5 marzo 2019

                                                                                                                                            
PRIMA PARTE

Il sistema dell’attaccamento sta alla base della maggior parte dei casi di sviluppo della timidezza.
 

Federica Gionfrida - Annunciation Chaos
Come abbiamo visto nei precedenti articoli, quello dell’attaccamento è uno dei sistemi motivazionali innati formatosi con la formazione dell’area limbica venutesi a configurare nel secondo stadio evolutivo del cervello.

Il sistema dell’attaccamento afferisce al bisogno di cura, sostegno e protezione che i piccoli degli animali (mammiferi e uccelli) abbisognano, soprattutto, per via della loro non autonomia. Al riguardo basti pensare al neonato che non è in grado di provvedere a sé stesso.

Mentre il sistema dell’attaccamento riguarda la richiesta di cura, l’offerta di sostegno è detta dell’accudimento ed è riferita, nel caso del rapporto genitore figlio, all’accudente.

Dunque, il sistema dell’attaccamento rappresenta la risposta evolutiva al più antico sistema di difesa deputato alla sopravvivenza dell’organismo vivente dotato di un sistema limbico nel cervello.

Essendo un sistema innato, quello dell’attaccamento è geneticamente determinato e si attiva automaticamente al manifestarsi del bisogno di aiuto, rassicurazione, cura e protezione.

I processi di attaccamento e accudimento si disattivano al soddisfacimento degli scopi legati a tali sistemi.

Tuttavia, esso non è un insieme di processi immutabili, ma subisce modificazioni a seguito dell’interazione con l’ambiente sia fisico che relazionale.

Si tratta di un insieme di processi, quindi, di relazioni tra relazioni, che si svolgono tra vari nuclei e aree del cervello, non solo di origine limbica ma anche riferite alle aree rettiliane e neo corticali.

Il cervello, per far fronte a bisogni di sopravvivenza e agli scopi, costruisce “mappe” sia del corpo proprio dell’organismo vivente, sia dell’ambiente che lo circonda.

Nell’homo sapiens, tale mappe cerebrali riguardano anche il mondo relazionale con gli altri simili a sé (con specifici) e di sé come soggetto sociale.

Quest’ultimo aspetto è dovuto, in primo luogo, al formarsi della neocorteccia e, successivamente, all’emergere della coscienza di ordine superiore.

Le mappe cerebrali riguardanti il sé, il sé con gli altri e gli altri, sono dette anche “credenze” e, nella teoria dell’attaccamento, “modelli operativi interni (MOI)”. Tali credenze sono, in sostanza, definizioni sintetiche del sé e degli altri.

Non si formano in forma verbale in quanto, rispondono a quei processi cerebrali innati che, evolutivamente, hanno preso il via prima che emergessero la coscienza di ordine superiore e la verbalità.

Le credenze, in questo caso di base, si formano sin dalla nascita e il loro contenuto e valori dipendono da come l’attività accudente dell’adulto si manifesta nei confronti dei bisogni di attaccamento del piccolo.

Attaccamento e accudimento sono sincronici e generano processi circolari nell’interazione tra i soggetti.

Per via della sincronia, lo stato emotivo e mentale dell’accudente (caregiver) si riflette anche sul piccolo e viceversa. Ciò è reso possibile per la presenza, nel cervello, dei cosiddetti “neuroni specchio” capaci di simulare il comportamento dell’altro.

Giacché il sistema dell’attaccamento si manifesta attraverso le emozioni, queste influenzano in maniera determinante la formazione delle credenze.

L’emozione dominante, tipica del sistema dell’attaccamento, è la paura, soprattutto da separazione. Questa è attivata, principalmente, dall’allontanamento della figura di accudimento che induce nel bambino il timore di essere privo di difese e di cura.

Quando il comportamento dell’accudente non soddisfa, o soddisfa in modo insufficiente, le richieste di cura del piccolo, questi va in sofferenza.

Se tali stati di sofferenza si ripetono frequentemente, le definizioni dei MOI afferiscono all’idea dell’altro come di soggetto respingente o inaffidabile a seconda dello stile relazionale dell’accudente.

Credenze e MOI non sono modelli interpretativi coscienti. Essi afferiscono a quei processi cerebrali che costituiscono la fase “istruttoria” e automatica di cui solo gli elementi conclusivi giungono allo stato cosciente.


Del resto, se la coscienza di ordine superiore dovesse elaborare tutti i dati che pervengono al cervello, occorrerebbero energie e tempi illimitati.

Per questa ragione il cervello opera, in gran parte, a un livello inconscio che, operando in automatico, non abbisogna di processi elaborativi ma solo di processi di “registrazione”. Ciò che perviene allo stato cosciente è, dunque, un insieme ridotto di informazioni pronte per essere elaborate in tempi ragionevoli.



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