Ruminazioni infinite di esperienze finite o vissute male,
rimuginii interminabili su quel che può accadere o su ciò che si vorrebbe fare
o dire, flash back ossessivi, immagini insistenti su momenti topici in cui si
consuma la sofferenza, tristi e disperati rammarichi che diventano cantilene
infinite, pensieri e scene mentali sul tema del futuro che non c’è, o che
ripete una storia incolore, o che racconta un’ecatombe, improperi su sé stessi
per presunte incapacità o fallimenti, pensiero liquido.
Giovanna Fabretti - il caos dentro |
Il mondo dei pensieri disturbanti è ricco di modi e si muove
in una sola direzione: la negatività.
Spesso sono sorretti da metacognizioni “positive”, cioè che
si reggono sull’idea che quella abitudine di pensare in quel dato modo sia utile.
Accade con le ruminazioni, i rimuginii, il preoccuparsi. Ci si convince che
indugiare col pensiero, continuamente, su eventi trascorsi possa essere utile
per capire, rispondere a incessanti domande come “perché l’ho fatto”, “come ho
potuto farlo”, “perché proprio a me”, “se non avessi…”, “se avessi…”. Si pensa
che insistere nel pensare a ciò che accadrà, facendo interminabili previsioni,
possa essere risolutivo dei problemi. Si ritiene che preoccuparsi è segno di
responsabilità e che, pertanto, bisogna sempre essere preoccupati.
Paradossalmente, anche le metacognizioni “negative”, ossia
che sviluppano l’idea della negatività di tali abitudini, finiscono col
favorire il persistere del loro manifestarsi.
Con le metacognizioni negative ci
si dispera sul fatto che non si riesce a smettere. Che si diventa schiavi delle
attività di ruminazione, rimuginìo e preoccupazione. L’ansioso sociale o il
depresso non riesce a liberarsi dell’incedere dei pensieri negativi che
insistono nella propria mente. Comanda a sé stesso di non pensarli, prova a
distrarsi; ma ogni tentativo di repressione rende più intrusivi i pensieri che
si vuol cacciare via. In questo la metacognizione negativa si trasforma in un
altro motivo di disperazione.
Non sempre gli ansiosi sociali, i depressi, sono coscienti
delle proprie metacognizioni. Essi sono come attratti dai loro pensieri
disturbanti e vi indugiano in modo automatico, come se la loro mente fosse
rapita letteralmente. Semplicemente entrano in tale modalità operativa del
pensare e vi vengono risucchiati.
In alcuni casi le attività della ruminazione, del rimuginìo, del pensiero
liquido (dispersione del pensiero) sono quasi ricercate come se fossero fonte
di piacere.
Tuttavia, i pensieri disturbanti non sono tali perché
favoriti dalle metacognizioni: lo sono perché raccontano di scenari, di eventi,
si comportamenti, di qualità personali, tutte sempre, e soltanto, in chiave
negativa.
I pensieri disturbanti esaltano le cognizioni disfunzionali
sul sé (credenze di base), semplicemente perché ne confermano la validità e le rafforzano;
guardando al sé negativo abbattono l’autostima; valutando scarse le proprie
possibilità innescano l’inibizione ansiogena, inducono ai comportamenti evitanti, al ritiro sociale; nel tirare le somme sulla propria storia,
incentrata solo su insuccessi non contestualizzati, inducono a considerare sé
stessi come difettosi per costituzione.
Quando si è prigionieri dei pensieri disturbanti, questi creano
un humus, una coltura di stati emotivi di sofferenza entro cui matura il
permanere del vivere e del pensare in modalità negativa che si riflette anche
nelle riflessioni sul futuro personale.
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