“Perché le persone fraintendono quello che dico?”; “dicono
che non so parlare”; “alcuni si offendono alle mie parole anche quando non è
mia intenzione”.
La timidezza è spesso segnata dal mancato apprendimento di
modelli di espressione verbale orientati alla gestione di situazioni
comunicative.
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Edouard Manet - colazione sull' erba |
Talvolta tali modelli sono in possesso del soggetto timido,
ma se questi non è avvezzo alle conversazioni con gli altri, le abilità sociali
possedute non vengono esercitate e, pertanto, male utilizzate per mancanza di
allenamento.
Tutti questi aspetti non dichiarati esplicitamente nello
scambio verbale sono da considerare come messaggi taciti che vengono percepiti
inconsciamente dai soggetti impegnati nella comunicazione e, successivamente,
codificati in significati e sensi che raggiungono il livello cosciente
soprattutto nelle forme di impressioni, sensazioni, di sentori.
Per fare un esempio banale, ma che rende l’idea di quanto
sto dicendo, c’è differenza tra il dire “mi prendi il coltello?” e “dammi il
coltello”: da un punto di vista del contenuto c’è una richiesta che è sempre la
stessa, e cioè il comunicante dichiara d’aver bisogno di un coltello, ma in
termini di relazione, nel primo caso, c’è una richiesta di collaborazione e un
rapporto paritario, nel secondo, un ordine e la definizione di un rapporto
gerarchico.
Nel delineare il tipo di relazione tra i due comunicanti,
implicitamente, essi definiscono sé stessi all’interno del rapporto esistente
tra gli individui coinvolti nell’interazione.
Un altro aspetto del livello di relazione all’interno della
comunicazione è che i comunicanti ricevono una conferma o un rifiuto del
proprio sé oppure, viceversa, trasmettono una conferma o un rifiuto del sé
interlocutore.
Tutto questo ci fa comprendere come esprimersi in un
determinato modo può procurare risentimento o avversità nell’interlocutore,
indipendentemente dalle reali intenzioni di chi parla.
In una comunicazione che sia efficace, non è sufficiente il
semplice esprimere dei contenuti, ma è anche importante come vanno espressi in
forma verbale quei contenuti.
Ecco, quindi, perché l’esercizio continuo alle espressioni
verbali costituisce un fattore di formazione, e apprendimento, fondamentale
nella pratica della verbalità funzionale.
Avendo, come preminente o unico, il dialogo interno, cioè
quello con e dentro sé stessi, la persona timida, si ritrova con un linguaggio
privato della funzione relazionale, non permettendo, così, lo sviluppo di una
teoria della mente (l’idea di ciò che pensa l’altro e delle emozioni che prova)
funzionale a una efficace trasmissione di pensieri, emozioni, pareri, giudizi e
valutazioni.
In questi casi il timido non riesce a farsi una idea di cosa possa generare,
nell’altro, fraintendimenti o errate interpretazioni.
Non va dimenticato che quando parlo con qualcuno, questi, nel processo di
codifica del messaggio che gli giunge, è anche influenzato dal proprio stato
d’animo, dal tipo e qualità del rapporto che ha con me, dal momento
contingente, dalla storia della propria vita relazionale con gli altri.
La comunicazione verbale, inoltre, acquisisce significato anche in funzione di
quella non verbale (espressioni facciali, toni della voce, gesticolazione,
ecc.).
Se il linguaggio non verbale trasmette sensi non coerenti
con quello verbale, la codifica del messaggio verbale ricevuto va incontro a
una difficoltà interpretativa: quale dei due tipi di comunicazione è sincero?
Generalmente, si conferisce maggiore credibilità al linguaggio non verbale. Ciò
accade perché il linguaggio non verbale è quello più antico e gode di un
sistema di codifica automatico in quanto patrimonio in gran parte innato nelle
specie animali.
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