26 novembre 2019


Benché la si avverte per mezzo dei comportamenti e le emozioni provate, la timidezza è una forma di ansia sociale non patologica. È un disagio sociale di natura cognitiva ed è rapportata agli altri. Fuori dai contesti sociali, dalla dimensione interpersonale, non sussiste.


La timidezza si esprime in diverse forme esplicite ed implicite in termini cognitivi e comportamentali e vari gradi di intensità emotiva. Gran parte di tali modi hanno alcune caratteristiche comuni:

Eleonora mariotti - Timidezza...terapia di piazza
  • Posture dimesse o raccolte: testa bassa, spalle incurvate, scarsa, assente o scomposta motilità delle braccia. 
  • Sguardo distratto o assente. 
  • Espressione facciale e degli occhi malinconica o triste o spenta.
  • Atteggiamenti e comportamenti in luoghi o contesti sociali impacciati.
  • Evidente stato di disagio o imbarazzo in situazioni e nell’interazione sociale.

L’emozione preminente provata nella timidezza è la paura.

Questa si diversifica, nelle sue tipologie, a seconda del sistema motivazionale attivato, in genere, il cooperativo paritetico, di appartenenza, quello di rango o competizione, di attaccamento.

Essendo di natura cognitiva, la timidezza affonda le sue origini nella formazione di credenze di base che definiscono il sé, e il sé con gli altri, in uno o più di queste convinzioni:

  • Essere persona incapace di fronteggiare situazioni e contesti con efficacia. 
  • Ritenersi inabile nelle relazioni interpersonali.
  • Essere poco attraente o interessante come persona.
  • Considerarsi non meritevole di attenzione o amore da parte degli altri.
  • Ritenersi “difettoso” mentalmente o fisicamente.

I temi cognitivi ed esistenziali di fondo, sono l’accettazione sociale, quindi, l’appartenenza a un gruppo, una categoria sociale, ecc.; la competenza, cioè, avere le qualità giuste; il controllo. Sia riferito a sé stesso che alle intenzioni e disponibilità altrui.

Dalle credenze di base, che sono inconsce, ne discendono altre intermedie che condizionano, in negativo, il modo di valutare le situazioni e che implicano il transito di pensieri automatici che ricalcano i temi delle stesse credenze di base.

In questo contesto cognitivo i pensieri automatici negativi previsionali, e supportati dall’emozione della paura, insistono sull’idea del fallimento, dell’essere giudicati negativamente, del subire dei rifiuti, dell’essere respinti o isolati, dell’apparire inadeguati, del fare brutte figure.


Per una persona timida, persino passeggiare può diventare un problema. Ella può essere travolta dal timore o l’impressione che gli altri l’osservano e la giudicano negativamente.


In tanti casi, nell’interazione sociale, l’ansia si esprime con il rossore sul viso e, spesso, l’arrossire diventa, esso stesso, un problema che provoca altra ansia e altri timori sui giudizi altrui.


L’ansia è un altro degli aspetti della timidezza. Essa si può innestare sia in via automatica, sia a seguito dei processi di valutazione. In genere, ansia, paura, pensieri negativi interagiscono tra loro e si condizionano reciprocamente alimentando un processo circolare che rende pervasivo e stabile sia il quadro emotivo generale che quello cognitivo.


La forza dell’ansia si concretizza attraverso le difficoltà espressive verbali, l’impaccio nei movimenti, l’imballo della memoria.


Quando un individuo timido si viene a trovare immerso nei processi circolari della timidezza, va incontro a insuccessi relazionali, spesso, reiterati. Il sommarsi degli insuccessi induce il soggetto timido a convincersi ancora di più della validità delle credenze di base possedute fino a diventare convincimenti consci. In questo modo si verifica la validazione delle credenze disfunzionali che si radicalizzano ulteriormente. In pratica, più ci si valuta negativamente, più si alimenta la timidezza.


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