27 giugno 2017


Carla ha grandi difficoltà con la dialettica, non le riesce di ribattere agli sfottò o alle provocazioni, e ogni volta si sente immensamente stupida. Vittorio in tutte le situazioni in cui non sa come giostrarsi, pensa di essere uno stupido. Adele tutte le volte che commettere errori che giudica banali, pensa di essere ingenua e che gli altri la considerino stupida.

L’idea di una propria stupidità si fa spazio nelle persone timide ogni qual volta si osservano barcollare nelle situazioni sociali e dopo, quando stanno ore a ruminarci su.

Elena Merlino - mettermi a nudo
Il presente nelle attività sociali, per una persona timida, è un distruttivo processo di autofocalizzazione. Il suo bisogno di controllo la spinge a un automonitoraggio esasperato; osserva sé stessa nel muoversi e lo fa con il preciso intento di individuare falle nel suo fare. 

Non è un osservatore esterno imparziale, si pone fuori da sé non per osservare con curiosa volontà di conoscenza, il suo obiettivo è l’obbligo di trovare il pelo nell’uovo.

La sua attività di controllo su sé stesso si trasforma in una inchiesta che non può che concludersi con un giudizio: il soggetto timido è alla ricerca di sue inadeguatezze.

Si osserva mentre si muove, osserva come lo fa e, allo stesso tempo, immagina gli altri esprimere il suo stesso parere. L’ossessione per il giudizio altrui è una sua preoccupazione costante.

Nel monitorare sé stesso, con volontà giudicante, si pone nei panni della mente degli altri: essi sicuramente penseranno questo o quello.


Il pensiero previsionale dell’individuo timido non è, per egli, una supposizione, una ipotesi, è un dato di fatto. La previsione finisce con il coincidere, a priori, con la realtà.

Le persone timide si guardano e si vedono male. 

Questa interazione di processi cognitivi innesca il circolo vizioso della timidezza e, con esso, attiva l’inibizione ansiogena.

E quando entrano in gioco i fattori inibenti, allora si, che si inciampa, che si balbetta, che crolla il tono della voce, che la memoria va in défaillance, che si diventa muti.

Di seguito a queste incapacità indotte, direi costrette, obbligate, la persona timida sente scendere il proprio valore, la propria autostima

Il giudizio di sé è di non saper gestire la comunicazione, di non saper dare una buona impressione di sé. Di conseguenza, il supposto pensiero degli altri si esplica in un giudizio che la definisce come persona dagli standard inferiori.

Il sentirsi stupidi corrisponde a un giudizio di inferiorità verso se stessi. 

Gli altri si trovano a essere un gradino più su, non tanto per i loro meriti, ma per il demerito del soggetto timido.

Sebbene la persona timida ritiene che il giudizio di stupidità è espresso dall’altro, è concretamente un pensiero che nasce e parte dal mondo interiore dell’individuo timido. 

L’idea dell’essere stupidi si manifesta attraverso le previsioni o la lettura del pensiero per poi sfociare nel sentirsi tale: “penseranno che sono stupida/o”; “mi sono sentita/o davvero stupida/o”.

Più precisamente, questa idea è presente in quell’insieme di definizioni del sé quali sono le credenze di base

Ci si sente stupida/o perché nel proprio inconscio si ritiene di esserlo.

Tuttavia, sentirsi o ritenersi stupidi non significa, né dimostra di esserlo per davvero. Non a caso, l’idea della stupidità transita nella mente nei momenti ansiogeni, quando si è alla mercé delle emozioni e dell’ansia, quando prevale il pensiero emotivo che, per sua natura, non ha il dono dell’oggettività. Infatti, generalmente, a freddo, non si pensa di esserlo.



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