13 marzo 2018



Il ritiro sociale è la conseguenza di una resa emotiva. 

Come nelle forme di ansia sociale, anche nella timidezza si verifica un susseguirsi d’insuccessi; spesso, però, questi sono apparenti, supposti, previsti ma non vissuti, evitati; in breve, frutto del solo pensiero umano.

Giorgio De Chirico - solitude
La timidezza esiste quando si hanno pensieri negativi su sé stessi che vanno a descrivere, o definire, le qualità personali in relazione a tutto ciò che ha a che fare con la socialità, l’essere individuo sociale, l’agire e il vivere in un sistema di interazioni interpersonali.

Se una persona timida si trova a vivere, o a dover affrontare, una situazione che attiva nella propria mente un flusso di pensieri che, in un modo o in un altro, sono emanazione di quelle convinzioni negative del sé, finisce col fronteggiare l’esperienza sentendosi già sconfitta a priori.

Coloro che si sentono sconfitti prima del gioco, non possono che perdere: penseranno e opereranno senza convinzione nei propri mezzi, senza la sufficiente concentrazione, senza porsi in modalità di problem solving.

Il soggetto timido va incontro agli insuccessi, non per una propria incapacità operativa, ma perché fa un autogol, in preda, com’ è, all’ inibizione ansiogena.

L’inanellare fiaschi nelle esperienze sociali, (nel mondo amicale, nei rapporti di coppia, sul lavoro, ecc) induce le persone timide a esprimere giudizi negativi su sé stessi. Valutazioni che, ovviamente, riguardano le qualità personali.

Allo stesso tempo, gli insuccessi favoriscono il radicarsi e l’ulteriore perversità dei pensieri automatici negativi e, soprattutto, quelli di carattere previsionale.

Avendo espresso un giudizio negativo sulle proprie qualità personali, l’individuo timido comincia col considerare la propria persona, e nella sua globalità, come oggetto di un destino crudele. Possiamo dire che le sue previsioni negative cominciano a riguardare l’intera vita futura.

In certe forme di ansia sociale, come anche nei disturbi dell’umore, l’idea del futuro negativo prestabilito può giungere alle estreme conseguenze.

Un altro fattore che va preso in seria considerazione. 


Una persona timida che ha difficoltà a relazionarsi con gli altri, che vive tali circostanze con disagio, con impaccio, stando da parte, talvolta in preda a flussi di pensieri negativi su sé stessa o anche sugli altri, presa dallo sconforto, comincia a incentrare le valutazioni sui propri comportamenti futuri sull’ antiscopo, cioè a porsi l’obiettivo di evitare una sofferenza piuttosto che vivere l’esperienza.

“Perché uscire con la comitiva se con loro mi sento a disagio? In fondo non farò altro che starmene in disparte, a fare la solita scena muta e a sentirmi una persona fallita”; “Chi me lo fa fare a passeggiare per strada da solo/a e sentirmi gli occhi degli altri addosso?”; “Andare da sola/o al cinema per sentirmi una persona sfigata/o?”.

In questi esempi di ragionamenti possiamo rintracciare la potenza che ha la ricognizione sulle sofferenze nel pensiero previsionale. 

Al presagio che la sofferenza si verifichi, la mente dell’ansioso sociale si blocca, non procede oltre. 

L’idea della sofferenza, o la sua espressione in forma di immagine mentale, si ferma al momento dolente, non va oltre: la sofferenza, l’insuccesso, il rifiuto, il giudizio negativo degli altri, rappresentano già il clou dell’esperienza, il momento topico, anzi, IL momento. Il cosa potrebbe accadere “dopo” non appartiene al processo logico dell’ansioso sociale nelle sue valutazioni previsionali.

Il presagio è accettato come una certezza, e dato che è fioriere di sofferenza, l’esperienza va evitata.

L’insieme di questi fattori costituiscono la motivazione alla demotivazione, la causa ultima che determina il perseguimento dell’antiscopo. 

Poco per volta il soggetto timido si chiude sempre di più dentro sé stesso, quanto più persevera in ciò, più si ritira dalla vita sociale.

Finisce col preferire la propria cameretta, le quattro mura di casa, magari un pc e Internet. 

Esce sempre di meno, le amicizie e le frequenze si assottigliano fino ad annullarsi.

Il ritiro sociale è solitudine interiore, dolore della non appartenenza.




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