25 gennaio 2018


C’è un legame molto stretto tra bassa autostima e timidezza, la prima è una conseguenza dell’altra e hanno in comune un giudizio negativo di sé.

L’autostima esprime il grado di fiducia nelle proprie capacità e nei propri mezzi. Essa, dunque, ci dà la misura di quanto crediamo in noi stessi, nelle nostre abilità a muoverci nell’ambito delle relazioni interpersonali, nelle personali capacità di far fronte con efficacia a determinate situazioni, eventi e comportamenti.

Edvard Munch  - autoritratto all'inferno
La timidezza ci indica che avvertiamo un disagio psichico, di natura cognitiva, che sussiste esclusivamente nel dominio delle interazioni sociali. 

Essa è caratterizzata dalla presenza dell’emozione della paura: del giudizio negativo altrui, dell’insuccesso, del fallimento, dell’essere inadeguati a vario titolo e in varie forme.

Dire che la timidezza è di natura cognitiva significa indicare che le radici della sua formazione e i fattori della sua permanenza nel tempo passato e nel presente sono da ricercare nell’insieme delle strutture cognitive e, più in particolare, nelle definizioni del sé, degli altri e del mondo inteso come consesso sociale (credenze di base); nei costrutti mentali formatesi col fine di giustificare e dare senso attuativo alle credenze di base, alle strategie mentali adottate per dare soluzione alle sofferenze interne che si sperimentano nella vita.

Purtroppo, dove sono presenti definizioni del sé in chiave negativa vi troviamo anche degli atteggiamenti giudicanti che riguardano le prerogative della propria persona che, da una parte sono volte a confermare le credenze di base disfunzionali e negative sul sé, dall’altra esprimono una valutazione qualitativa della propria persona.

Avere delle credenze disfunzionali negative sul sé che definiscono la propria persona come soggetto inabile alle attività di interazione sociale, come incapace a destreggiarsi nelle situazioni, come persona non amabile o non attraente, come individuo con difettosità innate, inducono a giudicarsi in tal modo ogni qualvolta una esperienza viene vissuta con insoddisfazione, si conclude con un insuccesso, che ha conseguenze indesiderate o viene valutata negativamente, sminuita nella sua reale valenza, svalutata.

Detto in altri modi, una persona timida giudica negativamente sé stessa in tutte quelle esperienze in cui tende a sminuire o svalutare esperienze che vive anche quando sono positive o non negative, quando si concludono in modo non corrispondente alla propria aspettativa.

Per un individuo timido, che nella vita ha già accumulato un certo numero di esperienze fallimentari, ogni ulteriore insuccesso conferma e rafforza tutto ciò che di negativo egli teme, percepisce o sente di essere.

Il pensiero auto giudicante, a un certo punto dopo tante reiterazioni, finisce con l’essere o coincidere con un sentimento di disprezzo, avversione, repulsione, a volte anche odio verso di sé. Il giudizio negativo su sé stesso, in questi casi, è spietato, cattivo, esagerato, privo di comprensione e di auto compassione.

Una delle conseguenze dannose dell’atteggiamento auto giudicante e negativo è che non si riesce a operare una interpretazione oggettiva dell’esperienza. I fatti sono vissuti emotivamente e non vengono valutati nella situazione contestuale; si tratta di giudizi in cui i fattori condizionali, l’imprevedibilità delle variabili, gli incidenti di percorso, la casualità, l’occasionalità, non sono in alcun modo presi in esame.

Il pensiero auto giudicante non prende atto dei fatti oggettivamente accaduti, tende solo a confermare la validità dell’auto percezione storica di sé, a tramutare i timori, il sentirsi o il credersi in un determinato modo, in prove dimostrative della veridicità del fatto che il pensarsi in modo corrisponda automaticamente e necessariamente alla realtà.

Una modalità che funziona come conferma e rinforzo delle credenze di base dell’interno insieme degli schemi cognitivi disfunzionali.

Il pensiero auto giudicante testimonia la tendenza a fondere, i fatti, le emozioni, i pensieri, in un indistinto tutt’uno. 

Venendo a mancare la distinzione di elementi così diversi tra loro, per appartenenza di dominio, per caratteristiche, per funzione e scopo, l’esperienza finisce con l’essere un semplice calderone in cui tutto si confonde in una massa informe.


Come ho già accennato all’interpretazione oggettiva si sostituisce una interpretazione emotiva del reale che ha poca aderenza con la realtà delle cose.


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