4 ottobre 2017


Ci sono persone timide che vivono la costante condizione di non sentirsi all’altezza di altri o nel fronteggiare determinate situazioni.

Così finiscono col fare scena muta nelle conversazioni di gruppo, a evitare di prendere iniziative, col cercare di essere più invisibili possibile nelle situazioni sociali, nell’impegnarsi a evitare sistematicamente di trovarsi nella condizione di essere al centro dell’attenzione altrui, nell’evitare il confronto dialettico con altre persone soprattutto se queste sono considerate o percepite superiori a sé.

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Qui, l’evidenza della natura cognitiva della timidezza emerge in modo chiarissimo. 

Nel momento in cui la coscienza prende atto di una situazione che va fronteggiata, si sono attivate, in memoria, quelle credenze sulla definizione del sé che la mente collega alla circostanza.


Quello che avviene nelle situazioni in cui si verifica questo sentore d’inferiorità è un processo valutativo divenuto automatico in quanto abituale da lunga data.

Quando si trova in questi tipi di circostanze, la mente della persona timida è attraversata da rapidi pensieri automatici negativi che operano in due direzioni principali.

Una prima direzione sono i pensieri chiamati a valutare le capacità, le abilità e le competenze proprie del soggetto e a stabilirne l’adeguatezza in relazione alla situazione da fronteggiare.

Una seconda direzione è data dai pensieri previsionali che hanno lo scopo di valutare le effettive possibilità di successo.

Chiaramente se le credenze di base, che definiscono il sé in relazione alle abilità sociali, alle capacità di far fronte alle situazioni con efficacia e all’essere (o meno) non difettoso di natura, si sono formate delineando un quadro negativo, o comunque inadeguato, i pensieri automatici sentenziano, in termini di inadeguatezza, capacità, abilità e competenze della propria persona e quindi prevedono un sicuro insuccesso.

L’idea di non essere all’altezza suggerisce e/0 implica i concetti di inferiorità e incapacità.

Le credenze orientate in tal senso si formano, nella loro struttura sostanziale, in quel periodo della vita che va dalla nascita alla preadolescenza. Ciò significa che la loro formazione si è verificata in tempi in cui il soggetto non ha strumenti per valutare con coscienza critica gli stimoli cui è sottoposto e per distinguere gli impulsi emotivi dai fatti oggettivi: i bambini sono senza difese logiche complesse, semplicemente perché non hanno ancora sviluppato le capacità di astrazione concettuale.

Il tardo adolescente e l’adulto, che non hanno avuto modo di invalidare le credenze disfunzionali del bambino che erano, si trovano a “razionalizzare” quei convincimenti negativi sul sé costruendovi sopra assunti e assiomi che ne giustificano la validità. Ciò, però, accade senza che vi sia una congrua consapevolezza.

Gli schemi cognitivi disfunzionali che si sono venuti a creare inducono anche a metacognizioni consone al loro messaggio negativo. Ne scaturisce un apparato che alimenta la pervasività e incisività di strumenti metacognitivi che favoriscono fortemente i processi circolari delle ansie sociali.

Si comprenderà, dunque, che non sentirsi all’altezza di una situazione o di persone, il timore dell’essere inferiori, il percepirsi incapace, anche se sembra esprimere una condizione di inadeguatezza, è soprattutto una valutazione emotiva che non dimostra, né rappresenta, la realtà oggettiva: posso percepirmi inadeguato senza esserlo per davvero.

Tuttavia, la percezione negativa del sé che si manifesta attraverso il timore, il sentirsi in un tal modo, condiziona pesantemente i processi valutativi tanto da indurre a comportamenti difensivi orientati soprattutto all’evitamento.

Purtroppo, l’evitamento del rischio, che nella timidezza e nelle altre ansie sociali è considerato altissimo, anziché essere la soluzione, il rimedio efficace, sono solo la loro illusione.

Spesso, i sintomi dell’ansia e le emozioni negative vengono confuse con la realtà materiale: “se ciò l’ansia, vuol dire che il pericolo è vero e sta per accadere”; “se ho paura vuol dire che davvero sta per succedere quello che temo”.

Quando il timore di non essere all’altezza si materializza nell’evitamento dell’esperienza, questa confusione, questa difficoltà di discernere tra ansia, emozioni e realtà materiale si è tragicamente consumata.




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