Essendo di natura cognitiva, la timidezza è innanzitutto sostenuta
da credenze di base negative e, sostanzialmente, inconsce riguardanti,
principalmente, la definizione di sé stessi.
Ciò in termini di capacità di far
fronte agli eventi con efficacia; abilità nell’interagire con gli altri; quanto
si è interessanti o amabili come persona; avere, o meno, una difettosità
innata.
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Felice Casorati - l attesa |
La persona timida percepisce questo senso di inadeguatezza
soprattutto attraverso le emozioni della paura, i pensieri automatici negativi,
le valutazioni in merito al susseguirsi delle esperienze conclusasi in modo
insoddisfacente.
Un insieme di fattori che, per un verso, alimenta il circolovizioso della timidezza, per un altro, produce la conferma e il rinforzo delle credenze di base disfunzionali, delle credenze strutturate derivate,
sia le abitudini delle strategie di autoregolazione di natura metacognitiva.
Catturato in questo vortice, l’individuo timido ha sempre
qualche timore che lo sovrasta.
La loro mancanza di iniziativa deriva da quest’insieme di
processi cognitivi.
Le persone timide, talvolta, descrivono questa loro tendenza
a desistere, quindi al comportamento evitante, facendo riferimento
all’indecisione, all’insicurezza e alla mancanza di autostima.
In effetti, la mancanza di autostima è la diretta
conseguenza del fatto di avere una opinione inconscia negativa di sé e, dunque,
una scarsa fiducia sui propri mezzi personali; da ciò deriva l’insicurezza che
scaturisce nell’indecisione.
Difficilmente una persona timida è consapevole, anche quando
ne ha coscienza, del portato dell’inibizione ansiogena che è capace, ad esempio,
di inibire il ragionamento, il ricorso alla memoria, le attività fisiche.
“Non so cosa fare”; “non so cosa dire”; “ho paura di essere
preso/a per stupido/a”; “ho paura di farmi avanti”; “ho paura di ricevere dei
no”; “ho paura di rimanerci troppo male”; “non mi sento mai abbastanza”; “non
mi sento desiderata/o”; “non mi sento all’altezza”; “ho paura di sbagliare”;
“non sono mai sé è il momento giusto”; “ho paura che pensino male di me”; “e se
poi faccio fiasco?”.
Sono alcune delle tante descrizioni e pensieri di ciò che
provano gli individui timidi nel raccontare della loro difficoltà nel prendere
iniziative.
Un’altra delle emozioni negative che prova una persona
timida è la vergogna.
Sentendosi fuori “target”, cioè di non corrispondere
socialmente all’idea che ritiene debba essere il modello umano positivo. Questa
discrepanza tra il sé reale e il sé ideale la fa sentire in difetto, in errore,
persino fuori dalla decenza; sente di non corrispondere ai valori degli altri,
di essere, in un certo senso, fuori norma.
Pensa di non corrispondere ai valori sociali degli altri cui
lei dà grande importanza.
“Se va male, che figura che ci faccio!”; “se sbaglio,
non potrei guardare in faccia più nessuno”.
La vergogna fa, dunque, riferimento a quei pensieri automatici previsionali che presagiscono un giudizio negativo degli altri. Si vergogna di
non essere “normale”.
In realtà, l’idea di normalità che, come saprai, è
relativa, fa riferimento alla concezione individuale che il soggetto timido ha
costruito dentro di sé.
Il timore dell’insuccesso, quindi, sembra essere la ragione
cosciente primaria che spinge le persone timide a non prendere iniziative, ad
avere difficoltà nel decidere, nel fare delle scelte.
È chiaro che l’insuccesso acquisisce un valore negativo
estremo, più che di insuccesso, la persona timida pensa in termini di fallimento. È vissuto come un disastro, non viene considerato come un incidente
di percorso, un fatto contingente ben delineato in un ristretto arco temporale,
rappresenta il fallimento globale della propria persona.
La vergogna diventa anche vergogna di un proprio fallimento
su tutta la linea.
Non si prende l’iniziativa perché ciò che si presagisce
presuppone sofferenza. Una sofferenza che non è considerata sopportabile.
Anche in questi casi la paura della sofferenza spinge i
timidi a vivere una sofferenza costante.
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