Ho spesso fatto notare come ansia ed emozioni sono attivate
da flussi di pensiero e/o da processi di valutazione automatica. Vi è dunque
uno svolgimento consequenziale di attivazione.
Tuttavia, si tratta di sequenze
che si svolgono in modo veloce, tanto che difficilmente lo stato cosciente
riesce a distinguerne le fasi.
Sia i pensieri automatici negativi, sia i processi divalutazione automatica sfuggono all’attenzione delle persone, e ciò perché non
sono oggetto di elaborazione mentale cosciente.
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Quaini Floriana - frastuono |
Pensieri, emozioni ed ansia sono percepiti come eventi simultanei,
spesso come un unico evento.
Alla difficoltà di cogliere, in modo cosciente, tali
distinzioni vi si aggiunge anche un problema di apprendimento o di mancato
esercizio.
Per chi è cresciuto in ambienti (soprattutto familiari)
anassertivi, o comunque problematici, è molto alta la probabilità che non gli
sia stato concesso, o non abbia avuto la possibilità di apprendere il
riconoscimento di distinte emozioni e/o specifiche forme d’ansia.
Molto spesso le emozioni e i sintomi d’ansia vengono
considerati come un tutt’uno, la loro percezione è equiparata ai fatti. In altre
parole, queste acquisiscono valore di dimostrazione e conferma della veridicità
interpretativa dei fatti.
Nelle ansie sociali, quindi anche nella timidezza, gli
eventi e le situazioni, in cui si manifesta una sensibilità ansiogena, sono
considerate come contenitori di pericoli ad alta probabilità, anzi, a dire il
vero, il rischio è percepito come qualcosa che certamente si verifica.
“Se provo queste emozioni, vuol dire che quel che sto
pensando è vero”; “se mi viene l’ansia significa che il pericolo è imminente”;
“la paura che avverto e l’ansia che ho, dimostra che la mia previsione è
esatta”; “con tutto quel che sto provando, è certo che il mio timore si
avvererà”.
Si possono trovare molti di questi esempi in cui il
ragionamento utilizza le emozioni e i sintomi d’ansia come dimostrazione della
certezza che il rischio si avveri, che le previsioni negative siano esatte, che
le interpretazioni (emotive) coincidono con la realtà.
Quel che accade, è una errata considerazione, o non
conoscenza, della funzione strutturale delle emozioni e dei sintomi d’ansia.
Infatti, mentre le prime hanno lo scopo di indurre all’attenzione, le seconde
servono a predisporre l’organismo a reagire prontamente.
Emozione e ansia non hanno una funzione interpretativa,
bensì quella di preparare l’individuo per il fronteggiamento degli eventi. La
funzione interpretativa è solo, ed esclusivamente, esercitata dalla
elaborazione mentale. Dunque, emozioni e ansie non dimostrano, non configurano,
non rappresentano, non codificano dati di fatto.
Percepire delle emozioni e avvertire di sintomi d’ansia sono,
però, indicativi del fatto che dei processi di valutazione hanno individuato la
possibilità di un rischio che può essere ipotetico o reale. Si tenga presente
che quando si parla di “possibilità” entriamo solo nel dominio delle
probabilità, non certo in quello delle certezze.
Il problema principale di questa incapacità di discernimento
tra eventi mentali, emozioni, stati d’ansia e fatti concreti, sta nel non riuscire a cogliere le causalità oggettive e nel
fondere i vari fattori in una realtà monolitica dove i fatti si confondono con
le percezioni che scaturiscono dal rapporto con le proprie esperienze interne.
Così che il sentirsi in un certo modo, i timori insorti, i pensieri automatici
negativi sono tradotti come fatti concreti e non come percezioni interne. La
realtà materiale viene a coincidere, in modo esatto, con quella percepita.
È chiaro che questa confusione alimenta e favorisce
interpretazioni distorte della realtà, impedisce di cogliere la natura
cognitiva del fattore causale originario, di riconoscere le emozioni per quelle
che sono, nel confinare pensieri, emozioni, stati d’ansia e fatti nei propri
domini di pertinenza.
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