15 aprile 2019



Molte persone timide pensano che la propria timidezza sia qualcosa di cui vergognarsi. Ciò dipende dal fatto che le loro interazioni sociali sono caratterizzate da difficoltà comunicative e/o comportamentali.

Questa problematicità fa sì che vivano i rapporti con gli altri sotto l’effetto dell’inibizione ansiogena che riduce l’efficacia delle loro azioni, così che si ritrovano ad inanellare serie d’insuccessi.

 

Nel tempo si fa strada, nella loro mente, l’idea
Elena Merlino - mettermi a nudo 3
di una propria inadeguatezza e questa si radicalizza sempre di più.

In realtà, il convincimento negativo di proprie incapacità poggia su cognizioni disfunzionali sul sé che si sono andate a formare, soprattutto, tra la primissima infanzia e la prima adolescenza e, proprio con quest’ultima, comincia ad emergere.

A un certo punto della loro esistenza, soprattutto giovanile, la persona timida comincia ad associare la propria timidezza con l’essere sfigati, con il non essere attraenti, con il non esercitare interesse negli altri. Tali associazioni concettuali fanno leva sui loro insuccessi sociali ma, in realtà, non è un problema di incapacità.

Essere timidi comporta il divenire preda della paura e questa, si coniuga in vari modi. Paura di essere rifiutati, di essere giudicati negativamente dagli altri, di non corrispondere alle attese altrui, di sbagliare, di fallire, di dimostrare una propria presunta inadeguatezza.

Più si cede alla paura, più si finisce con l’evitare situazioni che si temono.

Il comportamento evitante funziona come un boomerang che si ritorce contro colui che lo attua. 

  • Funziona come conferma delle credenze negative e disfunzionali che si hanno sulla propria persona e, dunque, le rafforza radicandole ancora di più. 
  • Impedisce l’esercizio delle abilità sociali di cui si è in possesso e ciò implica un arrugginimento nel manifestarle.
  • Inibisce, inoltre, l’apprendimento di nuove modalità di socializzazione e comunicazione.
  • Impedisce la possibilità di disconfermare la validità delle credenze negative e disfunzionali che riguardano la propria persona in termini di capacità, abilità, attraibilità, essere meritevoli di amore.
  • Riduce la capacità di comprendere il senso reale dei comportamenti altrui, cioè, ciò che si dice e ciò che si fa; quindi, anche la possibilità di apprendere i significati del modo di comunicare degli altri.

È chiaro che associare valenze sociali negative alla timidezza implica assegnarle un valore concettuale, sociale, etico o morale. In altre parole, significa conferire alla timidezza un giudizio riguardante il suo valore sociale. È come essere fuori dalle regole, fuori dagli standard sociali; essere, per certi versi, colpevoli.


Non a caso il sentimento della vergogna afferisce al senso di colpa.

Ma colpa di cosa? Di non essere estroversi? Di non essere brillanti? Come se ciò fosse un delitto?

La paura del giudizio negativo degli altri è vissuta come una condanna e, per di più, a vita.

Ci si vergogna di non avere amici, di avere una vita assai ritirata, di non riuscire a fare ciò che altre persone che si conosce fanno abitualmente, come se tutto ciò dimostrasse il valore globale di una persona.

La vergogna poggia sul confronto tra la propria condizione e modelli comportamentali che, perlopiù, sono veicolati dalla cultura della competizione e logiche consumistiche. In pratica si finisce col conferire al mercato e ai modelli competitivi somma importanza.

E il valore dell'io si annichilisce.



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