La timidezza è una forma di disagio sociale di natura
cognitiva che si manifesta nell’interazione interpersonale e che è
caratterizzata dal sentimento di paura principalmente rivolta alle conseguenze
di un giudizio degli altri negativo.
Le cause della timidezza sono più d'una. A quella (o quelle)
originarie vanno sommandosi altre nel corso del tempo, ciascuna generata da quelle precedenti. Si tenga conto che a
ogni reazione a stimolo corrispondono delle conseguenze, quindi hanno delle
implicazioni. Si tratta di processi che si auto alimentano e auto complicano perché
le conseguenze sono, a loro volta, causa di altri problemi.
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Alessio Serpetti -OLTRE GLI SPAZI ESISTENZIALI |
Il fattore causale originario della timidezza è il sistema
cognitivo riferito alle definizioni del sé, del sé-con gli altri e degli altri
(anche intensi come insieme sociale).
In particolare tali definizioni sono modelli interpretativi
e descrittivi della realtà, credenze incentrate sui temi della capacità a far
fronte agli eventi con efficacia, abilità nel fronteggiare il mondo
relazionale, amabilità e attraibilità come persona, sanità biologica.
Il problema sorge quando queste credenze piuttosto che
essere interpretazioni della realtà oggettiva, sono descrizioni di un mondo ed
esperienze vissute emotivamente.
Nel momento in cui, nel sistema cognitivo della persona
timida, sono andate formandosi credenze negative sul sé o sul sé-con gli altri,
ogni qual volta che si troverà a dover valutare una situazione da fronteggiare,
partirà dal presupposto di essere inadeguata per quel tipo di esperienza. Ciò
perché in memoria, quando il soggetto timido attinge informazioni su sé stesso,
per valutare se ha le giuste prerogative, vi trova dati negativi.
Le prime conseguenze cominciano proprio a partire da questo
punto. Valutandosi inadeguato, l’individuo timido è indotto a fare analisi
previsionali riguardanti il proprio operato improntate all’insuccesso.
Ritenendo di andare incontro a un insuccesso le sue decisioni sono di due tipi,
l’evitamento e la cosiddetta “fuga in avanti”.
L’evitamento viene attuato con
diverse strategie: evitare la situazione, l’estraniazione, l’appartarsi, fare
scene mute nelle conversazioni, in pratica, l’attuazione di tutti quei
comportamenti che impediscono la partecipazione all’evento temuto.
La fuga in
avanti è, invece, il tentativo di partecipazione all’evento ma che si consuma
sotto il potente effetto dell’inibizione ansiogena; in questo caso, le facoltà
sociali possedute, quelle fisiche, quelle mnemoniche e mentali subiscono uno
smacco, vengono parzialmente o totalmente inibite. In questi casi, l’ansioso
sociale va incontro all’insuccesso.
Qualunque sia la scelta strategica e comportamentale posta
in essere, la persona timida si ritrova con un risultato finale comunque
negativo.
L’evitamento non permette di verificare la validità delle credenze e
delle previsioni negative, non consente di vivere l’esperienza, non permette l’apprendimento
di nuove abilità sociali, non consente di esercitare quelle abilità che già si
possiedono: l’ansioso sociale finisce col vivere l’effetto delle sue rinunce,
della non vita, come un fallimento.
La fuga in avanti, concludendosi con un
insuccesso viene altresì interpretata come un fallimento.
In ambedue i casi, si
convince ancor di più che il suo percepirsi inadeguato corrisponde a una triste
verità: credenze e schemi cognitivi disfunzionali vengono confermati nella loro
validità e ulteriormente rinforzati.
Giacché l’ansioso sociale misura gli insuccessi solo in
funzione delle proprie prestazioni e comportamenti, valuta - come fattori
causali - le personali presunte qualità negative suggeritegli dalle credenze di
base disfunzionali sul sé e sul sé-con gli altri, anche perché queste non sono
mai state messe in discussione.
Queste interpretazioni sulle cause della
propria sofferenza, lo allontanano ancora di più dall’individuazione dei
processi reali che sottendono le interazioni disfunzionali.
Si è sempre più protratti verso un giudizio negativo sulla
propria persona e all’auto colpevolizzazione con il risultato di un ulteriore
abbassamento dell’autostima. Questa, a sua volta, favorisce il radicamento dell’abitudine
all’evitamento e al ritiro sociale che divengono comportamenti automatizzati.
Chiaramente, maggiore è il ricorso al comportamento evitante
e al ritiro sociale, maggiore è anche la forza e la pervasività dei pensieri
negativi e delle paure.
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