5 settembre 2017


Essendo di natura cognitiva, la timidezza è innanzitutto sostenuta da credenze di base negative e, sostanzialmente, inconsce riguardanti, principalmente, la definizione di sé stessi. 

Ciò in termini di capacità di far fronte agli eventi con efficacia; abilità nell’interagire con gli altri; quanto si è interessanti o amabili come persona; avere, o meno, una difettosità innata.

Felice Casorati - l attesa
La persona timida percepisce questo senso di inadeguatezza soprattutto attraverso le emozioni della paura, i pensieri automatici negativi, le valutazioni in merito al susseguirsi delle esperienze conclusasi in modo insoddisfacente. 

Un insieme di fattori che, per un verso, alimenta il circolovizioso della timidezza, per un altro, produce la conferma e il rinforzo delle credenze di base disfunzionali, delle credenze strutturate derivate, sia le abitudini delle strategie di autoregolazione di natura metacognitiva.
Catturato in questo vortice, l’individuo timido ha sempre qualche timore che lo sovrasta.

Anche perché una volta che si attivano le emozioni della paura seguono anche le esperienze di ansia che pure fa parte del processo circolare delle ansie sociali. Ansia e paura convincono ancor di più i soggetti timidi del livello alto di pericolosità in cui stanno per incorrere.

La loro mancanza di iniziativa deriva da quest’insieme di processi cognitivi.

Le persone timide, talvolta, descrivono questa loro tendenza a desistere, quindi al comportamento evitante, facendo riferimento all’indecisione, all’insicurezza e alla mancanza di autostima.

In effetti, la mancanza di autostima è la diretta conseguenza del fatto di avere una opinione inconscia negativa di sé e, dunque, una scarsa fiducia sui propri mezzi personali; da ciò deriva l’insicurezza che scaturisce nell’indecisione.

Difficilmente una persona timida è consapevole, anche quando ne ha coscienza, del portato dell’inibizione ansiogena che è capace, ad esempio, di inibire il ragionamento, il ricorso alla memoria, le attività fisiche.

“Non so cosa fare”; “non so cosa dire”; “ho paura di essere preso/a per stupido/a”; “ho paura di farmi avanti”; “ho paura di ricevere dei no”; “ho paura di rimanerci troppo male”; “non mi sento mai abbastanza”; “non mi sento desiderata/o”; “non mi sento all’altezza”; “ho paura di sbagliare”; “non sono mai sé è il momento giusto”; “ho paura che pensino male di me”; “e se poi faccio fiasco?”.

Sono alcune delle tante descrizioni e pensieri di ciò che provano gli individui timidi nel raccontare della loro difficoltà nel prendere iniziative.

Un’altra delle emozioni negative che prova una persona timida è la vergogna. 

Sentendosi fuori “target”, cioè di non corrispondere socialmente all’idea che ritiene debba essere il modello umano positivo. Questa discrepanza tra il sé reale e il sé ideale la fa sentire in difetto, in errore, persino fuori dalla decenza; sente di non corrispondere ai valori degli altri, di essere, in un certo senso, fuori norma.

Pensa di non corrispondere ai valori sociali degli altri cui lei dà grande importanza. 

“Se va male, che figura che ci faccio!”; “se sbaglio, non potrei guardare in faccia più nessuno”.

La vergogna fa, dunque, riferimento a quei pensieri automatici previsionali che presagiscono un giudizio negativo degli altri. Si vergogna di non essere “normale”. 

In realtà, l’idea di normalità che, come saprai, è relativa, fa riferimento alla concezione individuale che il soggetto timido ha costruito dentro di sé.

Il timore dell’insuccesso, quindi, sembra essere la ragione cosciente primaria che spinge le persone timide a non prendere iniziative, ad avere difficoltà nel decidere, nel fare delle scelte.

È chiaro che l’insuccesso acquisisce un valore negativo estremo, più che di insuccesso, la persona timida pensa in termini di fallimento. È vissuto come un disastro, non viene considerato come un incidente di percorso, un fatto contingente ben delineato in un ristretto arco temporale, rappresenta il fallimento globale della propria persona.

La vergogna diventa anche vergogna di un proprio fallimento su tutta la linea.

Non si prende l’iniziativa perché ciò che si presagisce presuppone sofferenza. Una sofferenza che non è considerata sopportabile.


Anche in questi casi la paura della sofferenza spinge i timidi a vivere una sofferenza costante.




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