8 agosto 2017


Quando la persona timida conferisce a sé stessa la causa e/o la colpa delle proprie sofferenze si auto rigetta, non si accetta, se potesse, si ripudierebbe.

C’è da dire che attribuirsi delle colpe non significa averne, anzi, generalmente, il soggetto timido, e l’ansioso sociale in generale, tende ad ascrivere a sé, colpe e fattori causali della propria infelicità.

Mariarita Renatti - lana nera
Non si accetta il proprio corpo, il carattere personale, l’identità che si ritiene di avere, certi tratti caratteristici della propria personalità, l’indole che si ha.

“Mi faccio schifo, sono incapace di relazionarmi con le persone”; “faccio pena per questa mia nullità”; “che squallido/a che sono, non mi riesce di far nulla di buono”; “sono ridicolo/a, qualunque cosa faccio mi viene storta”; “non c’è cosa in cui riesco, sono da buttar via”; “sono repellente, perché mai gli altri dovrebbero prestarmi attenzione?”; “Sono completamente sbagliata/o”; “ho un carattere schifoso”.

La quantità di frasi auto accusatorie del genere è incredibilmente vasta; gli aspetti e le qualità personali che si pongono sotto accusa sono proprio tante.

La non accettazione del sé parte, dunque, da valutazioni e giudizi negativi sulla propria persona.

Un fattore che favorisce questa tendenza a dilaniare il valore di sé stessi sta anche negli insuccessi che gli individui timidi accumulano nel corso della propria esperienza di vita.

Dinanzi a evidenti esiti negativi nelle esperienze di interazione, il soggetto timido, è spinto da impulsi emotivi che lo inducono a personalizzare le ragioni degli insuccessi.

Il dito è puntato su ciò che appare in superficie, anche perché le cause reali, originarie, sono di natura cognitiva e inconscia.

Nel tentativo di raccogliere prove sulle cause del proprio insuccesso, guardando ciò che è percettibile al proprio stato cosciente, si finisce col considerare causale ciò che, in realtà, sono conseguenze di fattori sottostanti.

Si guarda l’impaccio, il mutismo, la difficoltà ad esprimersi, la mancanza di coraggio nell’azione, le rinunce, i comportamenti sommessi, passivi o anche aggressivi, la mancanza di savoir-faire, i blocchi mentali, le reazioni incontrollate.

Purtroppo, le persone timide tendono ad associare questi elementi disfunzionali comportamentali o mentali, a una inadeguatezza di sé stesse.

Difficilmente sono consapevoli che i comportamenti, nelle situazioni che temono, sono oggetto dell’inibizione ansiogena, e che questa sia molto, davvero potente.
Anche quando si rendono conto di essere incappati nell’inibizione ansiogena considerano, quest’ultima, una loro colpa. In pratica, tutto ciò di negativo che proviene da sé, è una colpa personale.

In questo modo di ragionare è evidente la difficoltà di comprendere la complessità della mente umana; a cogliere il suo rapporto con i processi automatici di valutazione che, come ben sai, non sono sotto il controllo della volontà e dello stato cosciente; né coglie il forte potere condizionante delle emozioni e del pensiero emotivo.

Non si accetta la propria natura umana. 

I soggetti timidi stanno a controllare le discrepanze tra sé e gli altri, per misurare il presunto grado di inadeguatezza che li separa dal mondo dei “normali”.

Come ho accennato, i comportamenti disfunzionali messi in atto sono considerati, dall’individuo timido, come prova di qualità negative possedute: inabilità sociali, incapacità nel fronteggiare determinati eventi con efficacia, difettosità di natura, non amabilità, non attraibilità, inconsistenza caratteriale, insignificanza della personalità.

Giacché gli sfuggono la natura cognitiva e l’inconsapevolezza del carattere inconscio dei fattori che stanno alla radice della propria timidezza, nonché la peculiarità automatica di molte funzioni mentali che sfuggono alla capacità di controllo cosciente, il soggetto timido ferma la propria auto analisi solo su ciò che appare e su una quantità di dati estremamente limitati. 

La valutazione che fanno su sé stessi, e il giudizio negativo che ne consegue, poggiano su un insieme insufficiente e inadeguato di informazioni.

La non accettazione del sé ha conseguenze negative consistenti: la perpetuazione sine die del giudizio negativo sul sé, la conferma e il rinforzo delle credenze disfunzionali sul sé, il mantenimento della condizione della timidezza, il permanere di un muro che impedisce il cambiamento, il persistere, se non il peggioramento, del modo disfunzionale di vivere il rapporto con le proprie esperienze interne.

Sappi, che se non impari ad accettarti, nessun cambiamento della tua vita è possibile: l’accettazione è il primo passo per liberare te stessa/o.


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