Leggendo il titolo di questo
articolo e di altri del genere, ti domanderai: “ma che ‘entrano queste cose con
la timidezza?”.
Come ho più volte scritto, la timidezza – come tutte le forme di ansia sociale – sono di origine cognitiva. Comprendere la funzione della cognizione è un passo importante per assumerne il controllo e imparare a gestire le emozioni che ne conseguono. Da questo articolo cominceremo un viaggio alla scoperta dei meandri della mente dove si annida il mondo segreto della timidezza.
Alla comparsa della vita sulla
terra, il mondo vivente era popolato da forme di vita unicellulare e poi
pluricellulari semplici che non avevano bisogno di un cervello. Poi gli
organismi viventi sono diventati più complessi e avevano bisogno di un apparato
che gestisse il funzionamento del corpo.
Nel processo evolutivo che ne conseguì, si formarono le prime forme di
cervello. Prima fece la sua comparsa il cervello detto rettiliano (tronco
encefalico e cervelletto), poi si formò l’area limbica del cervello con cui
comparvero emozioni “grezze” atte a segnalare all’organismo bisogni essenziali
per la sopravvivenza, la difesa e la mera riproduzione. L’ultimo stadio fu la
formazione della corteccia e della neocorteccia, quest’ultima appannaggio dell’uomo.
Già con la formazione dell’area
limbica, la memoria acquisì importanza fondamentale, con essa divenne possibile
l’apprendimento, la prima forma “rudimentale” di cognizione. Questa,
sostanzialmente, aveva la funzione di permettere una più efficace capacità di
adattamento all’ambiente, ma era retta da soli processi automatici che non
abbisognavano di una coscienza di ordine superiore come quella che caratterizza
l’uomo.
Lo sviluppo di una socialità
complessa e articolata, la capacità di manipolare gli oggetti e di costruire
degli artefatti e, successivamente, con la nascita del linguaggio, non sarebbe
mai stato possibile senza avere la possibilità di cognizioni che potessero
esprimersi in modo articolato e complesso.
La capacità di associare memoria
e pensiero sono il salto di qualità del processo evolutivo del nostro cervello
e dell’uomo.
Se con la coscienza primaria la memoria era un “archivio” di esperienze senza
la possibilità della cognizione del tempo e della causalità, con la formazione
della coscienza di ordine superiore, che ci differenzia anche dagli altri
primati, l’uomo è capace di elaborare le informazioni memorizzate e le
esperienze vissute nel momento presente, di avere il senso storico delle
esperienze, di conferire causalità agli eventi, di avere un sé autobiografico.
La cognizione umana è conoscenza,
la si potrebbe descrivere come un processo di memoria applicata ed elaborata
che sfocia nella coscienza di ordine superiore che acquisisce la funzione di
gestire la conoscenza, di indirizzarla verso gli scopi personali, di avere la
possibilità di essere cosciente delle proprie emozioni e di poterle
controllare, di meditare sulle proprie e altrui esperienze, siano esse emotive,
fisiche, logiche, comportamentali.
La cognizione non è una entità,
ma un processo che si svolge nel nostro cervello per poi espandersi nella mente
(che pure è un processo sovraordinato alla cognizione) e andare oltre per mezzo
della comunicazione e del comportamento.
I processi cognitivi e della
coscienza di ordine superiore, hanno dei punti di fragilità.
Questa fragilità
risiede, principalmente, nella loro interazione (che è reciproca) con le
emozioni.
Basti pensare che le esperienze sono memorizzate anche con il proprio
carico emotivo. Non ricordiamo solo le esperienze oggettive ma anche le
emozioni che abbiamo vissuto.
Le emozioni, all’origine, erano
processi puramente fisiologici e, tuttora, si formano nell’area limbica del
cervello. Esse sono processi ancora automatici che si attivano sotto gli
effetti degli stimoli sia interni che esterni. Tuttavia, con la formazione della
neocorteccia, che potremmo descrivere (anche se un po' grossolanamente) come la
sede della cognizione e della coscienza di ordine superiore, le aree cerebrali
limbiche, ove si svolgono i processi emotivi, interagiscono reciprocamente con
le aree neocorticali, scambiandosi informazioni sotto forma di impulsi
elettrici e chimici.
Ciò comporta che le emozioni
possono essere attivate dalle funzioni cognitive e dalle elaborazioni dello
stato cosciente; altresì le emozioni possono attivare processi cognitivi e le
elaborazioni allo stato cosciente.
Tieni conto che le emozioni sono
funzioni di “avviso” di pericolo o necessità, spetta alla mente, poi, valutare
la portata dell’effettivo pericolo o il livello di necessità o bisogno; compito
di valutazione che si serve delle cognizioni acquisite grazie all’ insieme
delle esperienze vissute in prima persona, attraverso terzi o per
apprendimento.
Grazie alla formazione della corteccia cerebrale e poi della neocorteccia
(nell’uomo), lo stimolo generato dall’emozione attivata (originata nell’area
limbica del cervello), trasmette impulsi informativi alle soprastanti aree
corticali e qui sono valutate dalle funzioni elaborative del cervello le quali
attingono ulteriori informazioni dalla memoria, la quale ha “categorizzato” le
conoscenze immagazzinate.
Dal processo di associazione e similitudine che ne
consegue, la mente svolge un lavoro di valutazione che vien poi trasmesso
nuovamente alle aree limbiche. Questo processo di scambio informativo reciproco
tra aree cerebrali è continuo.
Quando le emozioni sono attivate da processi cognitivi, o ricevono rinforzo
dalle cognizioni che valutano i rischi paventati dalle emozioni in modo
eccessivo, la loro intensità e forza ansiogena aumenta a dismisura fino a
neutralizzare le attività cognitive coscienti e, dunque, le capacità di
controllo delle emozioni.
Quando la coscienza di ordine
superiore, perde il controllo delle emozioni, l’individuo è alla mercé di
impulsi emotivi “impazziti”.
Questo problema è tanto maggiore, quanto minore è l’esercizio al controllo cosciente e razionale dei processi emotivi, e quanto maggiore è il livello di non conoscenza dei fenomeni di causalità reali. Quando parlo di controllo cosciente e razionale è bene distinguere le valutazioni razionali fatte in “terza persona” (in un certo senso come spettatore, come osservatore neutro), dai ragionamenti che si fanno quando si è emotivamente coinvolti, poiché in quest’ultima configurazione, non siamo di fronte a processi di valutazione oggettiva, ma soggettiva e condizionata fortemente dalle emozioni, tanto che, in questi casi, si deve parlare di pensiero emotivo.
Questo problema è tanto maggiore, quanto minore è l’esercizio al controllo cosciente e razionale dei processi emotivi, e quanto maggiore è il livello di non conoscenza dei fenomeni di causalità reali. Quando parlo di controllo cosciente e razionale è bene distinguere le valutazioni razionali fatte in “terza persona” (in un certo senso come spettatore, come osservatore neutro), dai ragionamenti che si fanno quando si è emotivamente coinvolti, poiché in quest’ultima configurazione, non siamo di fronte a processi di valutazione oggettiva, ma soggettiva e condizionata fortemente dalle emozioni, tanto che, in questi casi, si deve parlare di pensiero emotivo.
Dunque la cognizione umana è conoscenza che contiene sia dati oggettivi, sia dati emotivi. In essa convivono oggettività e soggettività.
C’è un aspetto, che sebbene non sia oggetto di questa trattazione di cui, tuttavia, dobbiamo dare qualche cenno. Si tratta dell’interpersonalità.
Essendo l’uomo un essere sociale, in tal senso il più sviluppato nel mondo animale, costruisce la propria identità anche in funzione del rapporto con gli altri. Una parte importante del proprio sistema cognitivo riguarda il sé con/tra gli altri, e gli altri.
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