Quello dell’appartenenza è un bisogno primario dell’essere
umano ed è anche uno dei grandi problemi che generano sofferenza nelle persone
timide tanto, che possiamo parlare di dolore della non appartenenza.
Benché ciascuno di noi ha la propria individualità e
personali obiettivi, non possiamo fare a meno di affermare anche la nostra identità sociale in quanto animale gregario; in ciò, il senso di appartenenza (a una coppia, a una famiglia, a
un gruppo, a un consesso, a una categoria sociale ecc.) è un ingrediente che ci permette di sentirci sociali.
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Edvard Munch - The Day After |
Le persone aspirano ad appartenere a una entità plurima di
individui e, perciò, adottano strategie e tattiche comportamentali per farsi
accettare come membri dell’aggregazione cui tendono.
Le persone timide anche se apparentemente possono apparire
troppo riservate, evitanti, snob, persino asociali, aspirano profondamente a
vivere la condizione di appartenenza.
Infatti, mentre l’asociale è oggettivamente disinteressato,
in modo più o meno assoluto, agli interessi, alle aspirazioni e alla vita
altrui e comunitaria, e perciò si distacca dalla vita sociale e preferisce non
interagire, l’ansioso sociale si ritrova ad essere separato non per volontà
propria, ma per condizione indotta.
Spesso sotto accusa viene posto l’aspetto fisico, così
corporeità e valori estetici, socialmente veicolati, finiscono con l’essere
individuati come gli elementi di discrepanza che causano il fallimento
nell’interazione sociale.
Altrettanto frequentemente le colpe sono individuate
nella natura sociale dell’uomo; in tal caso gli altri appaiono come individui
finalizzati a una sorta di egoismo di gruppo, e da qui scaturiscono anche
sentimenti di rancore.
Ma perché gli altri evitano le persone che hanno forte
difficoltà di interazione?
Le ragioni sono diverse e persino presentarsi in maniera
associata.
Una delle principali cause sono le modalità comportamentali
dell’ansioso sociale.
Si tratta di modelli di comportamento non funzionali
all’interazione interpersonale. In questi casi possono incidere molto la
carenza di abilità sociali e le condizioni ansiogene interiori della persona
timida.
La timidezza implica o il mancato apprendimento di modelli
di relazionamento sociale efficaci, oppure il loro mancato esercizio.
La persona timida, così come tutti gli ansiosi sociali,
adottano modelli comportamentali che gli altri non riescono a riconoscere o a
comprendere, e li interpretano in modo errato.
È un po’ come trovarsi in un paese dove si parla una lingua
sconosciuta.
Inoltre, la ritrosia, l’inibizione ansiogena, l’evitamento,
le reazioni aggressive o passive finiscono col trasmettere all’esterno messaggi
di non disponibilità, di scarsa volontà socializzante.
Non dobbiamo dimenticare
che il comportamento è comunicazione a prescindere dalle personali intenzioni.
Ciò implica che anche postura e mimica facciale possono trasmettere sensazioni
negative agli altri.
Sempre in tema di comportamento, possiamo portare l’esempio di chi fa scena
muta che può essere percepito come assente e, dunque può affermarsi un pensiero
tipo: “se già di per sé, tale persona è assente, che senso ha invitarla?”.
Un altro fattore che interviene è la paura della sofferenza.
L’essere umano tende sempre a evitare quelle situazioni che percepisce o
valuta, attraverso il pensiero previsionale, come a forte rischio di danno. In
tal senso, un ansioso sociale può essere percepito come soggetto portatore di
emozioni negative contagiose.
Tuttavia, per lo più, sono i modi del dire e del fare a
generare i problemi maggiori che inducono i non ansiosi a evitare gli ansiosi.
Altro aspetto è la tendenza degli individui timidi a
diradare i rapporti interpersonali in termini quantitativi e di frequenza.
In
questo caso, il ritiro sociale rompe i legami esistenti rendendoli precari: gli
altri non riconoscono più l’effettiva appartenenza al gruppo e percepiscono l’ansioso
sociale come un estraneo.
In altri casi il disperato e ansioso bisogno di appartenenza
può anche produrre comportamenti di attaccamento esagerati: l’appiccicosità, la
logorroicità che impedisce agli altri di esprimersi, l’esasperato protagonismo,
la forte passività o tendenza a essere sottomessi. Tutti fattori che rendono la
persona poco attraibile o desiderabile.
Quando la anassertività si presenta come tratto pregante della personalità e/o
del carattere di una persona, diventa un fattore di allontanamento o di
isolamento.
Per concludere, se gli altri ti evitano, prima di pensare di essere brutta/o oppure
di provare rancore verso gli altri, analizza i tuoi comportamenti e come le
altre persone vi reagiscono, magari trovi la soluzione.
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