la propria condizione di sofferenza interiore è anche la testimonianza di un pressante bisogno di appartenenza sociale

Aspira ad appartenere a una qualche collettività e, quindi, desidera che la propria persona possa corrispondere a quel target di valori che ritiene siano quelli preferiti nel gruppo cui aspira di farvi parte.

La discrepanza tra il suo percepirsi nella vita reale e l’io che dovrebbe corrispondere ai valori presi a riferimento misura il suo livello di diversità e di lontananza dall’appartenenza sociale.


13 settembre 2017



PRIMA PARTE

Mi appresto a trattare un argomento alquanto complesso e ampio, per questo sarà diviso e distribuito in più parti come mia abitudine.
Per tanti sofferenti la propria ansia sociale è motivo di vergogna. Un aspetto che li accomuna alle persone depresse e a un po’ di individui con sofferenze biologiche.

Le ragioni della vergogna provata dagli ansiosi sociali, come anche dai depressi, sta probabilmente nel percepirsi inadeguati.

Annette Schmucker - senza titolo
In questo caso, l’idea dell’inadeguatezza abbraccia un vasto campo di significati e/o di rappresentazioni.

Un fattore che va osservato è che mentre l’altro è considerato persona normale, si ritiene che la propria persona non lo sia. 

L’ansioso sociale si sente un diverso.

Il problema è che questa diversità percepita genera un solco etico-morale tra l’idea della normalità e quella della anormalità così come valutate dalla soggettività dell’ansioso sociale.


5 settembre 2017


Essendo di natura cognitiva, la timidezza è innanzitutto sostenuta da credenze di base negative e, sostanzialmente, inconsce riguardanti, principalmente, la definizione di sé stessi. 

Ciò in termini di capacità di far fronte agli eventi con efficacia; abilità nell’interagire con gli altri; quanto si è interessanti o amabili come persona; avere, o meno, una difettosità innata.

Felice Casorati - l attesa
La persona timida percepisce questo senso di inadeguatezza soprattutto attraverso le emozioni della paura, i pensieri automatici negativi, le valutazioni in merito al susseguirsi delle esperienze conclusasi in modo insoddisfacente. 

Un insieme di fattori che, per un verso, alimenta il circolovizioso della timidezza, per un altro, produce la conferma e il rinforzo delle credenze di base disfunzionali, delle credenze strutturate derivate, sia le abitudini delle strategie di autoregolazione di natura metacognitiva.
Catturato in questo vortice, l’individuo timido ha sempre qualche timore che lo sovrasta.

31 agosto 2017


Un po’ di persone pensano che la timidezza sia di origine genetica o, più genericamente, che sia innata. Simili pensieri sono riferiti anche alle altre forme di ansia sociale.

È bene chiarire questa cosa. Non esistono forme di ansia sociale innate, né esiste alcuna prova scientifica che dimostri l’esistenza di un gene che la determina.

Simonetta Massironi - presenza
La timidezza si forma quando si è in vita, e lo stesso vale anche per tutte le altre forme di ansia sociale.

Non a caso, ho spesso descritto la timidezza come un disagio sociale di natura cognitiva e riferita solo, ed esclusivamente, al mondo delle relazioni umane.

Già parlare di natura cognitiva implica processi legati all’attività della mente che possiamo descrivere come il dominio dell’interazione tra relazioni derivate complesse di funzioni cerebrali che raggiungono una tale complessità da non poter essere considerate come fenomeni “fisici”, ma dominio di interazioni capaci di astrazioni che vanno ben oltre la materialità della fisica.

26 agosto 2017


“Sono solo, non ho amici”; “Non ho nessuno con cui uscire, così resto da sola a casa”; “mi sento sola, e quando sto con amici mi sento a disagio”; “sono sempre solo, i miei compagni mi isolano”; “attorno a me c’è solo solitudine”; “non riesco a legare, così sto sempre da sola”.

Con la solitudine si misura la sofferenza in tante forma di timidezza o di altre ansie sociali.
Soprattutto quando la timidezza non è specifica, ma si manifesta nell’interazione con gli altri, in generale. È un problema che colpisce particolarmente anche i sociofobici e coloro che soffrono del disturbo evitante della personalità.

Cos’è la solitudine quando è vissuta con sofferenza? 

Federica Gionfrida - loneliness (solitudine)
Dovremmo parlare del dolore della non appartenenza; della precarietà, o del sentirsi socialmente precari, in un gruppo, in un ambiente lavorativo, in breve, in un insieme di persone di cui si desidera esserne parte.

La solitudine è vissuta come fallimento del proprio essere animale gregario, individuo sociale; ma anche come assenza di vicinanza e affettività.

La solitudine è la repressione, l’inesplicazione del bisogno dell’essere sociale. Ma anche il sentimento che rappresenta il proprio sentirsi insufficiente a sé stessi.

Per mezzo della solitudine la persona timida si rappresenta a sé stessa come inadeguata.


8 agosto 2017


Quando la persona timida conferisce a sé stessa la causa e/o la colpa delle proprie sofferenze si auto rigetta, non si accetta, se potesse, si ripudierebbe.

C’è da dire che attribuirsi delle colpe non significa averne, anzi, generalmente, il soggetto timido, e l’ansioso sociale in generale, tende ad ascrivere a sé, colpe e fattori causali della propria infelicità.

Mariarita Renatti - lana nera
Non si accetta il proprio corpo, il carattere personale, l’identità che si ritiene di avere, certi tratti caratteristici della propria personalità, l’indole che si ha.

“Mi faccio schifo, sono incapace di relazionarmi con le persone”; “faccio pena per questa mia nullità”; “che squallido/a che sono, non mi riesce di far nulla di buono”; “sono ridicolo/a, qualunque cosa faccio mi viene storta”; “non c’è cosa in cui riesco, sono da buttar via”; “sono repellente, perché mai gli altri dovrebbero prestarmi attenzione?”; “Sono completamente sbagliata/o”; “ho un carattere schifoso”.

La quantità di frasi auto accusatorie del genere è incredibilmente vasta; gli aspetti e le qualità personali che si pongono sotto accusa sono proprio tante.

La non accettazione del sé parte, dunque, da valutazioni e giudizi negativi sulla propria persona.

3 agosto 2017


“Non ce la faccio a esprimermi”; “non riesco a essere me stessa”; “non sono mai me stesso”; “finisco sempre per recitare una parte”; “alla fine non mi comporto come vorrei”; “non sono capace di essere come sono nella realtà”.

Ti è mai capitato di dire o pensare frasi come queste? È uno degli inghippi “standard” della timidezza: non riuscire a manifestare la propria persona, la propria personalità, l’indole interiore, l’io ideale.

La persona timida è fortemente condizionata dalla propria timidezza e, dunque, da quell’insieme di schemi cognitivi che la sottendono.


Stefano Musso - profondo abisso
Non si riesce a essere se stessi perché subentrano i pensieri automatici negativi che ora ci dicono che siamo inadeguati, ora che già prevedono che le cose andranno a finire male, con un bel fiasco; ma anche perché poi si è presi nella morsa delle emozioni negative, quelle paure che si manifestano in molti modi: paura del giudizio altrui, timore dell’insuccesso e del fallimento, paura di fare brutta figura, timore di essere rifiutati, paura di non riuscire, timore di non essere all’altezza, paura di essere oggetto di sberleffi, timore di perdere amori o amicizie, paura della solitudine, dell’esclusione sociale, paura della non appartenenza.


27 luglio 2017


Quante volte sento dire frasi come queste: “non sto bene con me stessa”; “non ho un buon rapporto con me stesso”; “mi odio”; “mi faccio schifo”; “non mi piaccio”.

È indubbio che quando una persona timida non sta bene con sé stessa, significa che non riesce ad accettarsi.

Vincenzo Pinto - Bianche, grosse e forti onde, sono le emozioni,
che a ritmo incostante ed incessante, bagnano la nostra vita.
Dietro questa non accettazione ci sono cognizioni del sé che non corrispondono a quelle desiderate, o a cui si aspira. 

Una non corrispondenza che sorge dall’auto osservazione e dall’auto valutazione, riguardante la discrepanza tra il sé percepito e quello ideale.

In tali situazioni entrano in gioco anche altri fattori come lo scopo “doverizzato” di raggiungere standard elevati, tanto da essere irraggiungibili; la tendenza al perfezionismo; il disagio che si vive nella difficoltà nel vivere i rapporti interpersonali; il sommarsi degli insuccessi nelle interazioni sociali.

19 luglio 2017


Timidezza e fobia sociale hanno in comune le medesime tipologie di cognizioni di base, gli stessi stili metacognitivi e anche i medesimi tipi di comportamento.

Tuttavia, nella timidezza non si raggiungono i livelli di intensità e radicalità che si riscontrano, invece, nella fobia sociale.

Ambedue sono da annoverare nella categoria dell’ansia sociale, ma mentre la prima è da considerare un tratto caratteriale da ascrivere nella normalità, nella seconda insistono fattori che la rendono una patologia.




A dire il vero, stabilire un netto confine tra timidezza e fobia sociale è piuttosto difficile proprio perché le caratteristiche dell’una sfociano in quella dell’altra fino a confondersi.


14 luglio 2017


Quello dell’appartenenza è un bisogno primario dell’essere umano ed è anche uno dei grandi problemi che generano sofferenza nelle persone timide tanto, che possiamo parlare di dolore della non appartenenza.

Benché ciascuno di noi ha la propria individualità e personali obiettivi, non possiamo fare a meno di affermare anche la nostra identità sociale in quanto animale gregario; in ciò, il senso di appartenenza (a una coppia, a una famiglia, a un gruppo, a un consesso, a una categoria sociale ecc.) è un ingrediente che ci permette di sentirci sociali. 

Edvard Munch - The Day After
Le persone aspirano ad appartenere a una entità plurima di individui e, perciò, adottano strategie e tattiche comportamentali per farsi accettare come membri dell’aggregazione cui tendono.

Le persone timide anche se apparentemente possono apparire troppo riservate, evitanti, snob, persino asociali, aspirano profondamente a vivere la condizione di appartenenza.

Infatti, mentre l’asociale è oggettivamente disinteressato, in modo più o meno assoluto, agli interessi, alle aspirazioni e alla vita altrui e comunitaria, e perciò si distacca dalla vita sociale e preferisce non interagire, l’ansioso sociale si ritrova ad essere separato non per volontà propria, ma per condizione indotta.

6 luglio 2017


Elena arrossisce al solo pensiero di arrossire; Michele arrossisce se pensa che gli altri possano vederlo arrossire; Milena arrossisce se qualcuno le dice qualcosa che tocca la sua fragilità; Adolfo arrossisce quando si sente scoperto riguardo sue presunte inadeguatezze; Lidia arrossisce ogni qualvolta le si rivolge la parola; Andrea ha il terrore di arrossire; Aristide arrossisce ogni qual volta deve iniziare a parlare dinanzi a più persone.

Per molti il rossore al viso è sinonimo di timidezza. L’arrossire è una di quelle manifestazioni che l’immaginario collettivo cui l’uomo conferisce l’associazione all’idea della timidezza. Ma non sempre è così. Anche altre forme di ansia sociale condividono questo fenomeno ansioso.

Ma perché si arrossisce?


Massimo Orsi - vergogna
La persona timida avverte una propria nudità che pone in luce quelle che pensa, o teme, siano le sue discrepanze nei confronti di un sistema di valori cui conferisce valore primario e ideale; valori che possono riguardare le abilità, le capacità, l’amabilità, la morale e l’etica.

Il soggetto timido sente di non corrispondere a ciò che ritiene essere gli standard sociali accettabili, e ciò indipendentemente dalla reale disponibilità altrui. 

Infatti, l’idea di non corrispondenza è del tutto soggettiva, oppure, quando inerisce elementi oggettivi, assegna, a questi, un valore e una validità assolute che non permettono neanche lievi variazioni.

27 giugno 2017


Carla ha grandi difficoltà con la dialettica, non le riesce di ribattere agli sfottò o alle provocazioni, e ogni volta si sente immensamente stupida. Vittorio in tutte le situazioni in cui non sa come giostrarsi, pensa di essere uno stupido. Adele tutte le volte che commettere errori che giudica banali, pensa di essere ingenua e che gli altri la considerino stupida.

L’idea di una propria stupidità si fa spazio nelle persone timide ogni qual volta si osservano barcollare nelle situazioni sociali e dopo, quando stanno ore a ruminarci su.

Elena Merlino - mettermi a nudo
Il presente nelle attività sociali, per una persona timida, è un distruttivo processo di autofocalizzazione. Il suo bisogno di controllo la spinge a un automonitoraggio esasperato; osserva sé stessa nel muoversi e lo fa con il preciso intento di individuare falle nel suo fare. 

Non è un osservatore esterno imparziale, si pone fuori da sé non per osservare con curiosa volontà di conoscenza, il suo obiettivo è l’obbligo di trovare il pelo nell’uovo.

La sua attività di controllo su sé stesso si trasforma in una inchiesta che non può che concludersi con un giudizio: il soggetto timido è alla ricerca di sue inadeguatezze.

Si osserva mentre si muove, osserva come lo fa e, allo stesso tempo, immagina gli altri esprimere il suo stesso parere. L’ossessione per il giudizio altrui è una sua preoccupazione costante.

Nel monitorare sé stesso, con volontà giudicante, si pone nei panni della mente degli altri: essi sicuramente penseranno questo o quello.


20 giugno 2017


Nei disagi e disturbi d’ansia sociale, assumono importanza fondamentale tutti quei processi mentali che confermano e rinforzano gli schemi cognitivi

Infatti, le credenze di base, così come tutti i pensieri strutturali, continuano a persistere e a influenzare i modi del pensare, per mezzo di strategie cognitive disfunzionali adottate dai soggetti sofferenti.

Edward Hopper - senza titolo
Tali strategie sono il risultato di scelte cognitive volontarie in cui, quindi, si manifesta l’esercizio del libero arbitrio. Si tratta dell’autoregolazione. 

Questa è un processo di automonitoraggio e autocorrezione che riguarda il proprio funzionamento mentale e che ha la funzione del raggiungimento di uno scopo.

I processi di autoregolazione possono esprimersi a livelli e con modalità diverse. La modalità di cui tratterò in questo articolo è la regolazione cognitiva.


6 giugno 2017


La timidezza caratterizza comportamenti e valutazioni. A fare la parte del leone sono l’inibizione ansiogena, l’emozione della paura, il percepirsi inadeguati.

Questi fattori che influenzano le scelte comportamentali favoriscono l’accumularsi degli insuccessi relazionali e/o dell’evitamento dell’interazione sociale.

Aniello Saravo - essere e apparire
Quando una persona timida fa un bilancio sulle proprie capacità relazionali considera l’evitamento un insuccesso, o per meglio, un fallimento. Dunque, insuccesso ed evitamento vengono posti sullo stesso piano, nonostante le loro chiare differenze formali, sostanziali ed eziologiche. 

Il sommarsi degli insuccessi rendono ancor più pregnante la propria percezione d’inadeguatezza e più pressante i propri stili di autoregolazione cognitiva ed emotiva.

L’individuo timido sente un profondo bisogno di controllo. Controlla sé stesso e gli altri, ma anche quando quest’operazione è rivolta all’esterno, nella maggior parte dei casi, è comunque autocontrollo, spesso, è autoverifica.


30 maggio 2017


Tina quando deve mangiare nella mensa dell’Università si sente tutti gli occhi addosso, comincia a sentirsi goffa, impacciata, ridicola, stupida. Alberto quando dice qualcosa tra amici o anche in un generico gruppo di persone, si sente come al centro di un’arena. Serena e Mario evitano qualsiasi tipo di comportamento per il terrore di sentirsi al centro dell’attenzione altrui. Alessia e Michele, quando vanno in discoteca, se ne stanno in un cantuccio perché se dovessero mettersi a ballare si sentirebbero come delle prime dive in negativo.

Laslo Iera - vergogna
Le persone timide temono gli sguardi indiscreti degli altri. 

Spesso si sentono osservate ovunque e qualsiasi cosa facciano.

È come esporre la propria nudità a un pubblico vorace in cui ogni spettatore è munito di una cassetta di pomodori marci, smanioso di spiaccicarli sulle fattezze carnose della vittima di turno.

La timidezza è, spesso, definita come un disagio sociale che si manifesta quando ci si sente sottoposti al giudizio altrui.

Sentire di essere al centro dell’attenzione è come sostenere un duro esame il cui esito negativo è dato per scontato; equivale a sentirsi alla mercé degli altri.

Gli altri fanno paura nella misura in cui assumono il ruolo di giudice, fanno valutazioni meritocratiche, decidono sulle qualità negative dell’osservato.