24 gennaio 2017


Ruminazioni infinite di esperienze finite o vissute male, rimuginii interminabili su quel che può accadere o su ciò che si vorrebbe fare o dire, flash back ossessivi, immagini insistenti su momenti topici in cui si consuma la sofferenza, tristi e disperati rammarichi che diventano cantilene infinite, pensieri e scene mentali sul tema del futuro che non c’è, o che ripete una storia incolore, o che racconta un’ecatombe, improperi su sé stessi per presunte incapacità o fallimenti, pensiero liquido.

Giovanna Fabretti - il caos dentro
Il mondo dei pensieri disturbanti è ricco di modi e si muove in una sola direzione: la negatività.

Spesso sono sorretti da metacognizioni “positive”, cioè che si reggono sull’idea che quella abitudine di pensare in quel dato modo sia utile. Accade con le ruminazioni, i rimuginii, il preoccuparsi. Ci si convince che indugiare col pensiero, continuamente, su eventi trascorsi possa essere utile per capire, rispondere a incessanti domande come “perché l’ho fatto”, “come ho potuto farlo”, “perché proprio a me”, “se non avessi…”, “se avessi…”. Si pensa che insistere nel pensare a ciò che accadrà, facendo interminabili previsioni, possa essere risolutivo dei problemi. Si ritiene che preoccuparsi è segno di responsabilità e che, pertanto, bisogna sempre essere preoccupati.

Queste metacognizioni positive (ma che di positivo hanno solo il paradosso) innescano, e favoriscono, il radicamento, e persino l’automaticità, delle abitudini al rimuginìo, alla ruminazione e alla preoccupazione. Ciò implica che tali consuetudini fanno sì che questi stili mentali di approccio alle questioni diventano pervasive, intrusive e prolungati nel tempo.

Paradossalmente, anche le metacognizioni “negative”, ossia che sviluppano l’idea della negatività di tali abitudini, finiscono col favorire il persistere del loro manifestarsi. 

Con le metacognizioni negative ci si dispera sul fatto che non si riesce a smettere. Che si diventa schiavi delle attività di ruminazione, rimuginìo e preoccupazione. L’ansioso sociale o il depresso non riesce a liberarsi dell’incedere dei pensieri negativi che insistono nella propria mente. Comanda a sé stesso di non pensarli, prova a distrarsi; ma ogni tentativo di repressione rende più intrusivi i pensieri che si vuol cacciare via. In questo la metacognizione negativa si trasforma in un altro motivo di disperazione.

Non sempre gli ansiosi sociali, i depressi, sono coscienti delle proprie metacognizioni. Essi sono come attratti dai loro pensieri disturbanti e vi indugiano in modo automatico, come se la loro mente fosse rapita letteralmente. Semplicemente entrano in tale modalità operativa del pensare e vi vengono risucchiati.

In alcuni casi le attività della ruminazione, del rimuginìo, del pensiero liquido (dispersione del pensiero) sono quasi ricercate come se fossero fonte di piacere.

Tuttavia, i pensieri disturbanti non sono tali perché favoriti dalle metacognizioni: lo sono perché raccontano di scenari, di eventi, si comportamenti, di qualità personali, tutte sempre, e soltanto, in chiave negativa.

I pensieri disturbanti esaltano le cognizioni disfunzionali sul sé (credenze di base), semplicemente perché ne confermano la validità e le rafforzano; guardando al sé negativo abbattono l’autostima; valutando scarse le proprie possibilità innescano l’inibizione ansiogena, inducono ai comportamenti evitanti, al ritiro sociale; nel tirare le somme sulla propria storia, incentrata solo su insuccessi non contestualizzati, inducono a considerare sé stessi come difettosi per costituzione.


Quando si è prigionieri dei pensieri disturbanti, questi creano un humus, una coltura di stati emotivi di sofferenza entro cui matura il permanere del vivere e del pensare in modalità negativa che si riflette anche nelle riflessioni sul futuro personale.


0 commenti:

Posta un commento

Grazie per il commento