Quando in psicologia si utilizza il termine fuga si fa
riferimento a un insieme, una intera tipologia di comportamenti evitanti.
Ciò che si tende ad evitare è la sofferenza; non oggettiva,
ma solo quella presagita dai pensieri previsionali che, a loro volta, sono
anche sorretti dal comparire delle emozioni di paura e dall’incedere dei
sintomi d’ansia.
Né possiamo escludere alcune strategie cognitive figlie
delle attività metacognitive come la preoccupazione e il rimuginìo.
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Carmen D'Auria - se cerchi fuori anneghi dentro |
Dunque, ciò che concretamente si tende a evitare è la stima
di un danno che si prevede di subire e che si suppone essere di difficile
sopportabilità.
L’idea della non sopportabilità della sofferenza derivante
da un danno fisico, materiale o psicologico assume rilevanza centrale ai fini
della decisione di adottare un comportamento evitante.
I comportamenti di fuga costituiscono l’atto finale di un
articolato processo cognitivo di elaborazione.
Per rendere meglio l’idea, faccio
un esempio facendo riferimento a una casistica piuttosto frequente nel mondo
delle persone timide.
Supponiamo che Alberto desideri approcciarsi a Krizia, la
donna di cui si è innamorato. La sua mente dovrà valutare un insieme di
fattori. Che strumenti dovrebbe utilizzare? Probabilmente una certa dose di
eloquenza, dovrà inventarsi una scusa che gli possa permettere di avvicinarla.
Alberto pensa: “sono bravo a fare queste cose?”, "cosa le dico?".
In pratica si chiede se ha le
competenze e le abilità giuste.
Gli mancano gli strumenti operativi necessari per affrontare la cosa in modo
efficace. Così la sua mente comincia a fare previsioni su cosa potrebbe
accadere se provasse davvero ad approcciare Krizia. Il risultato è il
fallimento del suo tentativo proprio perché non ci sa fare e neppure è
attraente. La sua mente si blocca sul momento in cui si consuma l’insuccesso.
Quale immagine, quale fotogramma di scena si sarà cristallizzata nella sua
mente? Qualunque sia, egli penserà che ci perderà la faccia, che probabilmente
non potrà più permettersi di farsi vedere; forse, qualcuno che ha assistito al
rifiuto da parte di lei comincerà persino a ridicolizzarlo, a sfotterlo. Se
queste cose accadessero, e lui pensa convintamente che accadranno, il suo non
sarebbe un semplice insuccesso, ma un vero e proprio fallimento in quanto
persona. Si troverebbe a vivere il sentimento del rifiuto e quello dello
scherno sociale: potrà mai sopportare una tale sofferenza? Deriso da tutti,
rifiutato dalle donne, condannato alla solitudine.
Di fronte a tanta tragicità, Alberto decide di fare un passo
indietro, di non approcciarsi a Krizia. Opera un comportamento di fuga: l’evitamento.
L’evitamento della sofferenza si attua attraverso una serie
di atteggiamenti e comportamenti: l’estraniazione, il ritiro sociale (tipo non
uscire di casa), fare scena muta, evitare di frequentare certi luoghi o
determinate tipologie di situazioni, essere presente ma non spingersi mai oltre
un determinata “linea di demarcazione”, la distrazione, la fuga vera e propria
in termini fisici, elaborare teorie sulla negatività del mondo sociale o di
determinati comportamenti in uso nell’interazione tra persone, nel vestire,
eccetera.
È già. Anche l’elaborazione di teorie etiche o morali sul comportamento
sociale rientrano delle strategie di evitamento.
Si tratta di credenze regolanti e di assunzioni.
In questi casi, sono soprattutto evitamenti
cognitivi che hanno, come scopo, la giustificazione delle proprie scelte
comportamentali. Giustificando gli evitamenti se ne autorizza il ricorso.
Spesso si tramutano in veri e propri giudizi morali negativi
sui comportamenti altrui considerati come superficiali, consumistici, banali,
immorali, privi di contenuti di valore, e così via. Talvolta, sfociano in un
sentimento di superiorità che possa giustificare il proprio assenteismo
sociale.
C’è da dire che l’evitamento cognitivo è quello più subdolo poiché difficilmente
ha accesso allo stato cosciente e di consapevolezza.
Si tratta di un
comportamento cognitivo di fuga che resta generalmente confinato nel livello
inconscio.
In pratica, i soggetti timidi che praticano questa strategia
cognitiva non s’accorgono di adottare un comportamento di fuga, non sono
coscienti di ciò. Anzi, potrebbero persino offendersi se si facesse loro questo
tipo di osservazione, anche perché le credenze intermedie, così come le
assunzioni, sono considerate da tali persone come idee ragionevoli e giuste.
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