27 marzo 2019



Per moltissime persone timide lo stare insieme agli altri costituisce un grosso problema, un triste senso di prostrazione, frustrazione, avvilimento. Il problema che più sovente incontrano, è non riuscire a entrare nella conversazione in atto finendo con il fare scena muta

Talvolta
Rosanna Candido - s.t.
subiscono il commento degli amici che stigmatizzano il suo silenzio, la sua mancata partecipazione alla discussione e, a volte, anche con battute che pur non essendo espresse con intenzioni cattive, feriscono.

Nel mentre queste discussioni tra amici e/o conoscenti si svolgono, l’individuo timido sta lì, in silenzio, con il desiderio di poter partecipare, di dire la sua, ma con l’angoscia di non sapere cosa dire.

19 marzo 2019


La timidezza è un'ansia sociale ed è di natura cognitiva. 

Giovanna Fabretti - varco
Può sembrare una sciocchezza, ma quel che pensiamo, percepiamo o temiamo di essere, di noi stessi si ripercuote sui nostri comportamenti come un tornado.

Ciò che si avverte a livello cosciente sono l'ansia e le emozioni, soprattutto la paura: paura di fallire, di far brutta figura, di essere respinti, di essere mal giudicati, di apparire negativamente agli altri, di non riuscire a fare e altre ancora.

Le emozioni di paura che prova una persona timida si manifestano secondo livelli gerarchici:

Il livello più immediato ed esteriore che si percepisce con più chiarezza si rifanno a pensieri previsionali posti a uno stadio temporale che si ferma all'atto dell'insuccesso nell'interazione sociale. Sono timori che scaturiscono da quelli più "sotterranei".

Questo livello più profondo di paure è, generalmente, precosciente o tangente alla coscienza. 

Queste fanno riferimento a pensieri previsionali collocati su un livello temporale posizionato al momento dell'insuccesso nell'interazione.


13 marzo 2019



“Come iniziare un argomento?”; “Ho paura di sbagliare conversando con altri”; “non so da dove cominciare”; “non riesco a trovare argomenti di cui parlare”; “qual è il modo migliore per alimentare una conversazione”; “non mi so esprimere”; “non so mai cosa dire”; “evito di parlare perché non saprei controbattere”.

La difficoltà a esprimere, in modo efficace, pensieri e sentimenti, a esercitare le abilità sociali è, da una parte, uno dei fattori causali e alimentatori della timidezza, per altra parte, ne è una conseguenza.
 

Edward Hopper - s.t.
È un fattore causale quando il mancato esercizio della comunicazione funziona come conferma e rafforzamento delle credenze negative.

È conseguenza della timidezza quando l’esercizio delle abilità sociali è evitato per via di quelle inibizioni che si attivano sulla base di credenze e schemi cognitivi disfunzionali.

Inoltre, il mancato esercizio delle abilità sociali e, in questo caso, dell’espressione di pensieri ed emozioni, comporta ulteriori conseguenze in quanto produce isolamento sociale.

6 marzo 2019





PARTE SECONDA

Grazie agli innumerevoli studi fatti sull’interazione caregiver-bambino, si sono potute distinguere quattro categorie principali di MOI corrispondenti a quattro maxi tipologie di comportamenti accudenti.
 

Il MOI sicuro. È caratterizzato da una relazione caregiver-bambino ottimale in cui l’accudente reagisce prontamente, in modo costante e con efficacia alle richieste di cura del bambino.
 

Giovanna Fabretti - il caos dentro
Il MOI evitante. Nella relazione caregiver-bambino, l’accudente ha la tendenza a respingere o ignorare frequentemente le richieste di vicinanza del piccolo. Inoltre la mimica del genitore è spesso espressivamente povera e rigida. Si è notato che il genitore accudente sottovaluta l’importanza del bisogno di vicinanza del bambino. In questi casi l’infante e il bambino sviluppano credenze sul sé improntate a un’idea di indesiderabilità, non amabilità, non essere capace di suscitare interesse e affettuosità.

L’idea dell’altro è quella dell’indisponibilità, del rifiutante, addirittura dell’ostile. In età adulta il MOI evitante sviluppa pensieri previsionali riguardanti l’essere rifiutato, il risultare inopportuno, il non essere attraente o interessante, non essere amabile o meritevole di affettuosità, essere incapace di suscitare emozioni positive negli altri.


5 marzo 2019

                                                                                                                                            
PRIMA PARTE

Il sistema dell’attaccamento sta alla base della maggior parte dei casi di sviluppo della timidezza.
 

Federica Gionfrida - Annunciation Chaos
Come abbiamo visto nei precedenti articoli, quello dell’attaccamento è uno dei sistemi motivazionali innati formatosi con la formazione dell’area limbica venutesi a configurare nel secondo stadio evolutivo del cervello.

Il sistema dell’attaccamento afferisce al bisogno di cura, sostegno e protezione che i piccoli degli animali (mammiferi e uccelli) abbisognano, soprattutto, per via della loro non autonomia. Al riguardo basti pensare al neonato che non è in grado di provvedere a sé stesso.

Mentre il sistema dell’attaccamento riguarda la richiesta di cura, l’offerta di sostegno è detta dell’accudimento ed è riferita, nel caso del rapporto genitore figlio, all’accudente.

Dunque, il sistema dell’attaccamento rappresenta la risposta evolutiva al più antico sistema di difesa deputato alla sopravvivenza dell’organismo vivente dotato di un sistema limbico nel cervello.