Tra i problemi più diffusi che possiamo riscontrare nelle persone timide c’è senz’altro l’interazione con individui dell’altro sesso.
Il problema è sostanzialmente di natura cognitiva, come del resto, la timidezza stessa. Tuttavia, c’è un fattore che incide moltissimo, ed è il lacunoso o mancato apprendimento di modelli relazionali.
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Paul Delvaux - l'incontro |
Le cause di questa mancata o insufficiente conoscenza sono da ascriversi nella timidezza stessa, nell’ambiente familiare in cui si è cresciuti, forse, nel temperamento ansioso.
Vivere nella condizione di essere una persona timida, comporta una certa dose di ritiro sociale, abitudini comportamentali improntati all’evitamento, la difficoltà a sviluppare relazioni interpersonali.
Tali limitazioni implicano il mancato esercizio delle abilità sociali di cui si è in possesso e la difficoltà o l’impossibilità di apprenderle.
È chiaro che se un individuo ha una scarsa frequentazione di altri individui o di ambienti sociali, ha anche una scarsissima possibilità di acquisire conoscenze sui modi di relazionarsi delle persone. Del resto, le abilità sociali si acquisiscono relazionandosi, guardando e ascoltando gli altri, entrando in contatto con i comportamenti relazionali altrui.
L’ambiente familiare è il primo ambiente sociale con cui si entra in contatto, in esso, il rapporto con i caregiver (le persone che accudiscono il bambino, in genere i genitori) è essenziale per l’apprendimento dei modelli relazionali di base. Nell’età neonatale e nell’infanzia i bambini apprendono grazie all’esempio dei genitori.
Allo stesso tempo va tenuto conto la frequenza e la tipologia delle relazioni che un bambino riesce ad avere con altri suoi pari. Un bambino che ha scarse opportunità di relazionarsi ad altri pari, non vive l’esperienza del rapportarsi all’altro, quindi anche di comunicare con gli altri. Ovviamente, un bambino che, con gli altri pari, non comunica, o lo fa poco, non apprende a relazionarsi con efficacia.
“Non ho idea di cosa dire”; “non so assolutamente come comportarmi”; “cosa dovrei fare?”; “Non so in che modo dovrei agire”; “non sono mai qual è il momento giusto per fare qualcosa”; “non so cogliere il momento”.
Sono tipi di commenti che ci indicano chiaramente una carenza di abilità sociali, ma allo stesso tempo, di vivere quei momenti sotto l’influsso dell’inibizione ansiogena.
Affermare di non saper cosa dire o fare, significa anche non avere acquisito una sufficiente conoscenza di quella che potremmo chiamare “la psicologia relazionale” del comportamento umano nelle relazioni tra i due sessi e, al tempo stesso, il linguaggio comportamentale nel quale essa si manifesta.
Nelle relazioni tra sessi, questa “psicologia relazionale” e il comportamento che ne consegue, si esprime attraverso un insieme di strategie comportamentali che hanno, per così dire, una propria sintassi.
Certamente, la non conoscenza di tale sintassi va a coniugarsi anche con una difficoltà di comprensione della stessa.
In ciò entra in gioco l’inibizione ansiogena che riduce quella lucidità nell’essere attenti nel momento presente.
L’insufficiente possesso di abilità sociali e il loro scarso o mancato apprendimento, diventa un altro fattore che va a rinforzare gli schemi cognitivi disfunzionali, e quindi a confermarne la validità.
Questo processo di rinforzo delle cognizioni disfunzionali alimenta ulteriormente la bassa autostima e i conseguenti tratti caratteriali di indecisione e insicurezza.
In tutto questo parapiglia il soggetto timido finisce con il continuare a preferire i propri abituali comportamenti evitanti e uno stile di vita ritirato. Qui il cane si morde la coda. Quello che si verifica è un fenomeno circolare in cui ogni fattore è al tempo stesso, causa ed effetto.
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