La demotivazione è una condizione emotiva di natura cognitiva; scaturisce da una valutazione di assenza di soluzione, dall’emozione dello sconforto e dalla paura della sofferenza percepita come insopportabile. Ogni possibile tentativo appare vano.
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Esperienze che, sia pure con diverse declinazioni, rintracciamo nelle forme depressive e nelle ansie sociali.
Quando un obiettivo è visto come qualcosa che sfugge di mano, che diventa inafferrabile, improbabile, impossibile, troppo lontano per i propri mezzi, si fa avanti l’idea della vacuità del tentare stesso.
I pensieri previsionali sono tutti orientati nella predizione di esiti negativi, ma non sono i soli a entrare in gioco nelle perverse dinamiche che portano alla demotivazione.
Gli schemi cognitivi spesso sostenute anche da convinte assunzioni costituiscono l’anima dei processi mentali che conducono a questi risultati.
Le metacognizioni arricchiscono molto il paesaggio mentale degli ansiosi sociali o dei depressi che sono chiamati a fare i conti con la demotivazione. Così entrano in gioco idee e concetti che finiscono col cristallizzare le attività mentali.
Nel tentativo di spiegare o capire le ragioni della propria condizione e di trovare soluzioni, l’ansioso sociale si apre a concetti come l’ineluttabilità o l’incontrollabilità.
L’idea delle ineluttabilità si collega spesso al tema “magico” del destino, della predestinazione: così, all’ineluttabilità si aggiunge anche l’inevitabilità.
Già in questi casi si fa strada l’idea dell’impotenza, ma questa va oltre il confine dell’ineluttabile.
Un fattore che sostiene sentimento dell’impotenza nel far fronte a una condizione di sofferenza è spesso l’idea della incontrollabilità.
Questo metapensiero trova una giustificazione nella difficoltà che incontra l’ansioso sociale, o il depresso, nel fronteggiare la propria condizione e che spesso si risolve nella non azione.
Nonostante quest’ultima sia il risultato del venir meno delle energie psichiche da destinare a uno sforzo di mutamento, nella mente dell’ansioso sociale, ciò che non si riesce a gestire è incontrollabile, indipendente dal sé, un fenomeno che aggira la volontà dell’individuo, dotato di automaticità.
In realtà, se tratto di automaticità esiste, questo è solo il risultato di un’abitudine protrattasi per troppo tempo.
Difficilmente una persona depressa o un ansioso sociale ha piena consapevolezza del fatto che la mancanza di energia psichica rende ingestibile eventi, situazioni e condizioni.
Va notato che la scarsità delle risorse psichiche è soprattutto il risultato di una attenzione selettiva focalizzata più sull’esistenza in sé del problema piuttosto che verso il problem solving.
Incontrollabilità, idea di impotenza, ineluttabilità, sono metacognizioni che ritroviamo con grande costanza nelle attività mentali che ne derivano, cioè nelle ruminazioni e nei rimuginii. Ma sono anche il risultato derivante da un insieme di credenze disfunzionali che innescano processi mentali articolati ed emozioni che hanno come fattore comune l’idea della inadeguatezza.
Il flusso dei pensieri vertono su questa fatalità, il pessimismo s’impadrona della mente, mentre tristezza, sconforto o rabbia configurano l’umore. Ma fanno di più. Distraggono e consumano energie psichiche e logiche, tanto da svilire la forza di volontà.
A quel punto, anche se si è coscienti di dover agire in direzioni produttive, quel che viene a mancare è l’energia per farlo. Spesso, questa mancanza di forza di volontà viene interpretata come pigrizia, indolenza, fannullaggine. E quando si etichettano le persone sofferenti, che si trovano in tale condizione, di questi difetti, si produce, in essi, ulteriori sofferenze. Una persona con carattere depressivo coglie, in questi atteggiamenti critici altrui, una incapacità di comprensione, e ciò favorisce ulteriormente la tendenza al ritiro sociale, all’evitamento nel manifestare i propri stati emotivi, alla comunicazione relazionale.
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