12 febbraio 2018


Quando in psicologia si utilizza il termine fuga si fa riferimento a un insieme, una intera tipologia di comportamenti evitanti.

Ciò che si tende ad evitare è la sofferenza; non oggettiva, ma solo quella presagita dai pensieri previsionali che, a loro volta, sono anche sorretti dal comparire delle emozioni di paura e dall’incedere dei sintomi d’ansia.

Né possiamo escludere alcune strategie cognitive figlie delle attività metacognitive come la preoccupazione e il rimuginìo.

Carmen D'Auria - se cerchi fuori anneghi dentro
Dunque, ciò che concretamente si tende a evitare è la stima di un danno che si prevede di subire e che si suppone essere di difficile sopportabilità.

L’idea della non sopportabilità della sofferenza derivante da un danno fisico, materiale o psicologico assume rilevanza centrale ai fini della decisione di adottare un comportamento evitante.

I comportamenti di fuga costituiscono l’atto finale di un articolato processo cognitivo di elaborazione. 

Per rendere meglio l’idea, faccio un esempio facendo riferimento a una casistica piuttosto frequente nel mondo delle persone timide.

Supponiamo che Alberto desideri approcciarsi a Krizia, la donna di cui si è innamorato. La sua mente dovrà valutare un insieme di fattori. Che strumenti dovrebbe utilizzare? Probabilmente una certa dose di eloquenza, dovrà inventarsi una scusa che gli possa permettere di avvicinarla. Alberto pensa: “sono bravo a fare queste cose?”, "cosa le dico?". 

In pratica si chiede se ha le competenze e le abilità giuste. 

Senza accorgersene in maniera cosciente fa ricorso alla sua memoria remota e, precisamente, a quell’insieme di definizioni del sé che stabiliscono se è abile in questo tipo di cose, forse, anche se è una persona amabile, meritevole di amore o attraente come persona. Supponiamo che, essendo Alberto un individuo timido, si trovi ad avere tra le definizioni del sé quella che lo descrive come persona non attraente e non abile nell’interazione interpersonale. A questo punto egli si ritrova nella considerazione di essere totalmente inadeguato per fronteggiare una situazione di approccio alla donna. 

Gli mancano gli strumenti operativi necessari per affrontare la cosa in modo efficace. Così la sua mente comincia a fare previsioni su cosa potrebbe accadere se provasse davvero ad approcciare Krizia. Il risultato è il fallimento del suo tentativo proprio perché non ci sa fare e neppure è attraente. La sua mente si blocca sul momento in cui si consuma l’insuccesso. Quale immagine, quale fotogramma di scena si sarà cristallizzata nella sua mente? Qualunque sia, egli penserà che ci perderà la faccia, che probabilmente non potrà più permettersi di farsi vedere; forse, qualcuno che ha assistito al rifiuto da parte di lei comincerà persino a ridicolizzarlo, a sfotterlo. Se queste cose accadessero, e lui pensa convintamente che accadranno, il suo non sarebbe un semplice insuccesso, ma un vero e proprio fallimento in quanto persona. Si troverebbe a vivere il sentimento del rifiuto e quello dello scherno sociale: potrà mai sopportare una tale sofferenza? Deriso da tutti, rifiutato dalle donne, condannato alla solitudine.

Di fronte a tanta tragicità, Alberto decide di fare un passo indietro, di non approcciarsi a Krizia. Opera un comportamento di fuga: l’evitamento.

L’evitamento della sofferenza si attua attraverso una serie di atteggiamenti e comportamenti: l’estraniazione, il ritiro sociale (tipo non uscire di casa), fare scena muta, evitare di frequentare certi luoghi o determinate tipologie di situazioni, essere presente ma non spingersi mai oltre un determinata “linea di demarcazione”, la distrazione, la fuga vera e propria in termini fisici, elaborare teorie sulla negatività del mondo sociale o di determinati comportamenti in uso nell’interazione tra persone, nel vestire, eccetera.


È già. Anche l’elaborazione di teorie etiche o morali sul comportamento sociale rientrano delle strategie di evitamento. 


In questi casi, sono soprattutto evitamenti cognitivi che hanno, come scopo, la giustificazione delle proprie scelte comportamentali. Giustificando gli evitamenti se ne autorizza il ricorso.

Spesso si tramutano in veri e propri giudizi morali negativi sui comportamenti altrui considerati come superficiali, consumistici, banali, immorali, privi di contenuti di valore, e così via. Talvolta, sfociano in un sentimento di superiorità che possa giustificare il proprio assenteismo sociale. 

C’è da dire che l’evitamento cognitivo è quello più subdolo poiché difficilmente ha accesso allo stato cosciente e di consapevolezza. 

Si tratta di un comportamento cognitivo di fuga che resta generalmente confinato nel livello inconscio. 

In pratica, i soggetti timidi che praticano questa strategia cognitiva non s’accorgono di adottare un comportamento di fuga, non sono coscienti di ciò. Anzi, potrebbero persino offendersi se si facesse loro questo tipo di osservazione, anche perché le credenze intermedie, così come le assunzioni, sono considerate da tali persone come idee ragionevoli e giuste.


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