PRIMA PARTE
Quando
parliamo di timidezza ci riferiamo a un disagio che si dimostra assai complesso
e variegato, spesso sorretto da più temi di vita (elaborazioni mentali
incentrate sulle personali vulnerabilità emotive, a esempio, i temi
dell’ insicurezza, dell’inadeguatezza, del disamore, dell’indegnità, della
difettosità di nascita, eccetera), complessità che in tanti casi potrebbe anche
far pensare alla presenza di comorbilità.
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Anna Maria Lucarini - attesa delusa |
La timidezza è sempre riferita agli altri, cioè, all’interazione con essi. Nelle
relazioni più ravvicinate, come quelle amicali o di coppia, entrano in gioco le
aspettative e, correlate a queste, i temi della delusione, della perdita, del
rifiuto.
Ma facciamo
qualche passo indietro per comprendere da dove si originano le aspettative
relazionali.
Per far fronte
ai propri bisogni, sin dai primi giorni di vita, il neonato ripone delle attese
nei confronti di colui o coloro che lo accudiscono e, dal modo in cui il
genitore (soprattutto la madre) risponde alle sue richieste di assistenza e cura,
il bimbo sviluppa degli stili di attaccamento, credenze sia su sé stesso, sia
sul caregiver (accudente).
Già sul finire del primo anno, nel bambino si sono determinati degli stili di attaccamento che si formano in funzione del modo in cui il caregiver ha risposto alle aspettative dell’infante. Sono stati delineati quattro diversi stili di attaccamento: il sicuro, l’ansioso evitante, l’ansioso ambivalente ed il disorganizzato.
Fondamentale
nella formazione di queste credenze è la prevedibilità della risposta
genitoriale.
Se il caregiver è una figura distratta, incoerente, instabile,
incostante, poco disponibile o che non riesce a comprendere le richieste di
accudimento e sicurezza del bambino, questi genera dei modelli operativi
interni di tipo ansioso, ciò perché ha difficoltà nel prevedere il possibile
comportamento del genitore.
Il caregiver viene pertanto visto come un soggetto
non affidabile e, a seconda delle credenze che si sono formate, comincerà a
formarsi schemi di pensiero che possono essere sintetizzati alla maniera
transazionale: io sono ok, tu no; io non sono ok e nemmeno tu; io non sono ok,
tu sei ok.
Con il
sopraggiungere dell’adolescenza, e poi nell’età adulta, il soggetto stabilizza
e, escludendo il pattern sicuro, radicalizza le credenze che si sono formate su
sé stesso, mentre quelle riguardanti i caregiver si trasformano in credenze
generalizzate sull’altro o sugli altri.
È questo
quadro storico che bisogna tener presente quando andiamo a ragionare sulle
aspettative riposte negli altri, nell’altro o in sé stessi e il timore delle
emozioni come quelle della delusione.
Con la
stabilizzazione delle credenze derivanti da un attaccamento ansioso o
disorganizzato cominciano a formarsi anche delle assunzioni e credenze
intermedie come possono essere il “mito dell’amico” e idee condizionali o
doverizzanti del tipo “se mi ama deve capire quello che penso”; “se è
interessata/o a me, si comporterà come io penso debba fare”; “una amico deve
essere sempre pienamente disponibile in tutte le circostanze”.
Le
aspettative nei confronti degli altri o dell’altro scaturiscono da alcuni
bisogni sociali di base e dal timore, molto forte, che questi possano non
essere soddisfatti e determinare delusione e sofferenza.
I bisogni cui
mi riferisco, sono quelli sociali di base, sicurezza e certezze affettive,
approvazione, accettazione.
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