16 gennaio 2017


La dimensione sociale è il dominio entro cui si manifesta la timidezza, infatti, è un disagio di natura cognitiva che sussiste solo in relazione agli altri.

Giovanna Fabretti - varco
In pratica, la persona timida è tale, soprattutto, nella sua identità sociale. Lo è, nel momento in cui si trova, o si sente, coinvolta in eventi e situazioni nelle quali entrano in gioco fattori quali: l’ essere esposti alla vista, alla valutazione e al giudizio degli altri; comparare sé stessa agli altri; la valutazione di sé stessa rispetto agli altri.

Tuttavia, l’identità individuale ne è, inevitabilmente, invischiata.

Il fatto che la timidezza sia di natura cognitiva sta già a indicare che la fonte della sua essenza risiede in quell’insieme di nozioni che costituiscono le informazioni di base cui la nostra mente attinge per svolgere le sue attività di elaborazione, valutazione, previsione e decisione.

Le identità sociale e individuale di una persona, che non vanno considerate come entità nettamente disgiunte, sono delineate per mezzo di definizioni del sé, che la mente forma e memorizza. 

Fanno parte dell’insieme delle cosiddette “credenze” e costituiscono i modelli interpretativi della realtà della propria persona.

Le credenze del sé ci dicono chi siamo e quali qualità abbiamo, perciò, informano la nostra mente su noi stessi quando questa è chiamata ad operare.

Come in tutte le cose della vita dell’uomo, le nostre scelte e decisioni dipendono da fattori ben precisi:

  • il nostro scopo;
  • la natura dell’oggetto che comporta la nostra decisione;
  • gli strumenti materiali e/o immateriali occorrenti per operare;
  • le nostre qualità personali necessarie per raggiungere lo scopo;
  • le nostre previsioni, cioè, il nostro studio di fattibilità.


Se in questo processo elaborativo la mente raccoglie informazioni su noi stessi, sulle nostre qualità personali, e queste risultano inadeguate, in parte o in toto, la valutazione di fattibilità si conclude con previsioni di mancato raggiungimento dell’obiettivo e, pertanto, la decisione, che ne scaturisce, si orienta verso due direzioni principali: la fuga (evitamento, estraniazione, fuga, blocco) e il fronteggiamento in “assetto di difesa” (comportamenti di protezione, attivazione della inibizione ansiogena).

Nelle ansie sociali e, quindi, nelle timidezze, le credenze del sé descrivono le qualità personali come inadeguate. 

Ovviamente, non necessariamente sono definite in negativo tutte le qualità personali; questo varia da soggetto a soggetto.

Tuttavia, le definizioni del sé che ineriscono le ansie sociali possono essere raccolte in tre macro gruppi che riguardano:

  • la capacità a fronteggiare con efficacia eventi, situazioni e comportamenti;
  • l’abilità a districarsi positivamente nell’interazione sociale;
  • attraibilità e amabilità come persona.


Le credenze di cui ho parlato molto difficilmente raggiungono lo stato cosciente e comunque mai quello consapevole. 

Ad esempio, si può essere cosciente di considerarsi un fallito ma non essere consapevole delle ragioni concrete del ritenersi tale, dell’origine e formazione della credenza, della sua relatività, della reale validità di tale definizione.

Ciò nonostante, le credenze si presentano allo stato cosciente sotto “mutate spoglie”, cioè in forme derivate o consequenziali: sono percepibili per mezzo delle paure, delle sensazioni, attraverso il sentirsi in un tal modo, in forma di immagini mentali, sotto forma di motti e assunzioni e, ovviamente, per mezzo dei pensieri automatici negativi.


In conclusione possiamo affermare che la timidezza è l’espressione di un insieme di idee negative del sé.



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