Sembra essere una delle dannazioni annose degli ansiosi sociali. La difficoltà che una persona afflitta da ansia sociale, come la timidezza, incontra nell’esprimere sensazioni emotive, e persino nel complimentarsi con gli altri, non è da ascrivere a una incapacità congenita oppure a una insensibilità o disinteresse verso gli altri.
Questo tipo di problema può, talvolta, far pensare a soggetti con sindrome di asperger o di alessitimia. In realtà, a differenza di queste due sindromi, non è in alcun modo di origine biologica o genetica.
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Alex Hall - Relativity |
L’ansioso sociale è, generalmente, ben conscio di questa sua difficoltà nell’esprimere moti emotivi, e di ciò se ne rammarica e ne soffre.
È bene tener conto che un ansioso sociale, una persona timida, è sempre proiettata nelle intenzioni, nelle aspirazioni e nei desideri, a sentirsi appartenente ed essere parte attiva di aggregazioni umane.
Non a caso, ciò che essa più soffre è il dolore della non appartenenza o di una sua tragica labilità.
Capita che l’ansioso sociale si rende conto, “a scoppio ritardato”, di aver perso l’attimo o l’occasione per manifestare sentimenti di compiacimento, fare dei complimenti, impressioni, passioni, sensazioni, affetti.
Altre volte ne prende coscienza durante le sue attività ruminative.
In ambedue i casi il sentimento di rammarico, che ne consegue, tende a sfociare in una ingiusta autocritica a sé stesso.
Per una persona timida, non essere riuscita a fare un complimento, un atto di gentilezza, a pronunciare una frase da corteggiamento, esprimere una emozione positiva o un sentimento, equivale a un fallimento che va ben oltre il singolo episodio: investe la sua persona in termini di qualità intrinseche.
Il tema del giudizio negativo verso la propria persona sembra essere il filo conduttore del flusso di pensieri ruminativi che scaturiscono da queste esperienze.
L’ansioso sociale non riesce a perdonarsi le mancate occasioni d’espressione emotiva, si considera colpevole e l’idea dell’incapacità sembra essere il motivo dominante sottostante all’auto rimprovero.
“Cavolo, non riesco mai a cogliere questi momenti”, “non sono mai capace di capire al volo”, “me ne accorgo sempre troppo tardi”, “non faccio che perdere le buone occasioni”, “non riesco neanche a fare un semplice complimento, deludo sempre tutti”, “sono una delusione perenne”, “ma perché faccio sempre così?”, “Non sono buono a niente”.
Valutazioni amare e giudizi di questi tipi testimoniano del rammarico e, insieme, della disperazione che vive l’ansioso sociale quando, nel proprio dialogo interiore, pensa a queste esperienze infruttuose.
In merito a questa problematica, oltre alla presenza di schemi cognitivi disfunzionali o all’assenza o insufficiente apprendimento di modelli espressivi socializzanti, vanno considerati alcuni fattori come l’inibizione ansiogena e l’auto focalizzazione su sé stessi.
La persona timida vive sotto l’influsso dell’inibizione ansiogena che coinvolge processi cognitivi, recuperi mnemonici, funzionalità articolari e fisiche in generale. Essa può svolgere una funzione repressiva delle manifestazioni emotive fino a generare una inabilità, temporanea o prolungata, nell’esercizio delle abilità sociali eventualmente apprese.
Il mancato apprendimento pure può giocare un ruolo significativo. Talvolta è anche il risultato di motti e assunzioni familiari in ambienti anassertivi.
Possiamo parlare di mancato apprendimento, più concretamente, se ci riferiamo soprattutto ai primi 12- 13 anni di vita, cioè, dalla prima infanzia all’inizio dell’adolescenza.
L’espressione dei sentimenti, delle emozioni, del riconoscimento delle qualità altrui, si apprende soprattutto per imitazione e osservazione dei comportamenti delle figure di riferimento. La mancanza di tali comportamenti o la loro carenza qualitativa e/o quantitativa non permettono l’assimilazione efficace dei modelli espressivi delle emozioni.
D'altro lato l’assunzione di motti e leitmotiv familiari orientati all’inibizione di tali manifestazioni impediscono anche l’eventuale esercizio di modelli appresi.
Tuttavia, quello che viene a mancare, in termini operativi, è l’essere presente nel momento presente.
La disposizione mentale di auto focalizzazione non funzionale dissipa energie cognitive e psichiche, dispone il soggetto in una sorta di sospensione rispetto alla vita reale che si svolge nel momento presente. In pratica, il suo stato cosciente è come rapito da un comportamento “astensionista” che lo allontana dalla realtà contingente.
Che termini potremmo usare per descrivere questa condizione? Estraniazione dalla realtà materiale presente? Distrazione permanente? Evitamento? Dispersione del pensiero operante?
Certamente, una persona che vive queste esperienze, posto che possa riuscire a evitare una valutazione giudicante, potrebbe anche darne una descrizione migliore.
Salve, questo è un capolavoro della rappresentazione di una parte umana, complimenti.
RispondiEliminaAvete praticamente esposto in maniera dettagliata e chiara io mio principale problema nella vita.
Grazie per i complimenti. Mi fa davvero molto piacere ricevere questi apprezzamenti. Sono la testimonianza di uno stato di sintonia che si instaura tra le persone. Sono forme di appartenenza. Uà, c’è qualcuno che mi “sente”.
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