31 agosto 2017


Un po’ di persone pensano che la timidezza sia di origine genetica o, più genericamente, che sia innata. Simili pensieri sono riferiti anche alle altre forme di ansia sociale.

È bene chiarire questa cosa. Non esistono forme di ansia sociale innate, né esiste alcuna prova scientifica che dimostri l’esistenza di un gene che la determina.

Simonetta Massironi - presenza
La timidezza si forma quando si è in vita, e lo stesso vale anche per tutte le altre forme di ansia sociale.

Non a caso, ho spesso descritto la timidezza come un disagio sociale di natura cognitiva e riferita solo, ed esclusivamente, al mondo delle relazioni umane.

Già parlare di natura cognitiva implica processi legati all’attività della mente che possiamo descrivere come il dominio dell’interazione tra relazioni derivate complesse di funzioni cerebrali che raggiungono una tale complessità da non poter essere considerate come fenomeni “fisici”, ma dominio di interazioni capaci di astrazioni che vanno ben oltre la materialità della fisica.

Oggi sappiamo che la timidezza scaturisce da un insieme di pensieri che definiscono negativamente il sé, gli altri o il mondo e dall’adozione di stili del pensare abitudinari sostenute da metacognizioni disfunzionali.

Tuttavia, probabilmente una maggiore sensibilità verso determinati stimoli che favoriscono il manifestarsi dell’ansia può avere una origine di stampo genetico. Ciò, però, non è sufficiente, in alcun modo, nello stabilire un rapporto diretto e automatico tra ansia e timidezza.

Di certo le credenze di base che stanno alla radice della timidezza, come di tutte le altre forme di ansia sociale, sono acquisite in memoria come dati di conoscenza mediate dalle impressioni emotive vissute al momento dell’esperienza da memorizzare.

La mediazione emotiva, che interviene nella descrizione degli eventi, ha un notevole influsso nella fissazione del ricordo e delle definizioni che ne scaturiscono, tale da trasformare la descrizione dell’esperienza in una interpretazione non aderente alla realtà oggettiva.

“Son nato/a così è colpa mia”; “la mia timidezza è un errore”; “è che io sono nata/o difettosa/o”; “avrei bisogno di qualcuno che mi aggiustasse la testa”; “io non funziono bene”; “sono nato/a male”.

Le credenze disfunzionali che partecipano alla formazione della timidezza possono cominciare a formarsi già nei primissimi anni di vita. Molto dipende da come il neonato, l’infante o il fanciullo, percepiscono l’interazione tra sé e i caregiver (le figure accudenti, in genere i genitori) e da come la vivono emotivamente.

L’ambiente in cui si nasce e si cresce è di fondamentale importanza per la crescita equilibrata di una persona. Ma non è solo la famiglia a incidere sullo sviluppo di forme di ansia sociale. Possono intercorrere fattori provenienti da altri ambienti come, ad esempio, la scuola, la comunità sociale. Anche se questi ultimi fattori, fatta eccezione di traumi significativi, per essere determinanti hanno comunque bisogno di innestarsi su problematiche preesistenti.

Una forma di ansia sociale che si forma nei primi anni di vita, tende spesso a incubare per poi manifestarsi durante l’adolescenza. Ma la timidezza può manifestarsi anche prima.
Molte persone timide raccontano di esserlo sempre state, o di esserlo stato sin da piccole.


La mancanza della consapevolezza di queste dinamiche, che spesso non raggiungono neanche lo stato cosciente, fa sì che la memoria di una condizione di timidezza persistente sin dalla fanciullezza o dall’adolescenza possa indurre a pensare a uno stato in atto della propria condizione.


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