6 luglio 2017


Elena arrossisce al solo pensiero di arrossire; Michele arrossisce se pensa che gli altri possano vederlo arrossire; Milena arrossisce se qualcuno le dice qualcosa che tocca la sua fragilità; Adolfo arrossisce quando si sente scoperto riguardo sue presunte inadeguatezze; Lidia arrossisce ogni qualvolta le si rivolge la parola; Andrea ha il terrore di arrossire; Aristide arrossisce ogni qual volta deve iniziare a parlare dinanzi a più persone.

Per molti il rossore al viso è sinonimo di timidezza. L’arrossire è una di quelle manifestazioni che l’immaginario collettivo cui l’uomo conferisce l’associazione all’idea della timidezza. Ma non sempre è così. Anche altre forme di ansia sociale condividono questo fenomeno ansioso.

Ma perché si arrossisce?


Massimo Orsi - vergogna
La persona timida avverte una propria nudità che pone in luce quelle che pensa, o teme, siano le sue discrepanze nei confronti di un sistema di valori cui conferisce valore primario e ideale; valori che possono riguardare le abilità, le capacità, l’amabilità, la morale e l’etica.

Il soggetto timido sente di non corrispondere a ciò che ritiene essere gli standard sociali accettabili, e ciò indipendentemente dalla reale disponibilità altrui. 

Infatti, l’idea di non corrispondenza è del tutto soggettiva, oppure, quando inerisce elementi oggettivi, assegna, a questi, un valore e una validità assolute che non permettono neanche lievi variazioni.

Chiaramente, il timore del giudizio altrui è centrale perché, per gli individui timidi, l’arrossire costituisce un problema e un timore soltanto se si è in presenza di altre persone, per cui, ci si sente al centro dell’attenzione e suscettibili della valutazione degli altri.

L’idea di essere scoperti sulle proprie presunte fragilità può insorgere sia come anticipazione di un evento e, quindi, attraverso il pensiero previsionale; sia come presa d’atto di una discrepanza, reale o fittizia, verificatesi nel presente o nell’immediato passato, come quando si prende la parola dinanzi a una platea, oppure come quando qualcuno fa osservazioni che toccano i nostri punti deboli.

In ultima analisi, l’arrossire si manifesta con l’auto valutazione di una propria inadeguatezza in prossimità o durante un evento in cui ci si sente al centro dell’attenzione.

Ovviamente, ciò è possibile perché si attivano credenze di base disfunzionali che mettono in moto un intero processo cognitivo che coinvolge gli schemi cognitivi collegati.

Rispetto a questo problema, l’ansioso sociale si auto monitora, passa in rassegna le proprie sensazioni fisiche interne alla ricerca ossessiva di quei sintomi che possano dimostrare il verificarsi del rossore, e se arrossisce, monitora la platea.

Questa attività di controllo che, chiaramente, produce ulteriore stato d’ansia, non fa altro che alimentare l’intero processo circolare del fenomeno.

Oltre a questo aspetto, c’è poi la paura di arrossire
Quando questa mette in moto dei processi metacognitivi come la ruminazione, il rimuginìo, la preoccupazione, allora la paura si trasforma in meta paura e possiamo parlare di eritrofobia.

In questi casi, la paura di arrossire si collega a pensieri che riguardano non più soltanto il giudizio altrui, ma il fatto stesso di arrossire. Le persone timide cominciano a pensare al rossore in viso non più come fatto contingente, ma come problema immanente.


L’arrossire diventa il tema centrale dei pensieri del soggetto timido, e la paura che ciò possa accadere è IL problema.


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