29 agosto 2019



Sin dalla nascita la nostra mente, per far fronte agli scopi, costruisce, un sistema interpretativo-descrittivo della realtà del proprio essere e del mondo che lo circonda.

 
In questo articolo, ci occuperemo di quella parte del sistema attinente al sé, al sé con gli altri e agli altri intesi come consesso sociale.

Il sistema cognitivo che ci interessa in questo articolo, è un insieme di pensieri concettuali memorizzati e catalogati in modo da avere delle routine cui la mente ricorre senza avere l’incombenza di nuovi processi rielaborativi e a cui vi accede in automatico. Sono, pertanto, distanti dallo stato cosciente, non vi è consapevolezza razionale. Tuttavia, questi pensieri sono informazioni di base utilizzate nei processi mentali coscienti.


12 agosto 2019



Leggendo il titolo di questo articolo e di altri del genere, ti domanderai: “ma che ‘entrano queste cose con la timidezza?”.

Come ho più volte scritto, la timidezza – come tutte le forme di ansia sociale – sono di origine cognitiva. Comprendere la funzione della cognizione è un passo importante per assumerne il controllo e imparare a gestire le emozioni che ne conseguono. Da questo articolo cominceremo un viaggio alla scoperta dei meandri della mente dove si annida il mondo segreto della timidezza.

Simonetta Massironi - forma pensiero
Come si suol dire, bisogna conoscere il proprio nemico.

Alla comparsa della vita sulla terra, il mondo vivente era popolato da forme di vita unicellulare e poi pluricellulari semplici che non avevano bisogno di un cervello. Poi gli organismi viventi sono diventati più complessi e avevano bisogno di un apparato che gestisse il funzionamento del corpo.
 
Nel processo evolutivo che ne conseguì, si formarono le prime forme di cervello. Prima fece la sua comparsa il cervello detto rettiliano (tronco encefalico e cervelletto), poi si formò l’area limbica del cervello con cui comparvero emozioni “grezze” atte a segnalare all’organismo bisogni essenziali per la sopravvivenza, la difesa e la mera riproduzione. L’ultimo stadio fu la formazione della corteccia e della neocorteccia, quest’ultima appannaggio dell’uomo.

Già con la formazione dell’area limbica, la memoria acquisì importanza fondamentale, con essa divenne possibile l’apprendimento, la prima forma “rudimentale” di cognizione. Questa, sostanzialmente, aveva la funzione di permettere una più efficace capacità di adattamento all’ambiente, ma era retta da soli processi automatici che non abbisognavano di una coscienza di ordine superiore come quella che caratterizza l’uomo.

Lo sviluppo di una socialità complessa e articolata, la capacità di manipolare gli oggetti e di costruire degli artefatti e, successivamente, con la nascita del linguaggio, non sarebbe mai stato possibile senza avere la possibilità di cognizioni che potessero esprimersi in modo articolato e complesso.

La capacità di associare memoria e pensiero sono il salto di qualità del processo evolutivo del nostro cervello e dell’uomo.
 
Se con la coscienza primaria la memoria era un “archivio” di esperienze senza la possibilità della cognizione del tempo e della causalità, con la formazione della coscienza di ordine superiore, che ci differenzia anche dagli altri primati, l’uomo è capace di elaborare le informazioni memorizzate e le esperienze vissute nel momento presente, di avere il senso storico delle esperienze, di conferire causalità agli eventi, di avere un sé autobiografico.

La cognizione umana è conoscenza, la si potrebbe descrivere come un processo di memoria applicata ed elaborata che sfocia nella coscienza di ordine superiore che acquisisce la funzione di gestire la conoscenza, di indirizzarla verso gli scopi personali, di avere la possibilità di essere cosciente delle proprie emozioni e di poterle controllare, di meditare sulle proprie e altrui esperienze, siano esse emotive, fisiche, logiche, comportamentali.

La cognizione non è una entità, ma un processo che si svolge nel nostro cervello per poi espandersi nella mente (che pure è un processo sovraordinato alla cognizione) e andare oltre per mezzo della comunicazione e del comportamento.

I processi cognitivi e della coscienza di ordine superiore, hanno dei punti di fragilità. 

Questa fragilità risiede, principalmente, nella loro interazione (che è reciproca) con le emozioni. 

Basti pensare che le esperienze sono memorizzate anche con il proprio carico emotivo. Non ricordiamo solo le esperienze oggettive ma anche le emozioni che abbiamo vissuto.

Le emozioni, all’origine, erano processi puramente fisiologici e, tuttora, si formano nell’area limbica del cervello. Esse sono processi ancora automatici che si attivano sotto gli effetti degli stimoli sia interni che esterni. Tuttavia, con la formazione della neocorteccia, che potremmo descrivere (anche se un po' grossolanamente) come la sede della cognizione e della coscienza di ordine superiore, le aree cerebrali limbiche, ove si svolgono i processi emotivi, interagiscono reciprocamente con le aree neocorticali, scambiandosi informazioni sotto forma di impulsi elettrici e chimici.

Ciò comporta che le emozioni possono essere attivate dalle funzioni cognitive e dalle elaborazioni dello stato cosciente; altresì le emozioni possono attivare processi cognitivi e le elaborazioni allo stato cosciente.

Tieni conto che le emozioni sono funzioni di “avviso” di pericolo o necessità, spetta alla mente, poi, valutare la portata dell’effettivo pericolo o il livello di necessità o bisogno; compito di valutazione che si serve delle cognizioni acquisite grazie all’ insieme delle esperienze vissute in prima persona, attraverso terzi o per apprendimento.
 
Grazie alla formazione della corteccia cerebrale e poi della neocorteccia (nell’uomo), lo stimolo generato dall’emozione attivata (originata nell’area limbica del cervello), trasmette impulsi informativi alle soprastanti aree corticali e qui sono valutate dalle funzioni elaborative del cervello le quali attingono ulteriori informazioni dalla memoria, la quale ha “categorizzato” le conoscenze immagazzinate. 

Dal processo di associazione e similitudine che ne consegue, la mente svolge un lavoro di valutazione che vien poi trasmesso nuovamente alle aree limbiche. Questo processo di scambio informativo reciproco tra aree cerebrali è continuo.
 
Quando le emozioni sono attivate da processi cognitivi, o ricevono rinforzo dalle cognizioni che valutano i rischi paventati dalle emozioni in modo eccessivo, la loro intensità e forza ansiogena aumenta a dismisura fino a neutralizzare le attività cognitive coscienti e, dunque, le capacità di controllo delle emozioni.

Quando la coscienza di ordine superiore, perde il controllo delle emozioni, l’individuo è alla mercé di impulsi emotivi “impazziti”.

Questo problema è tanto maggiore, quanto minore è l’esercizio al controllo cosciente e razionale dei processi emotivi, e quanto maggiore è il livello di non conoscenza dei fenomeni di causalità reali. Quando parlo di controllo cosciente e razionale è bene distinguere le valutazioni razionali fatte in “terza persona” (in un certo senso come spettatore, come osservatore neutro), dai ragionamenti che si fanno quando si è emotivamente coinvolti, poiché in quest’ultima configurazione, non siamo di fronte a processi di valutazione oggettiva, ma soggettiva e condizionata fortemente dalle emozioni, tanto che, in questi casi, si deve parlare di pensiero emotivo.

Dunque la cognizione umana è conoscenza che contiene sia dati oggettivi, sia dati emotivi. In essa convivono oggettività e soggettività.

C’è un aspetto, che sebbene non sia oggetto di questa trattazione di cui, tuttavia, dobbiamo dare qualche cenno. Si tratta dell’interpersonalità.

Essendo l’uomo un essere sociale, in tal senso il più sviluppato nel mondo animale, costruisce la propria identità anche in funzione del rapporto con gli altri. Una parte importante del proprio sistema cognitivo riguarda il sé con/tra gli altri, e gli altri.


6 agosto 2019



Quando nel bambino si sono formate credenze negative sul sé e sugli altri, in funzione della memorizzazione delle esperienze dolorose a seguito dell’attivazione del sistema motivazionale dell’attaccamento, l’entrata in gioco dei sistemi motivazionali della funzione paritetica, di rango e sessuale, non producono risultati confacenti agli scopi del soggetto. 

Angelo Giarmana - ricerca di identità
Tali sistemi subiscono l’influenza delle credenze negative già costituite, per cui l’insieme di pensieri e l’insorgere dell’ansia, condizionano i comportamenti che risultano limitati nella loro efficacia.

Un soggetto timido che ha credenze di base che lo definiscono socialmente inadeguato o carente come soggetto individuale, affronta le interazioni sociali sotto il pesante fardello delle paure e delle ansie. I suoi pensieri, spesso solo tangenti allo stato cosciente, della cui attività, quindi, non v’è consapevolezza, vertono sui temi del fallimento, delle figuracce, dell’incapacità a esprimersi, del subire rifiuti o esclusioni.

Quando, nell’interazione sociale, si attiva il sistema motivazionale del rango, quello che induce a comportamenti (ciò che si dice e ciò che si fa) atti a regolare i rapporti gerarchici e competitivi con gli altri, la persona timida soccombe. Accade perché affronta le interazioni già con lo spirito dello sconfitto, preso com’è da sentimenti su sé stesso che lo vedono inefficace, inabile, incapace, non abbastanza…c’è sempre qualcosa che le manca.

Questa condizione che vive la persona timida non è senza conflitti interiori. Essa confronta l’individuo ideale che vorrebbe essere con ciò che è nella pratica quotidiana, quanto a cui aspira, con i cedimenti, i toni sommessi, i “si” che dice troppe volte e malvolentieri, il subire le scelte altrui suo malgrado, l’inefficacia nel proporsi.

L’anassertività è, quasi sempre, un tratto caratteriale del soggetto timido, cosa che lo condanna a non riuscire ad affermare sé stesso e i propri diritti nei contesti sociali.
È chiaro che in una società fortemente competitiva in un sistema di interazioni sociali in cui si attiva, nei soggetti in relazione, il sistema motivazionale del rango, vede prevalere gli individui in possesso di credenze di base sul sé di segno positivo o che hanno pensieri possibilisti.

Non è un caso che gli individui timidi difficilmente fanno carriera o scalano i vertici societari, quasi mai si impongono nelle gerarchie sociali. Ovviamente se si viene da famiglia di potenti…

L’attivazione del sistema paritetico, che è quello che sovrintende la cooperazione tra individui nel perseguire scopi comuni con l’unione di forze, sulla base del percepirsi, o riconoscersi, reciprocamente dei pari, trova assai sovente difficile esecuzione. Ciò soprattutto per la tendenza del soggetto timido a operare individualmente.

Infatti, le persone timide, per via delle difficoltà a inserirsi socialmente in gruppi di individui hanno, sostanzialmente, una vita solitaria anche nei luoghi di lavoro.
La solitudine, che diventa anche un tratto distintivo delle persone timide, rende queste ultime poco avvezze al gioco di squadra.

Il basso rango sociale che si trovano a vivere, la difficoltà a essere coinvolti in modo attivo in esperienze di cooperazione paritetica, diminuisce drasticamente anche le opportunità di avere esperienze di rapporti di coppia.

Il sessuale pur non essendo, in origine, un sistema motivazionale “sociale”, ha avuto nel corso evolutivo delle specie animali, ma soprattutto nell’homo sapiens, notevoli cambiamenti. Da sistema deputato a regolare la sola vita riproduttiva (che ancora sopravvive nei rettili inferiori), ha cominciato a sovrintendere alla formazione di coppie stabili che possiamo riscontrare nella quasi totalità dei mammiferi e degli uccelli, fino a essere coinvolto nei processi culturali umani.

La ritualizzazione, tipica nel mondo animale e, particolarmente sviluppata nell’uomo che ne ha tratto modelli culturali, è l’aspetto operativo sociale che maggiormente evidenzia l’attivazione del sistema motivazionale sessuale. Purtroppo, i modelli comportamentali della ritualizzazione risultano piuttosto ostici da applicare per le persone timide. Ciò, non solo a causa dell’azione condizionante delle credenze negative sul sé e dell’inibizione ansiogena, ma anche per il mancato apprendimento di modelli relazionali così frequente nella storia della condizione timida.

A ciò va aggiunto il fatto che i sistemi motivazionali non operano in modo totalmente autonomo. Essi sono interagenti tra loro. Va detto che l’apparato cognitivo, anche se subisce una forte caratterizzazione iniziale ad opera del sistema dell’attaccamento, si forma in base all’insieme delle esperienze che, quindi, sono riferite anche alla memoria delle interazioni quando sono attivati gli altri sistemi motivazionali.

Anzi, possiamo dire che i sistemi motivazionali del rango, quello sessuale e del paritetico cooperativo, avendo una forte impronta sociale, sono frequentemente attivati. I successi o gli insuccessi a seguito di tali attivazioni vanno a modificare o a radicalizzare l’insieme delle credenze sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri.