Mentre nei precedenti articoli ho presentato una panoramica generale dei sistemi motivazionali, con questo, vedremo quali sono quelli che, attivandosi, maggiormente incidono nella formazione delle ansie sociali.
Innanzitutto voglio ricordare che i sistemi motivazionali sono processi del cervello innati, quindi si attivano automaticamente, sono inconsci, perciò fuori dal controllo cosciente e intenzionale della persona.
Essi sono il risultato del processo evolutivo del cervello, dei mammiferi e degli uccelli, e la cui funzione è la ottimizzazione dei comportamenti del corpo e dell’individuo per il raggiungimento degli scopi.
Come già saprai la mente umana, che pure è il risultato di un processo di processi e interrelazioni di aree e nuclei cerebrali, per raggiungere gli scopi crea rappresentazioni di sé, degli altri e del mondo, le credenze. Queste rappresentazioni si modificano continuamente senza interruzione sin dalla nascita e per tutta la vita.
Come già saprai la mente umana, che pure è il risultato di un processo di processi e interrelazioni di aree e nuclei cerebrali, per raggiungere gli scopi crea rappresentazioni di sé, degli altri e del mondo, le credenze. Queste rappresentazioni si modificano continuamente senza interruzione sin dalla nascita e per tutta la vita.
Questo processo avviene tramite l’esperienza che l’individuo vive, direttamente o indirettamente, nell’interazione sia col mondo esterno a sé, sia con quello interno.
È tramite queste esperienze che già il neonato comincia a rappresentare, a descrivere, a definire sé stesso, sé medesimo con gli altri e sé stesso rispetto agli altri.
Le ansie sociali sono sempre e soltanto riferite a un contesto sociale, quindi sono le esperienze di interazioni interpersonali, quelle che determinano l’idea di sé come soggetto individuale e come soggetto sociale.
Il primo sistema motivazionale “sociale” è quello dell’attaccamento che si attiva alla nascita e, secondo alcuni autori, già nel grembo materno.
Il sistema dell’attaccamento si attiva nella ricerca di cura, conforto, rassicurazione e protezione. Chiaramente la sua attivazione è particolarmente intensa nei primi anni di vita quanto la scarsa autonomia richiede assistenza.
Il neonato, che si trova in uno stato pre verbale, interagisce con la madre e altre figure di accudimento attraverso il linguaggio non verbale e quindi attinge informazioni dall’accudente interpretando il comportamento di questi (tono della voce, mimica facciale, movimenti corporei, sollecitudine con cui il genitore risponde alle sue richieste).
Da come il caregiver (la figura accudente) interagisce nei suoi confronti, il neonato comincia a formare i primi modelli interpretativi di sé e dell’altro. Questi modelli descrittivi vanno a costituire l’impianto base di quella parte del sistema cognitivo dedicato alla definizione di sé, dall’altro e del mondo.
A incidere, soprattutto nel rafforzare e alimentare le ansie sociali è il sistema motivazionale dell’affiliazione. Tale sistema attiene alla natura gregaria dell’essere umano, al suo bisogno di appartenenza sociale a un gruppo, una classe, una organizzazione, ecc.
Le difficoltà che incontra il soggetto timido nell’interazione con gli altri e, quindi, nell’inserirsi in un aggregato sociale, alimentano e rafforzano le credenze riguardanti una propria inadeguatezza.
Il sistema affiliativo entra in gioco anche in concomitanza dell’attivazione di altri sistemi motivazionali quando le difficoltà aggregative sono fattori che condizionano il soggetto ansioso anche in altri aspetti della vita. Accade, a esempio, quando è attivo il sistema sessuale o quello di rango.
Il sistema motivazionale della sessualità, nell’homo sapiens e in alcune altre specie di mammiferi, non attiene solo al semplice bisogno di riproduzione; la sessualità ha scopi sociali o socializzanti. Il sistema della sessualità è attinente anche alla formazione della coppia e ai comportamenti legati al corteggiamento. Del resto la funzione strutturale (o scopo intenzionale) della sessualità è il piacere.
È chiaro che un sistema affiliativo che non trova corrispondenze può incidere negativamente anche sul buon funzionamento del sistema della sessualità. Ciò risulta molto evidente quando si tratta di corteggiare, cosa che richiede abilità sociali, o di perseguire lo scopo di formare una coppia.
È bene qui precisare che tutti i sistemi motivazionali vanno considerati come elementi di un insieme in cui i vari componenti sono interagenti tra loro.
Le credenze negative sul sé che si sono formate in un soggetto timido, anche se originate dall’attivazione sofferente del sistema dell’attaccamento, si attivano anche nell’innesco di altri sistemi motivazionali. In tal senso ho già citato il sistema affiliativo e della sessualità.
A questi va aggiunto il sistema motivazionale del rango. Esso si attiva nella gestione dei rapporti di forza interni a un gruppo sociale, quindi, alla dominanza o alla sottomissione, al prevalere su altri membri della comunità.
Del resto, la società umana contemporanea fa molta leva sullo sfruttamento strumentale e/o economico di questo sistema motivazionale.
Per chi è afflitto da forme di ansia sociale, la competizione per il rango sociale è impresa quantomeno ardua. Chi ha già attivazioni problematiche dei sistemi di attaccamento o di affiliazione, il sistema del rango lo spinge verso ruoli subalterni. Ciò perché le credenze negative sul sé e/o sugli altri favoriscono l’insorgere dell’inibizione ansiogena e dei sentimenti della paura.
Sono arrivata su questo sito cercando "la timidezza mi ha distrutto la vita" su un motore di ricerca. Ho cercato di dare un senso ed una definizione alla mia timidezza e sono arrivata alla conclusione che ho paura delle persone. Questa cosa è diventata palese durante gli anni dell'università, ero terrorizzata non solo dai docenti ma anche dai miei colleghi e dal loro giudizio. Ho pochi amici perché non sono in grado di avvicinarmi al prossimo, aspetto sempre il primo (e poi un secondo, terzo e quarto) passo dagli altri. Di recente ho trovato la mia pagella della prima elementare in cui la maestra riportava mie frequenti crisi di pianto se mi si chiedeva di leggere o parlare ad alta voce di fronte alla classe. Mia madre mi descrive come una bambina timidissima. Mi fa molta rabbia questa cosa, perché sono nata così? A volte penso che forse è colpa dei miei genitori, ed il pensiero di potermela prendere con qualcun altro invece di me stessa è in qualche modo confortante. Ma mi chiedo che senso ha ora, ad oltre trent'anni, trovare il colpevole? Vorrei cambiare per non vivere più così male la mia vita. Da un anno a questa parte ho iniziato a scrivere incitata da un mio conoscente, scrivo articoli per blog ed un istituto culturale, ho scoperto che la scrittura è il mio mezzo di comunicazione ed espressione, un ponte con cui riesco a rompere l'isolamento in cui mi trovo. Ma non è sufficiente, quando esco con quei pochi amici che ho o con mia sorella ed i suoi amici mi sento un pesce fuor d'aqua, totalmente alienata. A volte la sensazione di alienamento è così forte che mi viene da piangere in mezzo alla gente. Forse dovrei parlarne con le persone che mi sono vicine, ma non ci riesco. Ho approfittato di una seduta gratuita con uno psicologo, ho parlato tanto di tutte queste cose per quasi un'ora ed alla fine lui mi ha detto che con la terapia potrebbe aiutarmi a vedere le cose da un'altra prospettiva. Io alla fine la terapia non l'ho iniziata perché sono uscita da quella seduta che mi sentivo malissimo, un malessere mentale che ho somatizzato e per alcuni giorni non sono riuscita a mangiar nulla senza avere grosse fitte allo stomaco...
RispondiEliminaCiao Yeonmi
EliminaDato che non posso superare 4000 caratteri ti rispondo in due tranche È molto triste la situazione in cui ti trovi. Mi pare di cogliere, nelle tue parole, un profondo senso di impotenza, forse, l’idea che non c’è un’uscita in fondo al tunnel.
Comunque, non si nasce timidi, lo si diventa. Il gene della timidezza non esiste. Non conosco la tua storia, né l’ambiente in cui sei nata e cresciuta. Ma se avevi dei problemi già da bambina, è probabile che la tua timidezza sia scaturita dall’interazione con tua madre e/o tuo padre.
Ma voglio evitare di dilungarmi su quest’aspetto per il quale tipi rimando ad articoli che ho scritto su questioni che stanno alla base della timidezza:
https://www.addio-timidezza.com/2019/07/lorigine-della-timidezza-1-la-cognizione.html (L’origine della timidezza: la cognizione)
https://www.addio-timidezza.com/2019/08/i-pensieri-strutturali-del-sistema_29.html (I pensieri strutturali del sistema cognitivo e loro gerarchia)
https://www.addio-timidezza.com/2019/09/invalidazione-riscrittura-conferma-e_3.html (Invalidazione, riscrittura, conferma e rinforzo delle credenze)
https://www.addio-timidezza.com/2019/09/le-credenze-di-base.html (Le credenze di base)
https://www.addio-timidezza.com/2019/09/le-credenze-strutturali-intermedie.html (Le credenze strutturali intermedie)
https://www.addio-timidezza.com/2019/09/i-pensieri-automatici.html (I pensieri automatici)
https://www.addio-timidezza.com/2021/06/la-gestione-della-timidezza.html (La gestione della timidezza)
Permettimi di suggerirti di evitare l’autoanalisi in quanto questo tipo di attività rivolta a te stessa è significativamente condizionata dal pensiero emotivo. In altre parole, si tende a dare spiegazioni e cercare le cause della propria condizione in base alle credenze disfunzionali che si hanno su sé stessi e alle emozioni di fondo che si provano. La tua autoanalisi non potrà mai essere oggettiva in quanto sei emotivamente coinvolta.
Questo è un aspetto di cui ho scritto più volte e che produce solo un aggravamento e ulteriore radicalizzazione delle cognizioni inconsce sul sé.
In base alla mia esperienza, ritengo sia molto difficile che tu possa avere paura delle persone, anche perché non ti permetterebbe neanche di riuscire a lavorare.
Tuttavia un indizio emerge dalle tue parole. La paura del giudizio negativo degli altri. Questa specifica paura tende ad emergere anche a livello cosciente ma che è espressione di timori ancora più reconditi, per lo più nascosti nel tuo inconscio.
A esempio, potrebbe significare che non ti percepisci amabile, o interessante o attraente come persona.
Probabilmente, ma ciò è tutto da verificare, hai qualche credenza di base (che è inconscia) che ti definisce come persona in qualche modo incapace, inabile nel gestire il rapporto con gli altri, non all’altezza.
È anche possibile che tu abbia cognizioni di base sugli altri come di individui non interessati a te come persona e che non siano predisposti ad avere relazioni amicali o di coppia con te.
Scrivi che aspetti sempre un primo, poi un secondo, poi un terzo o quarto passo da parte degli altri. Questo ci dice che sei particolarmente insicura riguardo il tuo valore e le tue qualità ma anche che non ti senti, come dicevo prima, abbastanza attraente.
Tieni presente che la timidezza induce a comportamenti di ritrosia, di fuga, di ritiro sociale e che questi, a loro volta producono una tensione emotiva molto forte (ma non necessariamente cosciente) ogni qualvolta si è in relazione con gli altri, soprattutto con coloro che non si conoscono.
EliminaCon l’andare del tempo quest’andazzo porta ad aver accumulato una lunga serie di insuccessi nell’interazione sociale. Tale accumulo ti induce a pensare negativamente su te stessa. Come vedi è un effetto domino che, in termini cognitivi, ha come risultato finale il rinforzo e la radicalizzazione delle cognizioni disfunzionali che riguardano il sé, il sé con gli altri, gli altri.
Ciò nonostante, dato che la timidezza è di natura cognitiva, è sempre possibile sovvertire lo stato di cose. Le cognizioni inconsce sono modificabili, aggiornabili, sostituibili. Anche se ciò, a dire il vero, comporta un lavoro di alcuni anni. In pratica la timidezza non è superabile in tempi brevi. Nella mia attività di mind coach, tal riguardo dico spesso che si tratta di fare a sé stessi una sorta di lavaggio del cervello.
Posso comprendere che l’incontro con lo psicologo abbia suscitato in te un insieme di idee negative che hanno prodotto un forte malessere. Ti dico però che tu non sei colpevole di timidezza, questa non è affatto una colpa, è una condizione che s’insinua nella mente di una persona quasi sempre a partire dall’età neonatale, quando l’infante non possiede alcun strumento di autodifesa cognitiva agli stati emotivi automatici che si vivono a quelle età.
Comincia ad accettare te stessa per come sei, non in termini di resa o rassegnazione, ma in termini di presa d’atto di una condizione in cui ti trovi, ciò senza procedere a giudicare e valutare la tua persona.
Ti suggerisco di riprendere in considerazione la possibilità di una psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale che è la più adatta per le forme di timidezza e fobia sociale. E quando inizi, se inizi, pensa all’esperienza della psicoterapia come a una avventura di scoperta di te stessa, ha un viaggio che fai alla riscoperta di te.
In questi articoli ne descrivo scopi e funzionamento:
https://www.addio-timidezza.com/2011/03/la-psicoterapia-cognitivo.html (La psicoterapia cognitivo comportamentale: caratteristiche)
https://www.addio-timidezza.com/2011/03/la-psicoterapia-cognitivo_28.html (La psicoterapia cognitivo comportamentale: come si snoda)
Nel frattempo comincia a pensare attivamente e spesso a un paio di cose. Chiediti:
mi conviene continuare a vivere in questa condizione?
Mi conviene avviare un processo di cambiamento? Cosa ci guadagnerei?
Come sarebbe la mia vita se non fosse più così bloccata? (Cerca di immaginarti in situazioni sociali in cui sei sciolta, è sufficiente che tu pensi anche solo per immagini).
Buona avventura