Anche se la manifestazione della
timidezza è vissuta e sentita nel rapportarsi agli altri, nelle conseguenze
negative che comporta nella vita sociale e nei comportamenti, nelle emozioni di
sofferenza che si provano, essa è un disagio sociale di natura cognitiva.
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Gio Ross - I timidi ai dolmen |
Benché, nella grande maggioranza
dei casi, si manifesta con l’inizio dell’adolescenza, la timidezza si origina
nella prima o nella seconda infanzia, quindi nell’età prescolare.
Le cognizioni coinvolte sono quelle
relative alle definizioni interiori di sé stessi, di sé con gli altri, degli
altri, del mondo esterno.
Già nel neonato si attiva il
sistema motivazionale dell’attaccamento, il potente sistema automatico di
difesa e sopravvivenza di cui sono dotati di uccelli, i mammiferi e, in modo
particolarmente sviluppato, l’homo sapiens.
Questo sistema, nell’uomo,
coinvolge sia l’area limbica del cervello, sia la neocorteccia, quest’ultima
luogo in cui si hanno i processi elaborativi che conducono alla formazione
della coscienza di ordine superiore e dell’identità.
Tali costrutti sono detti anche “credenze” (termine che userò da
qui in poi). Sostanzialmente, hanno lo scopo di interpretare e descrivere la
realtà che riguarda la propria persona e il mondo circostante.
Ai fini della trattazione di
quest’articolo, ci occuperemo delle credenze inerenti le definizioni del sé,
del sé con gli altri e degli altri.
Le credenze sul sé incidono sulla
formazione delle ansie sociali e, quindi, della timidezza; ineriscono i temi
che riguardano:
- la capacità di far fronte a eventi e situazioni sociali con efficacia;
- l’abilità a interagire socialmente con gli altri;
- l’essere meritevole di amore e attenzione;
- risultare amorevole e/o interessante come persona;
- essere normodotati intellettualmente e/o fisicamente;
- essere in condizioni di parità con gli altri in termini relazionali, sessuali, intellettuali e comportamentali.
L’impronta che acquisiscono queste
credenze dipende dal tipo di relazione che si forma tra infante e caregiver
(figura accudente di riferimento), da come l’infante vive emotivamente tale
interazione e, quindi, da come la memorizza.
Disattenzione, assenza, abbandono
e, dalla seconda infanzia in poi, severità (anziché autorevolezza),
atteggiamento critico, atteggiamento iperprotettivo, innescano nel bimbo la
formazione di concetti di sé in chiave negativa e altamente disfunzionali.
Va anche detto che l’infante
recepisce da subito gli stati emotivi di sofferenza psichica e/o interiore
dell’accudente e, per effetto del fenomeno detto del sincronismo tra stati
mentali tra umani, ne assorbe e fa propri gli stati emotivi del caregiver.
Anche tale sincronismo produce la formazione di cognizioni emotive
nell’infante.
Quando un bimbo costituisce le sue
prime strutture cognitive del sé, del sé con gli altri e degli altri, e se non
intervengono importanti mutamenti nelle interazioni umane, queste restano
pressoché immutate anche in età adolescenziale e poi adulta.
In realtà, queste
credenze, in condizioni normali si modificano continuamente per tutta la vita
dell’essere umano.
Ma chiariamo ulteriormente questo
aspetto.
Il cervello (e ciò accade in tutto il mondo animale) mappa e rimappa in
ogni momento il proprio organismo, gli stati mentali ed emotivi. In effetti, è
proprio tale costante opera di mappatura e rimappatura che permette al cervello
dell’organismo vivente di regolare le funzioni omeostatiche, di funzionamento
del corpo e dello stesso cervello e delle sue funzioni.
Il continuo processo di
rielaborazione e modifica delle credenze costituiscono l’ultimo stadio evolutivo del cervello e che ha diversificato l’uomo dal resto del mondo
animale compreso i primati, tanto che l’homo sapiens è giunto ad avere la
capacità di una coscienza di ordine superiore e, dunque, di formare identità
complesse, non sono individuali, ma anche sociali.
Riassumendo con altre parole,
possiamo affermare che le credenze sono processi di interpretazione e
descrizione di sé, di sé con gli altri, degli altri e del mondo.
Quanto più le
credenze riescono ad essere interpretazione della realtà oggettiva, tanto più
l’essere umano sviluppa un senso di sé in equilibrio psichico. Quando, invece,
le credenze che si formano nella mente sono espressione di interpretazioni
emotive del mondo e delle esperienze, si fanno strada sofferenze e disagi sociali
e/o psichici, compresa la timidezza.
La formazione delle credenze di cui
abbiamo discusso finora, che costituiscono il livello di base (credenze di
base) delle strutture cognitive relative al mondo sociale, sono processi
automatici, si verificano al di fuori della condizione cosciente.
Possiamo immaginare tali processi
come elaborazioni “istruttorie” che il cervello-mente produce senza impegnare
le strutture cerebrali dedicate agli stadi ultimi e coscienti della mente;
sono, in pratica, fuori dalle funzioni logiche e attentive tipiche dello stato
cosciente.
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