30 dicembre 2020


Cercare di fare le cose al meglio delle proprie capacità e possibilità è possesso di senso civico e consapevolezza della propria responsabilità.

Pieter Bruegel- torre di babele

In questa trattazione, invece, per essere perfezionisti s’intende quel comportamento e quel modo di pensare, motivato da problemi esistenziali interiori, frequente negli ansiosi sociali e nelle persone anassertive, che consiste nel ritenere che la perfezione sia necessaria ai fini del riscatto sociale.

Le credenze intermedie (derivate da quelle di base) e le assunzioni dettano i modelli comportamentali finalizzati allo scopo dell’accettazione sociale.

Si tratta delle credenze condizionali e di quelle doverizzanti e di assunzioni considerate, dall'ansioso sociale, leggi fondamentali a cui attenersi.

“Devo essere perfetto”; “se non faccio questa cosa alla perfezione, sarà un fallimento”; “se faccio un errore, allora sono una persona fallita”; “non posso fare passi falsi”; “se non sono sempre perfetto, sono uno squallido mediocre”; “non devo mai deludere gli amici sennò mi lasciano”; “solo con la perfezione gli altri non giudicano male”.

Accettazione e perfezionismo sono strettamente legati. Nella timidezza il problema dell’accettazione sociale riveste una importanza primaria ed è vissuta come una necessità assoluta.

Per queste persone, essere accettati significa corrispondere alle aspettative altrui, essere considerate come persone degne di attenzione, amore e rispetto, essere valorizzati, essere degni di far parte di un gruppo o una comunità, avere una vita sociale appagante.

La persona timida che sente di dover essere perfetta, pone come condizione necessaria e obbligata la prestazione ottimale, la performance impeccabile. Il fallimento di questi obiettivi la espongono al giudizio negativo altrui.

Spesso, tale assunzione, è espressione della credenza, per la quale, valore e credibilità personali sono condizionate dal giudizio altrui. Questa cognizione genera uno schiacciamento dell’auto determinazione dell’individuo, dell’autonomia operativa personale e conduce al perseguimento dell’antiscopo.

La cognizione doverizzante del perfezionismo come necessaria e obbligante può raggiungere livelli maniacali, ossessivi e il soggetto è socialmente anassertivo, fattore, quest’ultimo, che lo conduce alla sudditanza, a ruoli subalterni sia in ambito amicale, sia in quello lavorativo. 

In sintesi, sottostanti all’idea del perfezionismo possiamo rintracciare assunzioni del tipo:

  • L’approvazione e il giudizio altrui determinano il valore personale.
  • La mancata perfezione, efficienza, precisione dimostrano l’essere inetti e incapaci.
  • È sufficiente un singolo errore come prova di incompetenza, di inadeguatezza.
  • Ogni minima sbavatura nella prestazione o nella performance produce l’inevitabile giudizio negativo degli altri. 
  • Che la propria esistenza è border line oltre il quale c’è il fallimento totale della persona nella sua interezza.

Quale l’origine di tali schemi cognitivi?

Le cause sono da ricercare nell’esperienze di insoddisfacimento del sistema motivazionale dell’attaccamento in relazione all’interazione con le figure genitoriali (o di accudimento) vissute.

Uno stile genitoriale equilibrato è fondamentale per lo sviluppo cognitivo del bambino.

Un genitore, che frequentemente critica negativamente l’operato del bambino, produce la formazione di credenze di base orientate alla definizione del sé come soggetto incapace a fronteggiare le esperienze con efficacia, l’essere di scarso valore, l’essere difettoso, incapace di apprendere o comprendere, essere inferiore agli altri. Una volta divenuto adulto, egli si percepisce imperfetto, con scarse capacità operative.
“Devi fare di più”, “non sei buono a nulla”, “non fai mai le cose giuste”, “sei la nostra dannazione”, “sei la pecora nera della famiglia”, “possibile che non riesci mai a fare le cose come si deve”, “non capisci niente”, “sei un idiota”, “sei un aborto”, “cretino!”.

Un genitore disattento, assente fisicamente o mentalmente, altalenante nel prestare attenzione alle richieste di accudimento del bambino, favorisce il formarsi credenze di base collegate all’idea di essere non meritevole di amore, di attenzione, di interesse da parte degli altri: divenuto adulto egli si sente sul filo di lana, sottoposto al rischio incombente della non accettazione sociale, dell’isolamento, della discriminazione, della solitudine.

Un genitore troppo protettivo impedisce al bimbo di fare esperienze e di sviluppare una equilibrata autonomia, di apprendere modelli relazionali sia in termini di comportamento, sia in quelli del linguaggio. In tali condizioni familiari, egli sviluppa credenze di base centrate sull’idea dell’incapacità, del non saper cosa fare.

Tutti questi modelli genitoriali producono nel bimbo una bassa autostima, insicurezza e un disperato bisogno di accettazione che lo conducono, una volta adulto, a ritenere di dover lavorare molto di più degli altri per meritare stima, accettazione, rispetto, amore.

Il giudizio positivo degli altri diventa, quindi, un fattore fondamentale per la propria affermazione come soggetto sociale.

La perfezione gli appare, spesso, l’unico strumento per evitare una bocciatura sociale, per acquisire credibilità, valore, affidabilità, stima, accettazione, attenzione da parte degli altri.

Per questo, la persona timida, sviluppa assunzioni sulla necessità di essere sempre disponibile, di non dover mai deludere le persone significative sia in ambito familiare, sia in quello amicale, sia in quello lavorativo. Non gli riesce a dire di no, a perseguire i suoi interessi e i suoi bisogni che vengono posti sottostanti a quelli degli altri.



23 dicembre 2020


Alla nascita, le aree del cervello di un essere umano deputate alla cognizione semantica, sono tabula rasa.

Goa - Emozioni celebrali

L’unica forma di coscienza di cui si è dotati sono quelle del proto sé  e quella nucleare che sono, sostanzialmente, deputate alla percezione del corpo e delle emozioni ma non della mente.

Il neopallio (o neocorteccia) è nella fase costitutiva delle “connessioni” destinate allo scambio interattivo e complesso di informazioni che conducono alla formazione della coscienza di ordine superiore e della corrispondente conoscenza esplicita.

15 dicembre 2020


“Mi sento gli occhi di tutti addosso”; “di sicuro stanno parlando di me”; “c’è qualcosa di sbagliato in me se gli altri mi guardano”; “per strada mi sento in imbarazzo”.
Queste e altri tipi di osservazioni sono l’espressione di sentirsi al centro dell’attenzione altrui.

Chierici Simonetta - migrazione-spaesamento

Accade perché i processi mentali delle persone timide sono focalizzati su sé stessi, il loro essere l’oggetto della timidezza, sulle loro sensazioni interne, sulla propria percezione di sé.

La timidezza è dominata dalle emozioni suscitate dall’idea negativa che hanno di sé e delle proprie qualità.

30 novembre 2020


L’accettazione può essere riferita a sé, agli altri o a entrambi gli ambiti. Quest’ultima è sicuramente la più diffusa.

Elena Vichi - la sete - serie

L’accettazione riferita a sé
, va intesa come prendere atto di ciò che si è, senza che ci sia giudizio e/o valutazione di presunte o reali inadeguatezze sulla propria persona. Implica un atteggiamento mentale costruttivo e propositivo nei confronti di sé, e volto al problem solving.

Quando è riferita agli altri, l’accettazione si configura come appartenenza sociale attiva che comporta il riconoscimento, da parte del gruppo o dell’unione di persone in vari ambiti, del singolo individuo come membro effettivo e valorizzato.

Nelle ansie sociali e quindi, anche nella timidezza, queste due dimensioni dell’accettazione si intrecciano fino a costituire, nella mente dell’ansioso sociale, un quadro cognitivo di base confuso e in cui questi fattori si influenzano reciprocamente.

26 novembre 2020


Le reiterate difficoltà nell’inserimento sociale, la somma degli insuccessi nelle relazioni interpersonali che segna e caratterizza la storia del vissuto dell’ansioso sociale, conducono talvolta, all’estremizzazione del comportamento evitante.

Carra - solitudine

Il ritiro sociale è l’espressione dello scoramento e della conseguente demotivazione all’interazione con gli altri.

La persona che si ritira dalla vita sociale, restando per la gran parte della giornata in casa, chiusa tra le mura della propria camera, uscendo all’aperto solo per lo stretto necessario o scegliendo percorsi da seguire in solitaria mobilità, ha maturato una profonda paura a relazionarsi con gli altri.

A seconda delle credenze di base disfunzionali che improntano il personale sistema cognitivo, la paura di interagire socialmente è timore del fallimento, del subire il rifiuto, di essere giudicati negativamente, di apparire persona sfigata, stupida, inopportuna, idiota, fallita, imbranata, vuota, di essere considerata non gradita, di essere etichettata con aggettivi negativi. 

23 novembre 2020

19 novembre 2020


L’eritrofobia è la paura di arrossire. Il suo manifestarsi implica, necessariamente, l’avere una storia di arrossamenti in volto generalmente accompagnati da vampate di calore.


Nicoletta Spinelli - la timida

Mentre le emozioni peculiari dell’arrossire sono la vergogna e l’imbarazzo, quella dell’eritrofobia è la paura del giudizio altrui.

Il timore di arrossire comporta l’innesco di un processo circolare di emozioni: la paura, l’imbarazzo e la vergogna.

La persona timida che ha paura di arrossire, inevitabilmente arrossisce.

Questo accade perché tale timore attiva un flusso di pensieri previsionali che presagiscono l’arrossire come evento certo.

Come in tutte queste forme di pensiero, non esistono probabilità alternative valutate dal soggetto.

La mente del soggetto timido fa riferimento alla propria storia emozionale che è considerata come dimostrazione inoppugnabile di un evento che non può non verificarsi.

Ciò significa che il solo pensiero di arrossire innesca tale fenomeno ansioso ed emotivo.

Va specificato che l’imbarazzo conseguente all’arrossire o l’accorgersi di essere diventati rossi in volto, di per sé, non si configura come eritrofobia, la quale, sussiste solo se la paura di arrossire subentra prima che la persona arrossisce.

Come accennavo, è necessario che tale paura subentra dopo che la mente sia pervasa da pensieri che presagiscono tale evento.

Sottostanti all’eritrofobia e all’arrossire vi sono credenze disfunzionali di base riferite alle qualità del sé. 

Il sentirsi trasparente, l’idea che le personali presunte inadeguatezze possano essere visibili agli altri, è un problema che si riscontra anche in altri aspetti e problemi della timidezza.

Ma quando l’esposizione sociale attiva le credenze disfunzionali del sé innescando livelli emotivi elevati, alle paure più ricorrenti si aggiunge quella della vergogna.

Ciò implica la vergogna di essere persona timida, il pensiero che suscita tale specifica vergogna può non essere avvertita con consapevolezza al momento topico. Più che altro, il pensiero avvertibile coscientemente è quello riferito al timore di essere giudicati negativamente o di suscitare ilarità negli altri.

In genere, il pensiero previsionale si confonde con l’emozione della paura, tanto che la persona timida le avverte come un tutt’uno, per cui, le risulta difficile separare, distinguere tra pensiero ed emozione.

La vergogna di essere timidi è un sentimento che parte dalla considerazione, anche questa spesso inconscia, che la timidezza e l’arrossire siano una sorta di violazione delle norme del comportamento ritenute importanti dal soggetto timido.

Timidezza e rossore al volto sono, talvolta, oggetto di assunzioni e motti per i quali tali condizioni e manifestazioni ansiose siano espressione di debolezza e, in quanto tale, peculiarità negativa della persona.

Quante implicazioni possono esservi nell’eritrofobia, nevvero?

Ciò sta a indicarci la complessità di questo problema.
Il rossore al volto e la sua evoluzione in eritrofobia fanno, dunque, riferimento agli schemi cognitivi disfunzionali riferiti al sé.

L’eritrofobia assume tratti problematici tali che alcuni ansiosi sociali pensano a un intervento di tipo chirurgico per evitare di arrossire. L’intervento chirurgico “chiude” il nervo simpatico che provoca l’arrossire o l’eccessiva sudorazione associata. 
Se l’arrossire è di sola natura biologica, il problema si risolve. Ma se è di natura psicologica, come accade negli ansiosi sociali, nelle persone depresse ecc., il problema che è all’origine del rossore al volto permane, per cui, se non può “sfogare” nell’arrossire, sfocia in altri sintomi di natura psicosomatica. La strada migliore resta la psicoterapia cognitivo comportamentale.



9 novembre 2020


È una delle principali cause che conducono al fallimento della psicoterapia.

Nelle ansie sociali, quindi nella anche timidezza, nei disturbi dell’umore (depressione) e non solo, la demotivazione annichilisce la forza di volontà e l’interesse.

Goa - Acqua amara

L’ansioso sociale demotivato si sente privo di energie, non vede vie d’uscita, non si percepisce in grado di reagire con efficacia, considera ogni tentativo di cambiare lo stato delle cose, una azione vana.
 

Il flusso di pensieri negativi assorbe la gran parte delle energie mentali tanto da non averne a sufficienza per il problem solving riguardanti il sé e la propria vita relazionale.

Le cause sono da ricercare sia nella storia emotiva ed esperienziale, sia nell’insieme del sistema cognitivo dell’ansioso sociale.

Col sommarsi delle esperienze di sofferenza vissute a seguito, e nelle interazioni sociali, la persona timida avverte sempre di più un senso di impotenza, l’idea di incapacità personale a districarsi nella dimensione interpersonale.

In tanti ansiosi sociali e persone depresse, a complicare questa condizione, vi è sovente il fatto che nel tempo il soggetto non ha elaborato o coltivato interessi che hanno la capacità di sviluppare la curiosità e articolare la capacità attentiva.

In genere, questo aspetto si è definito quando, soprattutto in età infantile e scolare, il bambino non ha ricevuto stimoli adeguati, o non ne ha avuti a sufficienza, provenienti dalle figure di riferimento.

La demotivazione è, dunque, uno stato mentale ed emotivo che, per lo più, costituisce uno sfondo permanente fuori o tangente allo stato cosciente.

In quanto sfondo del paesaggio mentale, non è percepito con consapevolezza, l’ansioso sociale avverte tale condizione solo per il fatto che si sente privo di stimoli capaci di attivare la sua attenzione e interesse.

Pur non essendo una caratteristica propria, la demotivazione è spesso collegata all’assenza dal momento presente, alla disattenzione verso il mondo circostante.

È difficile, a esempio, vedere un ansioso sociale demotivato interessarsi alla fioritura in primavera e apprezzarne la bellezza. Se solo lo facesse e ne facesse commenti, descrizioni, divagazioni!

La solitudine, la paura verso le relazioni di coppia, la difficoltà a instaurare, o tenere in vita, relazioni interpersonali e/o a inserirsi nei contesti sociali, le carenze affettive, la penuria o assenza di una vita sessuale, l’idea di impossibilità, accentuano e/o alimentano l’insorgere della demotivazione.

La persona che vive questa condizione mentale ed emotiva tende all’auto isolamento spostando, talvolta, le ragioni del fare sui comportamenti altrui, come se attendesse di essere trascinata all’azione dall’iniziativa degli altri. Talvolta, la mancata iniziativa altrui diventa motivo di formazione o rinforzo di credenze sull’altro concepito come indisponibile, non affidabile, ostile. 

In questi casi, così come nelle autovalutazioni svalutanti del sé, sono gli schemi cognitivi a indurre a modi del pensare che dirottano i processi mentali valutativi verso pensieri che allontanano il soggetto dalla individuazione delle cause oggettive della propria condizione.

È chiaro che l’ansia sociale in sé, con le credenze di base, intermedie, insieme alle emozioni collegate, è il motore generatore della demotivazione.

Infatti, la demotivazione fa leva sul sistema cognitivo disfunzionale che produce pensieri negativi sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri.

Percependosi negativamente, l’ansioso sociale, valuta ogni sua possibile iniziativa votata al fallimento, al rifiuto, al giudizio negativo altrui. È come se un pensiero implicito e “silenzioso” gli dicesse: “Che t’impegni a fare se tutto fallisce?”. Monta la demotivazione.



2 novembre 2020

Il pessimismo è un tratto tipico del pensare emotivo nelle ansie sociali e, dunque, nella timidezza.

I pensieri previsionali sono improntati dalle idee del fallimento, del giudizio negativo altrui, del rifiuto da parte degli altri, dell’esclusione, dell’emarginazione e delle conseguenze negative che deriverebbero dall’insuccesso dei tentativi di interazione sociale.

Vincenzo Pinto - La chiavetta di dentro...

I pensieri automatici negativi previsionali scartano ogni ipotesi di configurazione positiva o neutra del futuro prossimo o remoto.
 

In questi pensieri negativi previsionali le ipotesi di riuscire sono considerate talmente improbabili da essere ritenute impossibili: si ritiene che le probabilità di esiti positivi rasentano lo zero. Basti pensare al fatto che tante persone con fobia sociale o con comportamento evitante della personalità rifiutano con decisione netta e convinta ogni ipotesi positiva: in queste persone il pensiero emotivo è ben radicato ed è considerato pensiero oggettivo e razionale.

26 ottobre 2020


Va posta a premessa di questo tema che gli esseri viventi, e la specie umana più delle altre, sono dotati di un insieme di sistemi innati che sono alla base, come induttori, dei loro scopi. Si tratta dei sistemi motivazionali a cui sono strettamente e direttamente collegate le emozioni.

Goa - L illusione di vivere

Il bisogno di perseguire gli scopi innati o la loro mancata soddisfazione genera emozioni di sofferenza (paura, tristezza, inquietudine, ansia, ecc.), mentre il raggiungimento dello scopo provoca emozioni di piacere (gioia, euforia, senso di soddisfazione, ecc.).

20 ottobre 2020


Quella d’amore è una forma di timidezza tra le più diffuse. Una persona timida può risultare, o apparire, estroverso nei rapporti amicali e nelle interazioni sociali in generale, ma bloccarsi, andare in difficoltà, quando si tratta di approcciarsi a una persona dell’altro sesso. In certi casi, questa timidezza si manifesta solo verso la persona desiderata, verso cui si provano sentimenti di amore, interesse finalizzato a un rapporto di coppia.

Poi ci sono gli individui che manifestano timidezza in tutte, o quasi, le forme di interazione con gli altri.

Goa - Neuroni emozionali

Come ho già scritto in altri articoli, la timidezza è una forma di ansia sociale di natura cognitiva che si manifesta solo nella dimensione interpersonale, fuori da questa, non sussiste.

Se nel caso della timidezza d’amore ci troviamo di fronte a persone con un paniere cognitivo disfunzionale in cui le credenze di base negative sono circoscritte a condizioni e circostanze specifiche, nella timidezza generalizzata, tale paniere è molto più ampio.

12 ottobre 2020


Il bisogno di controllo è una attività di monitoraggio il cui scopo è verificare e confermare l’esattezza delle proprie cognizioni su sé e sugli altri.

Luigi Zizzari - Il controllo

Due sono le forme di controllo che l’ansioso sociale mette in campo. Una è rivolta a sé stesso, l’altra indaga sull’altro.

In questo processo entrano in gioco sia le credenze di base, sia le assunzioni, i motti e i leit motiv che caratterizzano molti dei modi del pensare degli ansiosi sociali.

Uno dei tratti caratteristici dell’attività di controllo è l’incertezza da una parte e il bisogno di certezze dall’altra.

Quando il controllo è riferito a sé, la persona timida entra in una fase metacognitiva, soprattutto di ruminazione, in cui analizza i propri comportamenti ed espressioni verbali verificatesi nell’interazione sociale, le proprie sensazioni interne, le reazioni emotive agli eventi.


In un certo senso, cerca il pelo nell’uovo. È alla ricerca di quegli elementi che possano dimostrare la reale sussistenza delle personali presunte inadeguatezze.

Ciò accade anche con forzature interpretative. 

L’ansioso sociale non è interessato tanto alle proprie qualità positive personali, quanto a quelle negative. 

Il controllo riferito a sé è più che altro una messa sott’accusa della propria persona.

A guidare questo processo “contro” sono le percezioni di sé, il sentire di essere in un determinato modo (ovviamente in negativo), il timore di essere ciò che pensa della propria persona. È un po' come dire a sé stesso: “ecco, vedi come sei?”. 

La persona timida si percepisce negativamente e cerca conferme e dimostrazioni, ma mai disconferme, invalidazioni delle idee pregiudizievoli che ha di sé.

Riferito agli altri, l’attività di monitoraggio nasce, soprattutto, dal sospetto della persona timida che l’interesse, i sentimenti e la disponibilità dell’altro/a o degli altri non siano sinceri. Si tratta di un sospetto che l’ansioso sociale considera pressoché una certezza.

Qui, centrali, sono le credenze sull’inaffidabilità o l’indisponibilità altrui. Da queste derivano motti e assunzioni centrate sul tema del mondo umano come ambiente cinico, egoista, superficiale, ostile, che nasconde molte insidie.

“Il genere umano è egoista”; “a questo mondo le persone fragili, sincere, serie, altruiste, non hanno spazio”; “la gente cerca solo di sfruttarti, di approfittare di te”; “non bisogna mai fidarsi degli altri”; “se una persona si mostra gentile è solo per convenienza”; “mi fanno i complimenti solo per gentilezza”; “le persone fingono di provare sentimenti veri per me”.

L’altro è “scrutato” nei suoi comportamenti, nelle sue espressioni verbali.

Nella visione dell’ansioso sociale che ha credenze e assunzioni come quelle accennate, le persone dovrebbero sempre mostrarsi disponibili, attenti alle sue esigenze e bisogni.

È su queste basi che egli costruisce le sue aspettative sugli altri in cui la distorsione cognitiva principe è quella del mito del vero amico

Ciò è ancora più marcato nei soggetti anassertivi, con forti carenze affettive, che vive con grande sofferenza il problema dell’accettazione sociale: persone che cercando strade per sentirsi accettati, si mostrano eccessivamente disponibili, al punto da sacrificare i propri interessi e bisogni a favore degli altri con cui è in relazione. Per cui si aspetta dagli altri uguale metro di comportamento.

In questo quadro mentale, non essere invitati o cercati è dimostrazione della validità delle proprie credenze e assunzioni sugli altri.

Ricordo che l’ansioso sociale vive in una condizione mentale centrata su di sé, per cui il mondo esterno sfugge nella sua interezza, nella sua diversità. È quasi qualcosa di estraneo.



5 ottobre 2020


Ellis lo elenca tra i ragionamenti irrazionali, altri, come Beck, la definisce una distorsione cognitiva.

La personalizzazione è un ragionamento che conduce un soggetto a riferire a sé stesso la colpa per eventi infelici, che procurano danno materiale, fisico, psichico o emotivo ad altri.

Faccio qualche esempio utilizzando il mio abituale personaggio. Due persone litigano e Crizia addebita a sé stessa la colpa del loro litigio ritenendo che sia accaduto a causa sua. Accade spesso nei bambini in occasione di litigi o divorzio dei genitori. 

In ufficio il capo è incazzato, Crizia pensa sia colpa sua. Una cena tra amici finisce a male parole, Crizia riconduce a sé stessa la responsabilità.

Vincenzo Di Martino - Il cacciatore di se stesso

In questi casi i processi mentali di auto focalizzazione, che pongono sé stessi al centro nei flussi di pensiero, fanno emergere nella persona timida, il senso di inadeguatezza.

Il soggetto si sente in colpa per i tratti caratteriali che particolarizzano la propria timidezza e conferisce a questa, poteri sovrapersonali capaci di ingerire nei rapporti tra persone.

L’individuo timido pensa che la propria condizione possa arrecare danno ad altri.

28 settembre 2020


Per alcuni è vissuta come sfida o gara a chi dura di più, per altri come espressione di forza o di rango sociale. Per altre ancora è guardare nelle profondità dell’animo altrui. 

Una mia intima amica ha dei favolosi occhi grigio verde chiari. Adoro guardare i suoi occhi, sprizza dolcezza e bellezza, immergermi e perdermi beato in quell’infinito che vorrei scoprire, nei meandri segreti del suo animo. A volte, anche lei ricambia. Prima o poi le chiederò che effetto le fa sentirsi guardare.

Arianna Cappelletti - la-paura

Qualunque siano i modi di viverle, guardarsi negli occhi, è pur sempre comunicazione non verbale. Ciò ha le sue implicazioni al di là delle intenzioni o volontà di comunicare.

Per le persone timide è attivazione di paure.

I timori percepiti attivano i pensieri automatici negativi o sono attivati da questi.

Gira e rigira, si ha comunque a che fare con il dominio delle cognizioni.

“Che sta pensando di me?”; “ho paura di quel che potrebbe pensare di me”; “come mi giudicherà?”.

21 settembre 2020


Ellis la elenca tra i ragionamenti irrazionali, altri, come Beck, la definiscono una distorsione cognitiva.

Catherine La Rose - donna allo specchio

La personalizzazione è un ragionamento che conduce un soggetto a riferire a sé stesso la colpa per eventi infelici, che procurano danno materiale, fisico, psichico o emotivo ad altri.

Faccio qualche esempio utilizzando il mio abituale personaggio. Due persone litigano e Crizia addebita a sé stessa la colpa del loro litigio ritenendo che sia accaduto a causa sua. Accade spesso nei bambini in occasione di litigi o divorzio dei genitori. 
In ufficio il capo è incazzato, Crizia pensa sia colpa sua. Una cena tra amici finisce a male parole, Crizia riconduce a sé stessa la responsabilità.

14 settembre 2020


Il sistema motivazionale dell’attaccamento quando è vissuto in modo doloroso e reiterato nel tempo, già in età precoce (neo natalità, infanzia, fanciullezza), produce un apparato cognitivo di base disfunzionale incentrato su rappresentazioni, definizioni e descrizioni del sé, del sé con gli altri e degli altri in termini negativi.

Giulio Massari - Emarginazione

Nell’infanzia, anche la separazione, più o meno prolungata, dalla figura di riferimento entra nel novero di queste casistiche.

Genitori disattenti, distratti da condizioni mentali interiori di sofferenza, presenti e/o attenti a sprazzi all’infante, dalle espressioni facciali inespressive, violenti, lamentosi, isterici, alcolizzati, tossicodipendenti, trasmettono al neonato, al bimbo, emozioni negative.

8 settembre 2020


Prima di essa c’era la sola comunicazione non verbale, cioè quella delle movenze, delle posture, della gesticolazione, delle espressioni facciali. Cose che abbiamo in comune con le altre specie animali. Tuttavia, nell’homo sapiens, c’è anche l’uso delle dita per indicare l’oggetto che si vuol porre all’attenzione degli altri. 

Luigi Zizzari - Comunicanti
La comunicazione non verbale nasce con le prime forme di coscienza che, anche se non razionale, danno comunque il senso di sé come soggetto distinto dagli altri e a riconoscere l’intenzionalità altrui proprio attraverso questa forma di comunicazione “fisica”.

Nell’uomo, con la formazione della neocorteccia e, grazie anche alla maggiore complessità della socialità, si sviluppa la coscienza di ordine superiore che permette la nascita del linguaggio verbale.

Alcuni ritengono che la comunicazione verbale si sia sviluppata all’incirca diecimila anni fa, forse, anche alcune migliaia di anni prima, ma questa è cosa difficile da appurare.

Con la comunicazione verbale, l’uomo ha la possibilità, di descrivere le proprie emozioni, di esplicitare le proprie intenzionalità, comunicare conoscenze, accelerare i processi di apprendimento e poi a trasmettere conoscenze in forma scritta: cose che non sono possibili con la comunicazione non verbale.

Sebbene, anche questa giovane forma di comunicazione sia soggetta a errate interpretazioni e fraintendimenti, è molto più puntuale della più antica comunicazione non verbale.

Se dovessi utilizzare una parola chiave per indicare il perché ciò sia stato possibile, userei la parola “complessità”.

In effetti, l’accresciuto livello di complessità della socialità sviluppatesi nella specie umana, ha spinto il processo evolutivo dell’homo sapiens a cercare nuove e più performanti forme di comunicazione, in quanto il livello non verbale non era più in grado di soddisfare esigenze e necessità che si profilavano con le prime forme aggregative e organizzate dell’uomo.

Il linguaggio verbale assorbe, senza sostituirsi a essi, anche quei tratti distintivi del comportamento animale (e dell’uomo primitivo) che sono espressione dei sistemi motivazionali sociali e che, in precedenza, si manifestavano solo attraverso il linguaggio non verbale.

Ciò significa che il linguaggio verbale non è solo comunicazione di conoscenze, pensieri, intenzioni ed emozioni, ma assume anche carattere di relazione.

È proprio nel carattere di relazione che possiamo riconoscere l’espressione dei sistemi motivazionali sociali: la competizione, il rango sociale, la pariteticità, la cooperazione, l’affiliazione.

E non solo. A esempio, il sistema dell’attaccamento (e accudimento), quello sessuale e della ricerca si manifestano anche attraverso l’uso del linguaggio verbale.

Attraverso il modo e lo stile con cui comunichiamo, affermiamo i nostri intenti di rango, di apertura o chiusura verso l’altro, la disponibilità (o meno) a una relazione paritetica e/o cooperativa, le aspirazioni di affiliazione.

A esempio, se dico “dammi quel bicchiere” indico non solo l’intenzione di avere quel bicchiere ma genero anche un modo gerarchico nel rapportarmi nei confronti dell’altro, dò un ordine. Ma se dico “mi dai quel bicchiere?”, mi pongo in una relazione paritetica o cooperativa.

Se proferisco un secco “no” a una richiesta o proposta, indico una mia chiusura o rifiuto di affiliazione o di cooperazione. Al contrario, se invece del “no”, dico, “ci vorrei pensare su”, o “vediamo se è possibile”, lascio aperta una finestra: cambia il senso dell’intenzionalità.

In pratica, con il linguaggio verbale posso determinare o indicare il tipo di relazione che intendo instaurare.

Ma in che modo, il linguaggio verbale può avere a che fare con la timidezza?

Il linguaggio verbale, come anche la comunicazione non verbale, ha due o tre attori: colui che proferisce, colui che per comprendere il senso e il significato di ciò che gli viene comunicato deve “decodificare” il messaggio; lo spettatore.

I silenzi di una persona timida, nelle conversazioni, non offrono modi verbali per comprendere le sue intenzionalità se non ricorrendo alla codifica del più antico linguaggio non verbale che si poggia sul solo comportamento ma che pone un serio problema di corretta interpretazione. 

Una voce sommessa o tremolante, così come il non saper dire “no”, pone l’altro in un rapporto gerarchico superiore.

Un fattore importante, nella comunicazione verbale, è l’ascolto attivo, cioè ascoltare con attenzione e disponibilità alla comprensione di ciò che l’interlocutore intende esprimere.

Interrompere una persona che si sta esprimendo è un atteggiamento di non ascolto. Ascoltare fino in fondo l’interlocutore significa anche inviargli un messaggio di apertura, è come dirgli: “Ti ascolto perché ho rispetto per la tua persona, perché mi interessa conoscere il tuo pensiero e lo voglio comprendere appieno”.

Nella comunicazione verbale c’è un aspetto su cui bisogna prestare attenzione: la complementarietà.

La complementarietà si basa sulla differenza dei contenuti. Esprimere contenuti differenti non significa avere, necessariamente, idee diverse. Spesso, in una discussione su un determinato tema, i partecipanti esprimono il proprio pensiero affrontando la questione in oggetto, analizzando la problematica secondo un determinato aspetto, un “angolo di lettura”.

Apparentemente, questa differenza di contenuti, può sembrare un dissenso, una diversità concettuale antagonista al nostro pensiero personale, ma nella realtà, questa differenza è solo uno dei tanti aspetti di uno stesso tema. È la complementarietà.


In altre parole, più aspetti possono concorrere a delineare i tratti complessivi di un tema che ha una pluralità di sfaccettature.

Il problema della complementarietà nel confronto verbale è che viene spesso confusa con la diversità o contrapposizione di vedute.

Ovviamente c’è anche la diversità concettuale, ideologica, ecc., ma questa è un’altra storia.



31 agosto 2020


Il bisogno e il desiderio di appartenenza sociale costituiscono una esigenza basilare nella vita degli esseri umani.

L’homo sapiens è l’animale più sociale nell’intero panorama delle specie viventi.

AggiunElena Merlino - mettermi a nudo 3

Il percorso evolutivo della nostra specie e la comparsa della coscienza di ordine superiore, sono dovute proprio allo sviluppo della socialità che ha raggiunto un elevato livello di complessità e articolazione che si è ampliato con la nascita del linguaggio verbale.

In tal senso va notato che questo processo evolutivo è possibile grazie alla formazione, nel nostro sistema cerebrale, dei sistemi motivazionali sociali quali il sistema paritetico cooperativo, quelli comunicativi e conoscitivi superiori, dell’intersoggettività e le forme più evolute dei sistemi motivazionali presenti anche negli altri mammiferi: il sistema competitivo del rango, il sistema dell’affiliazione e quello sessuale.

Del resto, questi sistemi motivazionali si attivano all’interno della dimensione interpersonale che caratterizza la vita umana.

24 agosto 2020


Difronte ai continui insuccessi relazionali, la persona timida, cade nello sconforto, presa dalle emozioni della tristezza da una parte e, dall’altra, dal timore dei giudizi negativi altrui, della sofferenza che le inefficaci interazioni sociali possono comportare.

Vincenzo Di Martino - Senza Identità
Sentendosi in una condizione border line sull’essere parte del gruppo in cui aspira a essere accettato, subentra anche il dolore della non appartenenza sociale.

Nella sua mente si presenta solo l’idea di un passato fatto di debacle, mai di eventi positivi anche se ci sono.

Quando un insuccesso va ad aggiungersi a una lunga storia di fallimenti relazionali, l’ansioso sociale cerca, nel suo dialogo interiore, le ragioni del proprio fiasco.

17 agosto 2020


Nella timidezza, come nelle altre forme di ansia sociale, la persona tende a focalizzare sui propri stati interiori le attività di pensiero.

Elena Vichi - animus
Sono processi mentali automatici e altri lo diventano nel tempo. Proprio per la loro automaticità, sfuggono allo stato cosciente. L’individuo, durante tale attività mentale, non ha consapevolezza di questo stato di cose.

Anche quando medita sulle proprie esperienze, sui comportamenti altrui, il suo pensiero, le sue valutazioni, ha come riferimento di pertinenza sé stesso, i suoi stati emotivi, le cognizioni inconsce che su sé stesso, su sé con gli altri, sugli altri.

11 agosto 2020

“Agli altri risulto antipatico”; “Le persone mi guardano e pensano male di me”; “Gli altri non mi degnano di attenzione”; “Lui/lei ha attraversato la strada per evitarmi”; “gli amici non si degnano mai di invitarmi”; “Le/gli ho chiesto di uscire con me, ma ha trovato una scusa per dirmi di no”.

Queste e altri tipi di considerazioni sono frequenti nelle persone timide che vivono con difficoltà le interazioni interpersonali.

Aggiungi didascalia
Spesso tali valutazioni scaturiscono da distorsioni cognitive quali la lettura del pensiero, il pensiero dicotomico, l’inferenza arbitraria, l’astrazione selettiva, la personalizzazione.

Inoltre, l’assegnazione di sensi e significati dei comportamenti si basano sulla storia esperienziale ed emotiva della persona e, nel caso di tanti ansiosi sociali, da un insufficiente apprendimento dei modi comportamentali e verbali negli ambiti sociali; spesso dipendono anche dalle aspettative riposte negli altri.

Nel relazionamento verbale, qualora la persona timida ha problemi e difficoltà nelle conversazioni e nell’esprimere pensieri, pareri ed emozioni, la mancanza di esercizio alla verbalità, può generare un linguaggio molto personale non propriamente in uso nella comunità o gruppo di riferimento. Può accadere che si fa ricorso a significati non comuni nel linguaggio altrui.

3 agosto 2020


Il tema del fallimento di sé come persona è uno di quei sentimenti che emerge sia nei pensieri, sia emotivamente, quando una esperienza si consuma con un insuccesso, talvolta anche solo apparente, e quando questa va ad aggiungersi a una storia personale di insuccessi relazionali.
Edvard Munch -  Ashes

Nella mente della persona timida, l’insuccesso non è considerato un incidente, un fatto circostanziale. L’equazione insuccesso uguale fallimento di sé come persona è quasi sistematico; l’idea del fallimento riferita a sé, è generalizzante.

Le cause vengono sempre collegate a qualità negative che si ritiene di avere. In questi casi a prevalere è il pensiero emotivo, mai quello squisitamente razionale, anche se il soggetto timido considera le sue conclusioni del tutto razionali.



28 luglio 2020


Capita alle persone timide di trovarsi in difficoltà quando nelle conversazioni con amici o conoscenti si discute di argomenti generici, del più e del meno, i cosiddetti argomenti banali.
Simonetta Massironi - presenza

In tali situazioni il soggetto timido fa scena muta. “Non so che dire”; “penso che dovrei dire cose importanti”; “le conversazioni banali non sono per me”; “non trovo interessanti le discussioni banali”.


La persona timida si sente spiazzata, priva di argomentazioni, avverte i temi in discussione non adatti a sé.


Spesso, considera le conversazioni banali come inutili, senza senso, pregne di superficialità.


Eppure, le conversazioni banali, per quanto possano apparire tali, svolgono un ruolo importante per le relazioni interpersonali.



21 luglio 2020


Negli stadi evolutivi del cervello, le emozioni sono comparse prima, in particolare con la formazione degli strati superiori del tronco encefalico e, soprattutto con quella dell’area limbica. La razionalità è, invece, evolutivamente giovane ed è stata resa possibile con la formazione della neocorteccia.


Gonsalves - hinh anh
Le capacità razionali sono la conseguenza dell’accresciuta complessità dell’organismo umano che si è trovato a far fronte allo sviluppo di una socialità assai articolata e composita che necessitava di una funzione di gestione dell’emotività e della socialità.

Sappiamo che le emozioni sono processi che si attivano in modo parallelo in una pluralità di aree limbiche e di aree al confine tra tronco encefalico e cervello mammifero.


12 luglio 2020

“Gli altri sanno sempre cosa dire”;” loro sono più svegli di me”, “non mi sento all’altezza”; “mi sento inferiore a loro”; “vedo persone abili con gli altri, mentre io non ci so fare” “gli altri hanno tante amicizie e io sono senza amici/che”.
Sono alcune delle frasi che si sentono proferire dalle persone timide.
Federica Gionfrida - Dubbi

Sentono che il mondo scorre felice intorno a loro: Persone che primeggiano, altre che hanno successo, altre ancora a cui riesce facile accoppiarsi, altre ancora che fanno facilmente amicizia.


Guardano questo mondo di persone che riescono e le confrontano con sé stessi, con ciò che non riescono a fare. Pensano al proprio sé ideale e a quello che, invece, sentono di essere nella realtà.


6 luglio 2020


Secondo la teoria transazionale le persone che ritengono gli altri non affidabili sono ascrivibili a due categorie che sono sintetizzate nelle proposizioni: “io sono ok, tu non sei ok” e “io non sono ok, tu non sei ok”.

Dozza - il guardiano
Secondo la visione cognitivista, sono persone che nei primi anni di vita, spesso fino all’adolescenza, hanno vissuto l’attivazione del sistema motivazionale dell’attaccamento in termini di sofferenza emotiva.

Genitori che nell’interagire col neonato o l’infante, alle richieste di attaccamento (cura, sostegno, conforto, protezione) apparivano distratti, assenti, distaccati, in modo costante o alternato. I genitori che hanno questi tipi di comportamento nei confronti dei figli, neonati o infanti, sono spesso persone con problemi psicologici irrisolti, o alle prese con dipendenze varie, depressi, sociopatici, alcolizzati, tossicodipendenti, ma in altri casi sono inadeguati, impreparati al ruolo genitoriale.


Le credenze di base riguardanti la definizione dell’altro, che si vanno formando in tali contesti sviluppano l’idea dell’altro come non affidabile, come soggetto su cui non si può contare.

Successivamente si sviluppano credenze intermedie, assunzioni e motti, tutti incentrati sul tema dell’inaffidabilità. Si tratta di idee spesso generalizzanti: “la gente è egoista”; “le persone sono superficiali”; “certa gente si dimostra poco seria”; “non ci si può fidare delle persone”. Il mondo degli umani è visto come zeppo di trappole, di pericoli immanenti.


Il contenuto principale di tali cognizioni che determinano le regole del comportamento è quello che si può e si deve contare solo su sé stessi.


Questa visione implica che non va richiesto mai l’aiuto di qualcuno, che non si può contare sull’affettività sincera degli altri, sulla loro solidarietà o vicinanza.


Ritenendo di non poter contare sugli altri, l’ansioso sociale, la persona timida, si affida alle sole proprie forze; tende al ritiro sociale; nei momenti di crisi interiore si isola, si allontana, evita l’incontro, convinta com’è che deve risolvere i propri problemi da sola.


Le relazioni interpersonali, quelle amicali e i rapporti di coppia ne risentono negativamente. Amici e partner sono messi spesso alla prova.


La persona che ha un apparato cognitivo condizionato dal tema dell’inaffidabilità altrui avverte il pressante bisogno di controllo, di monitorare l’altro/a per verificare la sua effettiva affidabilità, ma soprattutto, cerca conferma dell’esattezza delle proprie cognizioni, dei propri convincimenti.

Quando si vuol cercare per forza il pelo nell’uovo, lo si trova anche quando non c’è! Indipendentemente dalle reali intenzioni altrui, qualsiasi parola, frase, atteggiamento, movenza corporea, comportamento può essere interpretato in modo funzionale alle proprie cognizioni sugli altri. 


Quando ripone delle aspettative sull’altro/a, lo fa con la mente centrata su sé stessa, sui bisogni personali e pensa come se i propri schemi mentali siano prerogativa comune.

Ciò rende l’altro/a una persona non persona. Non si prende in considerazione il fatto che ogni individuo ha bisogni e problemi propri, con schemi mentali propri, un modo personale di pensare, un proprio modus vivendi. 


Ciò non significa che la persona timida non sia razionalmente cosciente che ciascun individuo abbia una propria personalità, ma solo che il sistema delle aspettative sugli altri, verte su una condizione mentale egocentrica condizionata dalle emozioni. In tale stato, non è lucidamente consapevole di ignorare le identità altrui.


Sic stantibus rebus, i rapporti di coppia, ma anche quelli amicali, riscontrano alti livelli di criticità e, per ciò, spesso si giunge allo scioglimento del rapporto. Il/la partner viene a trovarsi in una condizione in cui gli è difficile sostenere una relazione caratterizzata da problemi nella comunicazione e nel comportamento.

Ciò è reso ancora più complesso per via del fatto che le aspettative sull’altro/a sono generalmente silenti, cioè non dichiarate verbalmente. Va tenuta in considerazione anche che, in una relazione interpersonale, i comportamenti e la comunicazione verbale di un individuo sono influenzati dalla propria interpretazione del linguaggio verbale e del comportamento di chi interagisce.


In conclusione, l’ansioso sociale, il timido, che vive una condizione mentale caratterizzata da credenze e assunzioni sugli altri centrate sull’inaffidabilità, ha una pessima vita sociale.




30 giugno 2020


L’affettività, in linea generale, è attinente a sistemi motivazionali dell’attaccamento e accudimento. Ciò non significa che non ci siano interazioni con altri sistemi motivazionali come, a esempio, quello sessuale, quello cooperativo e quello dell’affiliazione. 

Katiuscia Papaleo - incontro fra il conforto e la paura

L’uomo, sin dalla nascita, avverte il bisogno di essere sostenuto, confortato, aiutato. Egli avverte l’esigenza o necessità di vicinanza, complicità solidale, affetto da parte delle figure che considera significative nella propria vita.


I sistemi dell’attaccamento e accudimento li riscontriamo anche nei mammiferi e negli uccelli, soprattutto nel mondo animale che ha sviluppato una forte attitudine alla socialità.


Possiamo affermare che la socialità costituisce la chiave di volta per lo sviluppo, in termini evolutivi delle specie, per la comparsa dei sistemi motivazionali sociali.


24 giugno 2020


I bisogni inappagati, elicitati dai nostri sistemi motivazionali sociali, ci spingono a ricercare, nei comportamenti delle persone con cui ci relazioniamo, il loro soddisfacimento: L’accettazione sociale, l’affettività, la sessualità, la solidarietà, la comprensione, il conforto, la complicità delle persone per noi significative, il riconoscimento della nostra dignità come persona.
Elena Vichi - la sete - della serie

Già alla nascita, il sistema dell’attaccamento, induce il neonato a riporre delle aspettative nella figura del caregiver (la persona accudente che in massima parte è ricoperta dal genitore). È proprio in base a queste aspettative che l’infante comincia a formare le prime cognizioni del sé, del sé con gli altri e dell’altro.


Dunque, le aspettative, che riponiamo verso l’altro/a o verso noi stessi, sono espressione di nostri bisogni, aspirazioni, desideri personali. Allo stesso tempo sono anche speranze.


In quanto espressione dei nostri bisogni personali, le aspettative fanno riferimento alla nostra idea dell’altro e di noi stessi, si tratta dell’idea desiderata del sé e dell’altro. L’altro/a come noi vorremmo che fosse, noi stessi come vorremmo che fossimo. 


L’idealizzazione della figura dell’altro/a o di noi stessi può tramutarsi in distorsioni cognitive quali il mito del vero amico/a, il ragionamento dicotomico, la lettura del pensiero, l’astrazione selettiva.


Nelle persone timide, tali aspettative assumono rilevanza particolare tale da diventare, quando insoddisfatte, strumento inconscio di convalida e rinforzo delle cognizioni disfunzionali proprie.


In questi casi, il far coincidere le aspettative con le nostre idealizzazioni, nei modi e nelle forme, finisce col disegnare un interlocutore espropriato della propria identità, personalità, cultura, indole, stile del modus vivendi.


Nel vivere le relazioni di coppia, il bisogno di certezze induce l’ansioso sociale ad attivare assunzioni e regole implicite per monitorare l’altro/a, attraverso il suo comportamento, sulla sincerità dei suoi sentimenti verso la nostra persona. Con queste regole implicite egli verifica che i comportamenti del partener non siano dissimili da quelli attesi che sono assunti con la logica del tutto o niente. Tale atteggiamento mentale è tale da non dare all’altro/a alternative comportamentali in termini di possibilità e opportunità.


Da ciò, quando il comportamento dell’altro/a non coincide con le proprie stringenti attese, deriva quel sentimento che induce l’ansioso sociale a percepirsi come vittima degli egoismi, delle discriminazioni e dell’indisponibilità altrui. Fattori, questi, che inducono a pensare a un mondo ostile.


È chiaro che le aspettative verso gli altri, facendo riferimento a idealizzazioni, non risultano corrispondenti al mondo reale e ciò comporta vivere l’esperienza della delusione che, spesso, porta a sentimenti di rancore e/o sfiducia verso gli altri.

In questo andazzo l’interpretazione dei comportamenti altrui gioca un ruolo primario.

L’ansioso sociale ha poca dimestichezza, sia coi linguaggi sociali non verbali, sia con quelli verbali. La causa di ciò è da ricercare in vari fattori: nel mancato apprendimento dei modelli di relazionamento sociale; nell’insufficiente esercizio delle abilità sociali quando sono possedute; nell’ottundimento delle capacità logiche dovute all’inibizione ansiogena; nel condizionamento operato da un sistema di schemi cognitivi disfunzionali, nella centralità assunta dai flussi di pensiero negativi che assorbono gran parte delle capacità attentive;  nella tendenza a dar valore ai contenuti delle distorsioni cognitive che si sono formate nel corso della storia emotiva ed esperienziale della persona ansiosa.


Le aspettative vero l’altro/a adulto/a sono, generalmente, silenti, cioè non dichiarate. La persona timida dà per scontato che l’interlocutore/ce sia nelle condizioni di comprendere ciò che ci si aspetta dal lui/lei, quasi come se si avesse il potere di leggere nel pensiero.


In genere ci si affida a linguaggi non verbali che, talvolta, non sono corrispondenti a un linguaggio comune.


La mancata dichiarazione verbale delle aspettative costituisce un altro fattore di incomunicabilità e incomprensione delle emozioni e degli intenti del soggetto timido.


Ciò rende chiaro quanto sia importante la comunicazione verbale che è unica forma di linguaggio capace di esplicitare emozioni, sentimenti e idee.


Le aspettative non sono solo riposte verso gli altri ma anche verso sé stessi. Nel momento in cui osserva la discrepanza tra il sé che si manifesta nell’interazione interpersonale e il sé desiderato e ideale, la persona timida procede a una svalutazione di sé, a confermare e rafforzare le credenze disfunzionali che ha sulla propria persona. È un sentimento che conduce a un forte, cattivo e impietoso giudizio negativo sulla propria persona.