25 aprile 2017


La timidezza è un disagio psicologico di natura cognitiva che sussiste solo e soltanto in relazione all’interazione sociale nelle sue varie forme di manifestazione.

Si tratta di una forma di ansia sociale non patologica ma che può sfociare nella patologia.


Essendo di natura cognitiva, la timidezza ha a che fare con l’insieme delle conoscenze stabili dell’individuo (credenze di base, regole procedurali, criteri e scopi) e i sistemi metacognitivi.

Generalmente, la persona timida più che cogliere gli aspetti cognitivi del proprio disagio in modo cosciente e consapevole, percepisce la propria timidezza per via degli effetti negativi che produce nella propria vita sociale, nell’essere cosciente di avere un disagio e di avere comportamenti inibiti che si manifestano in forme che variano da soggetto a soggetto.

Altri fattori che l’individuo timido percepisce, come tratti della propria timidezza, sono le emozioni, in chiave negativa, come la paura, la vergogna e la malinconia.

Federica Gionfrida - anguish
In profondità e, dunque, anche un livello inconscio, la radice della timidezza è da individuare in credenze di base che definiscono il sé come persona inadeguata. In tal caso parliamo di credenze di base disfunzionali.

Il livello o il tipo di inadeguatezza riguarda, per lo più, la descrizione del sé come soggetto in cui sussistono uno o più fattori negativi: l’incapacità di far fronte in modo efficace agli eventi, situazioni, performance, comportamenti; l’inabilità nel districarsi nell’interazione interpersonale; la difettosità per nascita; il non essere amabile o attraente come persona.

Tuttavia, sono le metacognizioni a far sì che la timidezza sia tale. 

Più precisamente, ciò accade quando le metacognizioni inducono al persistere di quei processi di pensiero ripetitivo che mantengono attivate le credenze di base disfunzionali, e favoriscono il permanere di un rapporto conflittuale e sofferto con le proprie esperienze interne.

Le metacognizioni non riguardano la cognizione del sé, semmai, quei processi riflessivi che si sviluppano riguardo alla cognizione del sé e ai modi di gestire il sé.

Attività metacognitive tipiche della timidezza, ma anche di altre forme di ansia sociale, sono il rimuginìo, la ruminazione, la preoccupazione, la soppressione del pensiero. 

Tuttavia l’aspetto meta cognitivo di queste attività sono quei pensieri secondo i quali queste possano essere utili alla soluzione della propria sofferenza; che riguardano il fatto che non si riesce più ad avere il controllo di queste attività (soprattutto il rimuginìo e la ruminazione) e che quindi procedono automaticamente indipendentemente dalla propria volontà; o il fatto che i tentativi di reprimere la tendenza a rimuginare o ruminare falliscono miseramente.

Nelle paure della persona timida ritroviamo elementi che possono rimandarci alle credenze di base disfunzionali sottostanti o a i processi metacognitivi.

Le paure dei timidi, sono in genere, circoscritte ad alcune tipologie, prima fra tutte, la paura del giudizio negativo degli altri.

Questo tipo di timore è strettamente legato al profondo bisogno di appartenenza sociale che il soggetto timido percepisce come precaria o mancante.

Anche il timore del rifiuto può collegarsi al tema dell’appartenenza sociale.

Il timore di non essere all’altezza della situazione o degli altri, di non essere capace di sostenere una situazione un evento, la paura dell’insuccesso sono più strettamente legati a credenze riguardanti una personale inadeguatezza.


In realtà, il tema dell’appartenenza sociale è lo scoglio primario di ogni forma di timidezza, proprio in quanto essa è riferita alla vita con gli altri.


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