Per moltissime persone timide lo stare insieme agli altri costituisce un grosso problema, un triste senso di prostrazione, frustrazione, avvilimento. Il problema che più sovente incontrano, è non riuscire a entrare nella conversazione in atto finendo con il fare scena muta.
Talvolta
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Rosanna Candido - s.t. |
Nel mentre queste discussioni tra amici e/o conoscenti si svolgono, l’individuo timido sta lì, in silenzio, con il desiderio di poter partecipare, di dire la sua, ma con l’angoscia di non sapere cosa dire.
Le parole, nella mente, non riescono a mettere insieme un pensiero da esprimere, un po’ di frasi da proferire, un argomento da introdurre, un’osservazione o considerazione da fare.
Pensa che dovrebbe dire qualcosa, che sta facendo la solita figura di chi davvero non ha nulla da dire ma stavolta in senso più profondo; pensa che, magari, gli altri lo stanno giudicando come una persona vuota, insignificante, senza valore.
L’angoscia per il non saper cosa dire si trasforma in tristezza e senso di fallimento.
Il volto esprime un’espressione mesta, spesso inespressiva, di chi ha la mente fuori da quel contesto e viaggia con i suoi pensieri nel suo mondo interiore.
L’estraniazione dal contesto che si vive nel momento presente è una condizione mentale molto frequente in queste situazioni. Per certi versi, è una rassegnata resa incondizionata, l’espressione di un senso di impotenza o di sconfitta.
Nel suo dialogo interiore, la persona timida, si giudica e, nel ricercare le cause delle sue défaillance, porta il proprio pensiero scandagliante sul tema dell’incapacità.
Può sfuggire qualche pensiero veloce su quanto si è negletti, magari un “non valgo nulla” o un “sono una nullità”. Di pensieri critici e cattivi verso sé stessi ne transitano di diversi tipi nella mente.
In tutto ciò, l’ansia gioca un ruolo cruciale. Istigata dei pensieri inconsci e negativi sul sé, l’ansia inibisce le capacità linguistiche e la memoria semantica.
Allo stesso tempo, si è talmente presi dal fatto di avere questo problema, che la mente si concentra sul fatto che esiste un problema senza riuscire ad andare oltre: le energie mentali sono quasi per intero dirottate sull’esistenza del problema in sé, per cui le residue energie disponibili non sono sufficienti a fare altro.
C’è, tuttavia, da notare che molti individui timidi non hanno sviluppato capacità dialettiche tali da permettere loro di destreggiarsi in confronti verbali. In questi casi non si sono apprese modalità espressive linguistiche e/o verbali, oppure, quando tale apprendimento c’è stato, non si sono esercitate le abilità linguistiche acquisite. Questo problema è anche acuito dalla perdita di abitudine alla lettura e alla scrittura.
Le persone, in genere, non conoscono la potente espressività e le potenzialità del linguaggio verbale.
Tale fenomeno, nel soggetto timido, è spesso acuito per via delle credenze disfunzionali che lo caratterizzano e dai comportamenti evitanti tipici della timidezza.
La mancanza di conoscenza delle possibilità del linguaggio verbale limita fortemente la possibilità di gestire la comunicazione interpersonale.
Nella persona timida a tale limitazione va ad aggiungersi quella proveniente da una scarsa espressività del linguaggio non verbale.
Imparare a esprimersi implica l’apprendimento non solo del linguaggio verbale, ma anche di quello non verbale che, in tanti casi, è persino più significativo e comunicativo della verbalità.
Data la natura “sommessa” delle persone timide, vi è anche uno scarso esercizio di un ampio ventaglio di mimiche facciali. È chiaro che un ragazzo/a, che ha una abitudinaria espressione mesta, ha ben poco da esprimere in termini di emozioni.
Eppure le emozioni sono il veicolo comunicativo principale nella specie umana e non solo.
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