Nella maggior parte dei casi, la persona timida fa i conti con la bassa autostima. Con il sommarsi degli insuccessi nelle interazioni sociali, l’ansioso sociale comincia a focalizzare l’attenzione su sé stesso con insistenza nel tentativo di individuare le cause della propria problematicità al fine di giungere a una soluzione.
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Loic Allemand - n.t |
Sappiamo che alla base della timidezza vi è un insieme di schemi cognitivi formatesi intorno a credenze disfunzionali che ineriscono la definizione del sé, degli altri e del mondo inteso come consesso sociale.
Ciò implica che il soggetto timido viene coinvolto in un insieme di fattori interagenti tra loro:
- L’insorgere dell’inibizione ansiogena che limita l’efficacia dei movimenti, il ricorso alla memoria, le capacità espressive.
- L’adozione di comportamenti emotivi (ciò che si dice e quel che si fa) che inficiano le relazioni interpersonali. Si tratta soprattutto di comportamenti evitanti, elusivi, di estraniazione; questi, essendo disfunzionali, conducono agli insuccessi nelle interazioni.
- Il mancato esercizio e/o apprendimento delle abilità sociali. Gli insuccessi relazionali inducendo a comportamenti evitanti, privano la persona timida di avere l’opportunità di sperimentare, apprendere e adottare modelli relazionali efficaci, né ha la possibilità di verificare l’effettiva validità dei propri convincimenti e comportamenti disfunzionali.
Il ripetersi delle esperienze dolorose rafforzano quelle credenze disfunzionali che ineriscono l’idea del sé in termini di capacità, abilità e amabilità, e vanno, quindi, a consolidare le idee negative sul sé e/o degli altri e, in tal modo, perpetuando i processi circolari della timidezza.
Il rafforzamento delle credenze negative che definiscono il sé producono una forte perdita di fiducia nei propri mezzi. Le persone timide quando si trovano nella condizione di dover fronteggiare gli eventi, cominciano a pensare di non essere capaci, di non essere all’altezza della situazione, di non essere all’altezza degli altri, di essere inferiore agli altri, di non saperci fare, che le loro azioni sono destinate al fallimento, a ricevere dei rifiuti, a non essere accettati, a non riuscire a integrarsi.
Tutti questi tipi di insorgenze mentali si manifestano soprattutto attraverso i pensieri automatici negativi.
Mettendo in moto, o alimentando, il processo circolare dell’ansia sociale, aumentano la percezione del sé inadeguato.
L’ansioso sociale entra in una spirale di pensieri negativi che lo conduce ad una cattiva e spietata critica di sé.
Anche questo comportamento di autocritica va ad alimentare e rafforzare le credenze di base negative.
Tutto ciò rende pervasive le attività metacognitive disfunzionali: si accresce il ricorso alla ruminazione, al rimuginìo, alla preoccupazione, sostenuto dall’idea che a furia di pensare su quanto accaduto o su quanto potrebbe accadere si è in grado di fronteggiare meglio le esperienze di vita.
Spesso, inoltre, all’idea positiva riguardanti queste attività elaborative, se ne affianca anche una negativa inerente soprattutto la non controllabilità delle stesse attività.
In tali contesti l’autostima misura fondamentalmente l’auto percezione del livello di insufficienza delle personali capacità, abilità e attraibilità.
Nel delinearsi l’auto percepirsi negativamente, gli individui timidi non fanno altro che alimentare ulteriormente il circolo vizioso della timidezza, a confermare e rafforzare i propri schemi cognitivi disfunzionali.
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