22 aprile 2019




“Perché le persone fraintendono quello che dico?”; “dicono che non so parlare”; “alcuni si offendono alle mie parole anche quando non è mia intenzione”.

La timidezza è spesso segnata dal mancato apprendimento di modelli di espressione verbale orientati alla gestione di situazioni comunicative.

Edouard Manet - colazione sull' erba
Talvolta tali modelli sono in possesso del soggetto timido, ma se questi non è avvezzo alle conversazioni con gli altri, le abilità sociali possedute non vengono esercitate e, pertanto, male utilizzate per mancanza di allenamento.

Gli scambi verbali tra persone, oltre a essere trasmissione di contenuti, sono anche comunicazione di relazione in cui gli attori si pongono in rapporto gerarchico, stabiliscono il rapporto di potere, dichiarano implicitamente le proprie intenzionalità, paventano il tipo di interesse che hanno verso l’altro.

Tutti questi aspetti non dichiarati esplicitamente nello scambio verbale sono da considerare come messaggi taciti che vengono percepiti inconsciamente dai soggetti impegnati nella comunicazione e, successivamente, codificati in significati e sensi che raggiungono il livello cosciente soprattutto nelle forme di impressioni, sensazioni, di sentori.

Per fare un esempio banale, ma che rende l’idea di quanto sto dicendo, c’è differenza tra il dire “mi prendi il coltello?” e “dammi il coltello”: da un punto di vista del contenuto c’è una richiesta che è sempre la stessa, e cioè il comunicante dichiara d’aver bisogno di un coltello, ma in termini di relazione, nel primo caso, c’è una richiesta di collaborazione e un rapporto paritario, nel secondo, un ordine e la definizione di un rapporto gerarchico.

Nel delineare il tipo di relazione tra i due comunicanti, implicitamente, essi definiscono sé stessi all’interno del rapporto esistente tra gli individui coinvolti nell’interazione.

Un altro aspetto del livello di relazione all’interno della comunicazione è che i comunicanti ricevono una conferma o un rifiuto del proprio sé oppure, viceversa, trasmettono una conferma o un rifiuto del sé interlocutore.

Tutto questo ci fa comprendere come esprimersi in un determinato modo può procurare risentimento o avversità nell’interlocutore, indipendentemente dalle reali intenzioni di chi parla.

In una comunicazione che sia efficace, non è sufficiente il semplice esprimere dei contenuti, ma è anche importante come vanno espressi in forma verbale quei contenuti.

Ecco, quindi, perché l’esercizio continuo alle espressioni verbali costituisce un fattore di formazione, e apprendimento, fondamentale nella pratica della verbalità funzionale.

Avendo, come preminente o unico, il dialogo interno, cioè quello con e dentro sé stessi, la persona timida, si ritrova con un linguaggio privato della funzione relazionale, non permettendo, così, lo sviluppo di una teoria della mente (l’idea di ciò che pensa l’altro e delle emozioni che prova) funzionale a una efficace trasmissione di pensieri, emozioni, pareri, giudizi e valutazioni.
 
In questi casi il timido non riesce a farsi una idea di cosa possa generare, nell’altro, fraintendimenti o errate interpretazioni.
 
Non va dimenticato che quando parlo con qualcuno, questi, nel processo di codifica del messaggio che gli giunge, è anche influenzato dal proprio stato d’animo, dal tipo e qualità del rapporto che ha con me, dal momento contingente, dalla storia della propria vita relazionale con gli altri.
 
La comunicazione verbale, inoltre, acquisisce significato anche in funzione di quella non verbale (espressioni facciali, toni della voce, gesticolazione, ecc.).

Se il linguaggio non verbale trasmette sensi non coerenti con quello verbale, la codifica del messaggio verbale ricevuto va incontro a una difficoltà interpretativa: quale dei due tipi di comunicazione è sincero? Generalmente, si conferisce maggiore credibilità al linguaggio non verbale. Ciò accade perché il linguaggio non verbale è quello più antico e gode di un sistema di codifica automatico in quanto patrimonio in gran parte innato nelle specie animali.



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