La dimensione sociale è il dominio entro cui si manifesta la
timidezza, infatti, è un disagio di natura cognitiva che sussiste solo in
relazione agli altri.
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Giovanna Fabretti - varco |
In pratica, la persona timida è tale, soprattutto, nella sua
identità sociale. Lo è, nel momento in cui si trova, o si sente, coinvolta in
eventi e situazioni nelle quali entrano in gioco fattori quali: l’ essere esposti alla vista, alla valutazione e al giudizio degli altri; comparare sé stessa
agli altri; la valutazione di sé stessa rispetto agli altri.
Tuttavia, l’identità individuale ne è, inevitabilmente, invischiata.
Il fatto che la timidezza sia di natura cognitiva sta già a
indicare che la fonte della sua essenza risiede in quell’insieme di nozioni che
costituiscono le informazioni di base cui la nostra mente attinge per svolgere
le sue attività di elaborazione, valutazione, previsione e decisione.
Fanno parte dell’insieme
delle cosiddette “credenze” e costituiscono i modelli interpretativi della
realtà della propria persona.
Le credenze del sé ci dicono chi siamo e quali qualità
abbiamo, perciò, informano la nostra mente su noi stessi quando questa è
chiamata ad operare.
Come in tutte le cose della vita dell’uomo, le nostre scelte
e decisioni dipendono da fattori ben precisi:
- il nostro scopo;
- la natura dell’oggetto che comporta la nostra decisione;
- gli strumenti materiali e/o immateriali occorrenti per operare;
- le nostre qualità personali necessarie per raggiungere lo scopo;
- le nostre previsioni, cioè, il nostro studio di fattibilità.
Se in questo processo elaborativo la mente raccoglie
informazioni su noi stessi, sulle nostre qualità personali, e queste risultano
inadeguate, in parte o in toto, la valutazione di fattibilità si conclude con
previsioni di mancato raggiungimento dell’obiettivo e, pertanto, la decisione,
che ne scaturisce, si orienta verso due direzioni principali: la fuga
(evitamento, estraniazione, fuga, blocco) e il fronteggiamento in “assetto di
difesa” (comportamenti di protezione, attivazione della inibizione ansiogena).
Nelle ansie sociali e, quindi, nelle timidezze, le credenze
del sé descrivono le qualità personali come inadeguate.
Ovviamente, non
necessariamente sono definite in negativo tutte le qualità personali; questo varia
da soggetto a soggetto.
Tuttavia, le definizioni del sé che ineriscono le ansie
sociali possono essere raccolte in tre macro gruppi che riguardano:
- la capacità a fronteggiare con efficacia eventi, situazioni e comportamenti;
- l’abilità a districarsi positivamente nell’interazione sociale;
- attraibilità e amabilità come persona.
Le credenze di cui ho parlato molto difficilmente
raggiungono lo stato cosciente e comunque mai quello consapevole.
Ad esempio,
si può essere cosciente di considerarsi un fallito ma non essere consapevole
delle ragioni concrete del ritenersi tale, dell’origine e formazione della credenza, della sua relatività, della reale validità di tale definizione.
Ciò nonostante, le credenze si presentano allo stato
cosciente sotto “mutate spoglie”, cioè in forme derivate o consequenziali: sono
percepibili per mezzo delle paure, delle sensazioni, attraverso il sentirsi in
un tal modo, in forma di immagini mentali, sotto forma di motti e assunzioni e,
ovviamente, per mezzo dei pensieri automatici negativi.
In conclusione possiamo affermare che la timidezza è l’espressione
di un insieme di idee negative del sé.
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