Elena arrossisce al solo pensiero di arrossire; Michele
arrossisce se pensa che gli altri possano vederlo arrossire; Milena arrossisce
se qualcuno le dice qualcosa che tocca la sua fragilità; Adolfo arrossisce
quando si sente scoperto riguardo sue presunte inadeguatezze; Lidia arrossisce
ogni qualvolta le si rivolge la parola; Andrea ha il terrore di arrossire;
Aristide arrossisce ogni qual volta deve iniziare a parlare dinanzi a più
persone.
Per molti il rossore al viso è sinonimo di timidezza.
L’arrossire è una di quelle manifestazioni che l’immaginario collettivo cui
l’uomo conferisce l’associazione all’idea della timidezza. Ma non sempre è
così. Anche altre forme di ansia sociale condividono questo fenomeno ansioso.
Ma perché si arrossisce?
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Massimo Orsi - vergogna |
La persona timida avverte una propria nudità che pone in
luce quelle che pensa, o teme, siano le sue discrepanze nei confronti di un
sistema di valori cui conferisce valore primario e ideale; valori che possono
riguardare le abilità, le capacità, l’amabilità, la morale e l’etica.
Il soggetto timido sente di non corrispondere a ciò che
ritiene essere gli standard sociali accettabili, e ciò indipendentemente dalla
reale disponibilità altrui.
Infatti, l’idea di non corrispondenza è del tutto
soggettiva, oppure, quando inerisce elementi oggettivi, assegna, a questi, un
valore e una validità assolute che non permettono neanche lievi variazioni.
L’idea di essere scoperti sulle proprie presunte fragilità
può insorgere sia come anticipazione di un evento e, quindi, attraverso il
pensiero previsionale; sia come presa d’atto di una discrepanza, reale o
fittizia, verificatesi nel presente o nell’immediato passato, come quando si
prende la parola dinanzi a una platea, oppure come quando qualcuno fa
osservazioni che toccano i nostri punti deboli.
In ultima analisi, l’arrossire si manifesta con l’auto
valutazione di una propria inadeguatezza in prossimità o durante un evento in
cui ci si sente al centro dell’attenzione.
Ovviamente, ciò è possibile perché si attivano credenze di
base disfunzionali che mettono in moto un intero processo cognitivo che coinvolge
gli schemi cognitivi collegati.
Rispetto a questo problema, l’ansioso sociale si auto
monitora, passa in rassegna le proprie sensazioni fisiche interne alla ricerca
ossessiva di quei sintomi che possano dimostrare il verificarsi del rossore,
e se arrossisce, monitora la platea.
Questa attività di controllo che, chiaramente, produce
ulteriore stato d’ansia, non fa altro che alimentare l’intero processo
circolare del fenomeno.
Oltre a questo aspetto, c’è poi la paura di arrossire.
Quando questa mette in moto dei processi metacognitivi come la ruminazione, il
rimuginìo, la preoccupazione, allora la paura si trasforma in meta paura e
possiamo parlare di eritrofobia.
In questi casi, la paura di arrossire si collega a pensieri
che riguardano non più soltanto il giudizio altrui, ma il fatto stesso di
arrossire. Le persone timide cominciano a pensare al rossore in viso non più
come fatto contingente, ma come problema immanente.
L’arrossire diventa il tema centrale dei pensieri del
soggetto timido, e la paura che ciò possa accadere è IL problema.
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