Come tutti gli ansiosi sociali, la persona timida ha una
gran paura della sofferenza.
Essa è percepita come qualcosa che non si è in
grado di sopportare, che procurerebbe un tale crollo, psicologico, umorale, e
talvolta fisico, da annichilire ogni possibilità di resistenza e/o
sopravvivenza.
La delusione di cui sto trattando è da riferire a personali
fallimenti, all’abbandono da parte di altri, alla perdita di affetti o di
appartenenza, a rifiuti affettivi.
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Safwan Dahoul - Dream 751 |
È il dominio delle mancanze a essere investito. Ma queste
non appartengono al passato, bensì, al futuro. La timidezza sconta il prezzo
del pensiero previsionale negativo.
Non che il passato non abbia nessuna
attinenza con la paura della delusione; infatti, se questi timori sussistono,
generalmente, è perché l’ansioso sociale ha vissuto esperienze negative che
l’hanno segnato e che hanno ulteriormente confermato e rafforzato le credenze e
gli schemi cognitivi disfunzionali attinenti le prerogative personali o quelle
degli altri.
Tuttavia, la paura della delusione è sempre riferita
all’ipotesi di sofferenze future.
La peculiarità di queste previsioni è che annullano la
differenza tra possibilità, probabilità e certezza.
Non solo. Le previsioni
degli ansiosi sociali hanno un segno negativo.
Ciò che è previsto è immanente, e non lascia spazio alla
varietà delle possibili configurazioni della realtà. Tali possibilità
alternative possono anche transitare fugacemente nella mente del soggetto
timido; il problema è che tali ipotesi vengono subitaneamente scartate come
assolutamente improbabili.
Con l’annullamento delle differenze cui accennavo, la
previsione assume un carattere dicotomico o unilaterale, assomiglia a una
profezia.
La previsione negativa induce a pensare che la minaccia non
solo è reale, ma che è anche certa e inevitabile se si sceglie di vivere
quell’esperienza così a rischio.
In certi casi, il solo pensiero di una sofferenza inevitabile
è sufficiente a produrre ansia e sofferenza.
I temi di vita del soggetto ansioso fanno da sottofondo e
linea guida nei processi di elaborazione, valutazione e previsione.
L’idea dell’insopportabilità della sofferenza fa sì che
l’oggetto dell’esperienza negativa prevista necessita di essere evitato,
aggirato, allontanato.
Le persone segnate da un attaccamento ansioso evitante
considerano le relazioni intime come fonte di sicuro abbandono o perdita. Anche
qui, la sola ipotesi che ciò possa verificarsi è sufficiente a determinare un
comportamento evitante.
In molti casi, l’evitamento si manifesta come rifiuto a
vivere relazioni di coppia e, se ciò invece accade, l’ansioso evitante pone in
atto strategie di controllo, di monitoraggio di tutti quegli elementi che
possono fare emergere le evenienze previste o temute.
Se si cerca il pelo nell’uovo, lo si trova anche se non c’è.
Questi comportamenti evitanti e di controllo ossessivo hanno
un effetto boomerang, si ritorcono contro la stessa persona ansiosa.
L’evitamento impedisce di vivere quelle
esperienze che permettono di sfatare l’idea dell’insopportabilità della
sofferenza e che questa ha sempre durate temporali, ha un inizio e una fine.
Inoltre, si perde anche la consapevolezza concreta della varietà dell’esperienza
della vita umana. Tali mancate esperienze costituiscono un mancato
apprendimento ma anche l’allontanamento dei processi dell’accettazione del sé,
degli altri e della vita stessa.
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