20 febbraio 2018


Possiamo dire che dove c’è timidezza c’è anche insicurezza. È però errato pensare che siano sinonimi tra loro. Infatti, l’insicurezza è una conseguenza della timidezza o di altre forme di ansia sociale.

L’insicurezza nasce dall’incertezza, dalla mancata sicurezza nei risultati e nelle conseguenze.

Le persone timide soffrono pesantemente la mancanza di certezza. 

La variabilità degli esiti, la mutevolezza della realtà, delle situazioni, delle possibili configurazioni degli eventi e dei fatti, costituiscono un fattore di instabilità emotiva.

Alex Hall - Relativity 
I soggetti timidi hanno credenze di base e schemi cognitivi irrigiditi nel tempo per mezzo di esperienze avverse comportanti giudizi sfavorevoli su sé stessi e/o sugli altri, esperienze vissute con sentimenti e pensieri di fallimento e di conferma delle auto percezioni negative di sé.

Avendo questo retroterra cognitivo e psicologico, hanno un paniere di possibilità interpretative della realtà molto ristretta. 

L’estrema variabilità del mondo reale è qualcosa che li sconcerta, destabilizza, soprattutto, impaurisce.

La mutevolezza degli eventi e delle loro configurazioni, la dinamicità del divenire, crea notevoli difficoltà interpretative ai soggetti timidi che già vivono con ansia e trepidazione quelle esperienze che fronteggiano con decisa preoccupazione: hanno pochi schemi di interpretazione che utilizzano a ripetizione.

La persona timida avverte il bisogno di un “attracco” sicuro, un porto protetto che la mette al riparo dalle turbolenze del mare tempestoso.

Avendo cognizioni negative sul sé, l’individuo timido ha paura degli esiti negativi derivanti dalle esperienze che si appresta a fronteggiare o ad evitare.

Si tratta di sentimenti di paura che si dispongono su due livelli, uno di superficie, con emozioni più immediate o esteriori, prossime allo stato cosciente; un livello profondo con emozioni che costituiscono il timore fondante di ogni essere umano in quanto soggetto sociale.

Nel livello di superficie la paura è timore del fallimento, del giudizio negativo degli altri, di sbagliare, di bloccarsi, di arrossire, di suscitare l’ilarità altrui, di subire un rifiuto.

Il livello più profondo della paura riguarda soprattutto le conseguenze nefaste che comportano, da un lato, la non appartenenza sociale, dalla altro, la sofferenza in sé, questa, pensata e immaginata come non superabile, non sopportabile, come danno fatale al corpo o alla mente, come perdita definitiva del controllo del sé.

Dinanzi all’incertezza, il pensiero della persona timida è travagliato da presagi negativi e vive quell’intreccio di paure, poc’anzi descritto, di cui spesso non è neanche cosciente.

L’insicurezza, dunque, è l’espressione di una condizione di stallo tra la scelta di rischiare la sofferenza e quella di evitarla, si, perché è in questi termini che, nel proprio dialogo interiore, spesso fatto di sole immagini, il soggetto timido svolge i propri processi di valutazione automatica.

In altri termini, è lo stallo tra scopo e antiscopo, tra il raggiungimento dell’obiettivo e la paura di farlo, in fondo, tra pensiero emotivo e pensiero razionale.

Il soggetto timido non ama mettersi in gioco, poiché percependosi negativamente in termini di qualità, si vede perdente.


L’insicurezza è, quindi, una situazione di stallo dell’attività pensante, in cui il pensiero resta bloccato sull’idea della scelta senza riuscire a fare il salto della decisione.


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