La timidezza caratterizza comportamenti e valutazioni. A fare la parte del leone sono l’inibizione ansiogena, l’emozione della paura, il percepirsi inadeguati.
Questi fattori che influenzano le scelte comportamentali favoriscono l’accumularsi degli insuccessi relazionali e/o dell’evitamento dell’interazione sociale.
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Aniello Saravo - essere e apparire |
Il sommarsi degli insuccessi rendono ancor più pregnante la propria percezione d’inadeguatezza e più pressante i propri stili di autoregolazione cognitiva ed emotiva.
L’individuo timido sente un profondo bisogno di controllo. Controlla sé stesso e gli altri, ma anche quando quest’operazione è rivolta all’esterno, nella maggior parte dei casi, è comunque autocontrollo, spesso, è autoverifica.
Le persone timide tendono a verificare la trasparenza delle inadeguatezze che presumono di avere; il livello di corrispondenza tra il sé ideale e quello reale; se è a rischio di negazione da parte altrui, il bisogno di appartenenza sociale; se sta per diventare oggetto di valutazione e giudizio da parte degli altri.
Nel contesto di questa attività di controllo gli elementi base di paragone sono il sé ideale e le qualità e abilità degli altri.
L’altro diventa, dunque, un metro di misura con il quale verificare la qualità delle proprie prerogative. Paragonandosi agli altri il soggetto timido misura le discrepanze tra il sé inadeguato e la normalità o superiorità degli altri.
Queste tendenze sono supportate da meta credenze, spesso senza esserne consapevoli, che conferiscono all’attività di controllo una valenza positiva. Attraverso di questa essi ritengono di evitare di farsi trovare impreparati o di poter giungere a soluzione. Nella realtà, essi definiscono per cercare solo conferma delle idee e percezioni negative che hanno di sé stessi.
Capita che ci si accorge di utilizzare gli altri come termini di paragone, ma la valutazione che fanno di tale comportamento mentale è quasi sempre fuorviante. Non viene colta coscientemente l’effettiva funzione di controllo, né tanto meno l’oggetto reale del controllo. Si perde di vista il fatto che l’altro è solo un termine di paragone.
Spesso, le persone timide, ritengono che paragonarsi agli altri sia una sorta di sudditanza o dipendenza da questi. La loro reazione istintiva è l’idea di dover focalizzare su sé stesse. Nella realtà il paragonarsi agli altri è focalizzare proprio su sé stessi. L’oggetto finale del controllo non sono gli altri, ma la propria persona.
Si convincono di aver concentrato l’attenzione sugli altri quando, invece, questi funzionano solo come uno specchio in cui si riflettono i personali presunti difetti o inadeguatezze.
La persona timida cerca conferma della validità dell’idea negativa che ha di sé e, giacché percepisce di essere inadeguata, è inconsciamente ne è convinta, cerca qualcosa che è certa di trovare, per cui le inferenze arbitrarie, le astrazioni selettive, le letture del pensiero, i ragionamenti dicotomici fanno sì che molti elementi diventano fattori dimostrativi delle tesi iniziali.
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